Diritti e solidarietÃ
Oggi, mentre giravo in macchina, ho sentito per ben due volte su Radio Flash un servizio da una sala torinese, in cui si teneva la presentazione di un rapporto sull’immigrazione in Piemonte. Il corrispondente raccontava di come una cinquantina di immigrati-rifugiati (cioè provenienti da paesi in guerra) avessero occupato la sala e interrotto i lavori per ottenere che il Comune provvedesse a dare loro una casa.
Con un tono fortemente indignato, il giornalista della radio e un suo intervistato si lamentavano di come il diritto all’assistenza di questi immigrati fosse violato; e di come il Comune non volesse nemmeno discutere la questione, e di come lo stanziamento comunale per questa categoria di persone fosse stato solo di un milione e mezzo di euro, sufficiente appena per una soluzione temporanea, mentre queste persone, pur avendo avuto il permesso di soggiorno, non riescono a pagarsi una abitazione decente – tanto da occupare abusivamente una palazzina – perché trovano soltanto lavori interinali.
La questione è interessante per vari aspetti: stiamo parlando del diritto d’asilo, cioè di una prescrizione riconosciuta da decenni da varie convenzioni internazionali, secondo le quali chi proviene da una zona di guerra ha diritto a venire accolto (non può essere respinto alla frontiera) e assistito. Il problema è che negli ultimi anni il numero dei rifugiati è in forte crescita, non tanto perché siano in aumento le guerre, ma perché l’industrializzazione dell’emigrazione permette a molte più persone di arrivare fino in Italia a costi accettabili; e anche perché la stessa industria suggerisce ai suoi poveri clienti di dichiararsi alla frontiera come proveniente dal Darfur o dalla Somalia, e prova tu, davanti a un immigrato senza documenti, a capire se è vero. Peggio ancora se l’immigrato si dichiara perseguitato politico.
Per l’Italia poi, la situazione è ulteriormente complicata dal fatto che, da accordi europei, l’assistenza è di competenza del primo paese UE in cui il rifugiato sbarca, anche nel caso in cui poi si sia spostato clandestinamente altrove. Ovviamente le nostre frontiere di burro e brava gente sono l’approdo più battuto.
Si potrebbe discutere su dove possa arrivare questo diritto; comprende solo il permesso di soggiorno, o dovrebbe, come sosteneva l’intervistato, comprendere anche una casa e magari un lavoro stabile? Perché, in questo caso, la domanda seguente è ovvia: in una situazione in cui una percentuale consistente degli italiani sotto i quarant’anni non ha nè l’una nè l’altro, come si può pensare che l’Italia possa assistere a quei livelli tutta la popolazione in fuga dalle guerre di mezzo mondo?
Quello che colpiva nell’intervista era proprio questo: il parlare di diritti in modo totalmente avulso dalla realtà , come se il livello di realizzazione dei diritti (che è cosa diversa dal diritto in sè) non dovesse necessariamente scendere a patti con la società circostante e con la quantità di ricchezza disponibile nel sistema; al punto da giustificare persino il tentativo di imporne il soddisfacimento con la forza, occupando sale e palazzine.
La situazione economica generale è evidente a tutti; vero, ci saranno abusi e sprechi, ma non c’è dubbio che le risorse collettive per l’assistenza siano scarse e che, visto il già alto livello di tassazione, non potranno certo aumentare; si tratta di decidere come dividerle equamente tra tutti i diritti esistenti, sapendo che non sarà possibile soddisfarli tutti completamente per tutti.
Se è vero che un diritto è un diritto, è anche vero che in un momento del genere tutti – a maggior ragione chi ne parla sui media – dovrebbero avere senso della misura; e magari ricordarsi che anche per esercitare un proprio diritto – che però si basa sulla solidarietà altrui, in un luogo dove si è ospiti – invece di sbraitare e aggredire gli altri sarebbe gentile chiedere per favore, e ringraziare.
[tags]diritti, diritto d’asilo, assistenza, rifugiati, torino, radio flash[/tags]
28 Novembre 2007, 17:55
mettiamo su una bella guerra civile, cosi’ siamo in guerra anche noi.
28 Novembre 2007, 19:42
A sentire i politici di tutti colori siamo già in uno stato di guerra civile, in una dittatura e con persecuzioni politiche. E questo senza neppure guardare dentro gli stadi di calcio!