Lisbona
Non ero così sicuro di aver fatto bene a scegliere il pernottamento a Lisbona invece che a Roma (un pernottamento ci andava comunque, perché il volo TAP per Rio – il più scontato che esista, visto che pagano i contribuenti – è troppo presto al mattino). Oltretutto, i miei amici di Lisbona sono via ed ero quindi da solo.
Invece, sono stato ampiamente ripagato della scelta. Lisbona mi ha regalato una giornata eccezionale, con una ventina di gradi, un po’ di brezza di mare, e un sole caldo in mezzo a qualche nuvola striata. Tra tutto, sono arrivato in Praça do Comercio che erano già le cinque, e iniziava a tramontare. Ed è stato un bellissimo tramonto, con gli uccelli sull’estuario del Tago e il sole a scendere sul Ponte 25 aprile e sulla statua del Cristo.
Ma il momento veramente unico è stato dopo essermi arrampicato sopra Alfama, fino al belvedere di Santa Lucia e poi alla statua di san Vincenzo; lì il sole era proprio agli sgoccioli, e il panorama sulle case fitte del borgo vecchio, arrampicate su per la collina, con dietro il fiume che è già un mare, era veramente unico; così come unica è stata la discesa per i vicoli tortuosi, attraverso strade deserte e già buie, interrotte improvvisamente da qualche scalinata, da qualche piazzetta, da una vecchietta seduta in mezzo alla strada davanti all’uscio di casa, da qualche albero ostinato, da una chiesa bianca e barocca dove pochi parrocchiani assistono alla messa; giù fino a sbucare d’improvviso nella piazza del museo del Fado, che dentro non ha nulla di veramente interessante se non la nostalgia terribile di questa musica meravigliosa.
Lisbona è unica tra le città di mare europee; ha quel che di magico che Genova o Barcellona hanno quasi interamente perso da decenni, in mezzo alle ristrutturazioni e alle trasformazioni dei loro centri storici alternativamente in bassifondi o in zone turistiche alla moda. Lisbona sa di antico, di storie ed avventure immutate da secoli. A Lisbona nel centro storico abitano ancora vecchi e bambini, e trovi ancora il verduriere o il bar infilati in un buco a pianterreno dove non entrerebbe nemmeno un televisore al plasma, figurarsi il regolamentare locale trendy da metterci attorno. Vedi ancora i panni stesi tra le case e le torme di ragazzini che giocano a pallone, in pendenza, su una scalinata o sul sagrato della chiesa.
Lisbona è un miracolo triste, sospesa in una luce abbacinante riflessa dalla pietra bianca e dalle mille piastrelle azzurre e verdi che foderano le case, in uno stile che esiste solo qui. E’ triste perché è il confine del mondo sull’oceano, e mentre in Irlanda più vai a ovest e più la terra si scioglie pian piano nella nebbia, in laghi che diventano mare, in montagne che diventano scogli, a Lisbona la terra finisce in modo netto, e per andare oltre ci vuole coraggio, e c’è un pedaggio da pagare; è di questo che parla il fado, di passione e lontananza immanenti su un intero popolo. Forse tutto questo è ancora più evidente in un giorno di mare d’inverno d’estate come quello di ieri.
Non riuscirò a descrivere la sensazione, nè basteranno le foto (che peraltro metterei su, se avessi un attimo; potrei anche revitalizzare il fotoblog), e quindi vi lascio e vado a finirmi i miei pastel de nata; il dolce tipico del posto, visto che a Lisbona c’è un ristorante ogni cento metri, e una pasticceria ogni cinquanta. Si tratta di un cestello di millefoglie riempito di una specie di crema pasticcera, possibilmente calda; io non ho resistito e ho comprato la confezione da sei, per mangiarla in albergo. C’erano solo cento metri tra la pasticceria e la stazione della metro del Rossìo, ma a metà strada avevo già ceduto, e aperto il pacchetto. Ne ho mangiati quattro di fila e per tutta la sera, come un bimbo, sono stato piegato dall’inevitabile mal di pancia; ma ne valeva la pena.
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