Trasporti a Milano
Ieri ho compiuto il mio settimanale giro milanese, e ho colto l’occasione per ammirare l’efficienza dei trasporti milanesi, che si esplica in due situazioni: la ristrutturazione di Milano Centrale e la mitica 90. Dopo questa esperienza, se Chiamparino si prova a vendere GTT ad ATM lo pelo vivo come una patata!
La ristrutturazione di Milano Centrale è in corso ormai da un paio d’anni, anni in cui si è stati costretti a zigzagare tra barriere, buchi e deviazioni di ogni genere. Adesso è stata finalmente completata almeno la parte più vicina ai binari, e si è scoperta la genialità di questo progetto.
Infatti, la biglietteria ora è stata spostata, ed è tutta nuova: è situata nell’interrato del piano terreno sotto l’inizio dei binari. In pratica, entrando in stazione dall’ingresso principale (fermate della metro ecc.) essa è, almeno al momento, quasi impossibile da raggiungere: ci si arriva solo dalle entrate laterali o dall’atrio più a destra. Per collegarla con i binari, quindi, è stato costruito un dedalo di scale mobili del genere piatto, lento, senza gradini e poco pendente: in pratica, mentre una volta prendevi il biglietto e con venti secondi di scala mobile eri al binario, ora prendi il biglietto e devi percorrere a velocità di lumaca circa l’intera estensione della stazione per traverso, su due rampe separate. Peggio ancora se dai binari ti serve arrivare alla biglietteria: in questo caso c’è una scala mobile per mezza rampa, poi devi ripercorrere a piedi in piano metà della stazione per traverso, e poi trovi una nuova rampa che ti porta sotto.
Queste scale mobili sbucano proprio nel mezzo della grande galleria a livello binari che sta tra gli ingressi e i treni, per cui hanno dovuto forarla per centinaia di metri quadri, devastando i suoi storici mosaici e tutta la sua simmetria architettonica: e poi hanno anche la faccia di scrivere che l’intervento serve a ripristinare il monumento storico…
In più, la nuova biglietteria ora è aperta, ma le macchinette automatiche sono per tre quarti ancora fuori servizio: l’altra settimana era il primo del mese e c’erano code da delirio, se non che io ho scoperto altre macchinette in un angolo invisibile, proprio dentro la biglietteria accanto agli sportelli, che erano ovviamente deserte. Una di queste, peraltro, si è rifiutata di farmi biglietti per Torino: fa solo biglietti per le “destinazioni più comuni” e Torino non c’è, né Porta Nuova né Porta Susa.
Se esci vivo dalla stazione, poi, ti aspetta la fermata del 90 all’angolo con viale Tonale. Ci arrivi, e trovi un mucchio di recinzioni abbandonate nei venti centimetri di marciapiede, attorno a un magro alberello: sarà un cantiere, e per questo vicino alla palina c’è un cartello rotondo scrostato in ferro, risalente probabilmente al 1920, sul quale con un font del 1920 è scritto (leggibile a fatica) “FERMATA SOPPRESSA”. E basta: nessuna altra indicazione.
Ti chiedi allora dove mai passerà la 90 adesso, tenendo conto che è un filobus e quindi non può scorrazzare in giro per la città come gli pare. Bene, dopo un po’ capisci: dieci metri più indietro, appena oltre l’alberello cintato, c’è un altro cartello scrostato in ferro, stavolta triangolare, dove tra la ruggine e le macchie leggi a malapena “FERMATA PROVVISORIA”.
Ma era il caso di fare tutto sto casino per far fermare i filobus dieci metri prima? No, e infatti dopo ben due 727 e dieci minuti di attesa il filobus arriva, tira dritto e ferma esattamente accanto al cartello di “FERMATA SOPPRESSA”. Ci vanno circa due minuti di negoziazione perché la folla in attesa raggiunga il mezzo aggirando il cantiere, spinga, salga, si riparta…
Dopo due fermate, finalmente arrivo alla macchinetta per timbrare: devo timbrare assolutamente, perché leggo Repubblica e pertanto so che a Milano ci sono i controllori sbirri assassini che se trovano qualcuno senza biglietto lo prendono a bastonate e lo lasciano lì pesto e sanguinante, ma solo se non sa pronunciare perfettamente il termine “cassoeula”. Io qui sono straniero, il che ha i suoi vantaggi perché quando sono a piedi, attraverso col verde sulle strisce e quattro SUV tentano contemporaneamente di stirarmi facendo a portellate per essere i primi a farlo, posso gridargli “badòla!” senza che si incazzino; ma non sono sicuro di passare l’esame linguistico locale.
Quindi, sono lì davanti alla macchinetta, provo a timbrare e lì si presenta il dramma: il biglietto è più largo della fessura della timbratrice. Davvero! Sono lì, perplesso, e non so che fare: lo devo piegare? lo devo tagliare? me lo devo fumare? o va bene così? Non ci sono informazioni di nessun genere, né sul biglietto né sulla macchinetta. Alla fine decido di rischiare; non timbro, mi metto in un angolino e mi esercito per superare l’esame. Cassoeula, cassoeula, cassoeula…
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