Arrivare a Rio è sempre impressionante. Ci sono varie cose che ti colpiscono: innanzi tutto il paesaggio meraviglioso, lunare; è come se avessero tirato a caso pietre sabbia legno e acqua in una cassetta, e poi li avessero agitati fino a farli incastrare in modi assurdi, con promontori verticali che spuntano in mezzo a lagune e spiagge infinite.
E poi la povertà , il terreno edificabile ricoperto per ogni dove di casette di mattoni o di lamiera, arrampicate sulle colline a perdita d’occhio. Dall’aeroporto al centro e oltre, verso le zone ricche di Copacabana e Ipanema, hanno costruito venti chilometri di superstrada sopraelevata: sei corsie di cemento a quindici metri d’altezza, direttamente sopra le casupole delle favelas. Era l’unico modo per evitare il brigantaggio, e il circondario è talmente degradato che una sopraelevata sopra il tetto di casa non peggiora sensibilmente le cose.
E poi la disorganizzazione creativa; creativa perché ci vuole ingegno a far funzionare così male le cose. All’aeroporto, per esempio, non hanno come in tutto il mondo un nastro di consegna bagagli che esce dal deposito e vi rientra, con una parte dietro il muro su cui vengono scaricati i bagagli; sarebbe stato troppo efficiente.
Hanno invece un nastro circolare nella sala, che in un punto passa vicino al muro. Lì si apre un passaggio dal quale esce un altro nastro, orizzontale, che si immette sul primo con un angolo di circa trenta gradi. Per permettere l’immissione, l’ultimo pezzettino di questo nastro – la corsia di immissione – è separato e scorre a una velocità pazzesca, per cui le valigie che provengono dal deposito, finendovi sopra, vengono scagliate con una forza tremenda sul nastro della sala, tanto da urtare il bordo dall’altro lato e spesso rischiare di ribaltarsi e cadere oltre; qualcuna s’è aperta e spatasciata.
Pertanto, con questo sistema, bisogna evitare lo scontro violento tra le valigie in immissione e quelle già sul nastro principale; per cui ci hanno messo una pezza mediante un omino che, a mano, ferma e riaccende il nastro di immissione, facendolo partire solo quando il nastro principale è libero. Vista però la potenza del lancio, il movimento è molto impreciso, per cui bisogna che vi sia un notevole spazio libero per poter attivare l’immissione. Nel contempo, però, il nastro principale è assolutamente insufficiente a contenere tutte le valigie di un volo intercontinentale, e perdipiù la maggior parte della gente resta bloccata a lungo al controllo passaporti; in pratica, dopo cinque minuti il nastro principale è pieno, il nastro di immissione è sempre fermo e lo scarico dei bagagli si blocca.
A questo punto, serve una ulteriore pezza: ecco quindi un altro omino che, sul nastro principale, preleva le valigie che hanno già fatto un paio di giri, le toglie, e le butta a caso in mezzo al salone, creando vari mucchi. In più, se nemmeno questo basta, un po’ di valigie vengono scaricate sul nastro adiacente, naturalmente senza alcun tipo di segnalazione o di annuncio.
In sostanza, passerete venti minuti girando tra due nastri e tre o quattro mucchi di valigie, in mezzo a torme di gente disperata come voi, sperando di intercettare il vostro bagaglio prima che se lo freghi qualcuno.
Per fortuna che alla fine c’è un aiuto insperato: mentre prendo la valigia arriva un SMS da Roma per avvisarmi che l’Ambasciata ha mandato una automobile per portarmi all’albergo, tutta per me. Uèila, qui non ci facciamo mancare niente! Peccato che l’auto dell’ambasciata fosse dal meccanico, per cui sono arrivati con la Gol(f) della cugina dell’amico di qualcuno, o qualcosa del genere… ad ogni modo, applausi per la capacità di arrangiarsi: gli americani mica ci sarebbero riusciti.
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