Vigili e multe
Qualche giorno fa, al mio vecchio indirizzo, è arrivato nella buca l’avviso di un atto giudiziario, che il corriere non era riuscito a consegnare. Mia mamma ha provato a contattarlo per sapere come ritirarlo; dopo varie telefonate, si appura che l’atto non è ritirabile da terzi presso il corriere, ma che sarebbe stato disponibile dalla settimana successiva presso l’ufficio comunale di via Bellezia. Giovedì della settimana dopo, mi reco in via Bellezia, e scopro che l’atto non c’è ancora: “come fa ad arrivare dal corriere a noi solo in cinque giorni” (eh, che pretese). Così torno una seconda volta, e ritiro il mio atto.
L’atto si rivela una multa. Con la mia auto, mia mamma ha parcheggiato sotto casa mia troppo vicino all’incrocio. Non so se la macchina sporgesse sulle strisce, se fosse oltre il limite di dieci centimetri o di due metri, ma è una violazione e può dare fastidio. L’entità della multa, però, è di 11,98 euro; le spese sostenute dalla collettività per notificare e incassare quella multa sono sicuramente molto superiori. Se veramente è una violazione che merita di essere repressa, forse dovrei pagare una cifra più congrua, tale almeno da ripagare i costi. Se no, mi viene il dubbio che nella scala dei possibili impieghi del vigile urbano Fasano D. ce ne fossero altri magari meno lucrativi ma più socialmente utili; oppure socialmente inutili ma almeno più lucrativi.
Scrivo tutto questo perché mai come nel lavoro del vigile urbano emerge tutta la schizofrenia nell’applicazione e nel rispetto delle regole basilari di convivenza nelle città italiane, che porta a continue accuse tra vigili e cittadini. E’ naturale che girino le scatole quando si prende una multa, ma sempre più spesso questo diventa occasione di delegittimazione tout court dell’idea stessa che ci siano regole da rispettare, o di una lamentazione del genere “ma non avevano niente di meglio da fare?”. D’altra parte, esistono anche casi evidenti di cattivo uso del potere da parte dei vigili, di mancanza di buon senso, di evidente irrazionalità o insensatezza delle regole.
Per esempio, nelle scorse settimane i vigili si sono dedicati a multare i ristoranti. Ma non per problemi di igiene o di rumorosità ; sono andati da tutti i ristoranti che hanno la porta chiusa e un campanello da premere per farsi aprire, e li hanno multati perché secondo la legge un locale pubblico deve avere la porta sempre aperta. Quando La Stampa ne ha parlato, tutti sono rimasti allibiti: non solo è una violazione veniale, ma sempre più spesso la porta chiusa è un elemento di tranquillità , ad esempio proprio per la riluttanza dei vigili ad impedire la transumanza serale di venditori abusivi. Manco i vigili prendessero una percentuale dalla vendita di occhiali lampeggianti.
Oppure: ieri pomeriggio il semaforo di piazza Sabotino era rotto. Sotto un diluvio torrenziale, alcuni vigili – di cui ho ammirato l’abnegazione al dovere – facevano uno dei mestieri più orrendi che si possano pensare, quello del semaforo umano. Poi però, mentre ero fermo in attesa di passare, il vigile ha fatto nell’altra direzione un segnale che significava “giallo”. Stavano arrivando tre macchine di fila; lui ha puntato la terza, e si è letteralmente buttato sotto le sue ruote per fermarla, perché secondo lui il tempo del giallo umano era scaduto. La macchina è rimasta così bloccata nel bel mezzo dell’incrocio, con il vigile fermo davanti al muso a fare un cazziatone; nel frattempo, la sua collega ha dato il via nell’altra direzione, poi ci ha ripensato e si è rigirata, ma a quel punto eravamo tutti in mezzo. La vigilessa ci ha fatto gestacci visibilmente arrabbiati, come a dire “perché siete partiti?”; peccato che ce l’avesse detto lei. Insomma, ieri un pericoloso bruciatore di gialli immaginari è stato duramente punito con due minuti di cazziatone, ma nel frattempo si è creato un ingorgo che ha bloccato e asfissiato mezza piazza.
Stamattina, però, Specchio dei Tempi – che ultimamente ai vigili non risparmia proprio nulla – ha pubblicato la lettera di un venditore ambulante, che ha lasciato la macchina in divieto di sosta per mezza giornata perché “doveva lavorare”; e poi si è scandalizzato per la multa, anzi la rubrica ha pubblicato il suo accorato appello a “togliere la multa”. Ecco, lì si è andati troppo oltre; perché una cosa è il buon senso, cioè commisurare le multe al calcolo di costi e benefici e alla realtà di una città sovraffollata, dove talvolta la doppia fila o la svolta vietata sono il male minore rispetto a ingorghi e inquinamento; una cosa è lasciare che il buon senso si estenda oltre la ragionevolezza.
L’Italia è caratterizzata da un circolo vizioso: non si sa se quasi tutti ignorino le regole perché le regole sono troppe e troppo severe, o se le regole siano troppe e troppo severe perché tutti le ignorano. In questo circolo, da ambo le parti, la ragionevolezza svanisce, e ci si attacca alla lettera delle regole o al desiderio di non averne, invece che allo scopo per cui le regole sono state create. Io sostengo invece che di regole bisognerebbe averne poche ma chiare, e affidarsi di più al buon senso e alla responsabilizzazione delle persone. Ci hanno provato in Olanda e ha funzionato alla grande. Chissà se potrebbe funzionare anche a Torino.
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