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Archivio per il giorno 20 Dicembre 2008


sabato 20 Dicembre 2008, 17:39

L’acconto

Ieri mattina mi arriva una mail dal commercialista, che insieme agli auguri mi dice: guardi che entro il 29 dicembre deve pagare l’acconto IVA, le allego i conti. Apro e scopro che sono diverse centinaia di euro: quindi strabuzzo gli occhi e chiedo spiegazioni.

Già, perché va detto che l’IVA non è come l’IRPEF, per cui è normale avere un acconto. L’IRPEF è una tassa annuale, il cui ammontare può essere calcolato soltanto ben dopo la fine dell’anno a cui si riferisce; di fatto, è una tassa il cui debito con lo Stato concettualmente si forma man mano che ti entrano dei ricavi, ma che per forza di cose pagherai tutta con ritardo. A questo punto, mi sembra accettabile che lo Stato ti chieda già durante l’anno in questione un acconto, visto che tu comunque stai guadagnando e che alla fine dell’anno comunque dovrai pagare una cifra consistente; ha senso cominciare a pagarla durante l’anno e poi, alla scadenza, fare soltanto un aggiustamento. (Ha meno senso che l’acconto arrivi ad essere qualcosa come il 99% delle tasse dell’anno precedente, in modo che se per caso il tuo reddito scende tu vada a credito e debba poi aspettare un rimborso per anni e anni.)

Il problema è che questo discorso non vale per l’IVA: l’IVA è una partita di giro che ogni mese o ogni trimestre, a seconda della formula scelta, tu incassi dai clienti e subito versi allo Stato. Anzi, non è nemmeno così: la realtà è che tu emetti fatture che incasserai generalmente dopo tre, quattro, talvolta sei mesi, ma entro il 16 del mese successivo sei obbligato ad anticipare l’IVA allo Stato, e se per caso il cliente scappa senza pagare tu hai già anticipato dei soldi che non vedrai mai, se non compensando con anni di ritardo. (A fronte di questo, lo Stato ha persino il coraggio di obbligarti a pagare a fondo perduto l’1% di “interesse” se scegli l’IVA trimestrale: in pratica, siccome con l’IVA trimestrale mediamente trascorreranno 60 giorni invece di 30 tra la data della fattura e la data del pagamento IVA, per questo mese extra lo Stato pretende un interesse del 12,7% annuo, sempre su soldi che tu comunque non hai ancora incassato!)

Dunque, a fronte di una tassa che è una partita di giro, che senso ha chiedere un acconto? Acconto di cosa, esattamente? Perché è vero che a maggio, insieme alla dichiarazione annuale IRPEF, si fa anche una dichiarazione annuale IVA per chiudere i conti, ma se hai sempre fatto le cose regolarmente e non ci sono stati casini contabili il saldo da pagare è ovviamente zero. Se ti chiedessero un acconto basato sulla dichiarazione annuale IVA dell’anno precedente, come avviene per l’IRPEF, qualsiasi percentuale di acconto tenderebbe comunque a risultare zero.

Siccome però lo Stato ha continuamente bisogno di soldi, già dal 2001 ha introdotto questa meraviglia: in pratica, senza alcun motivo logico, a dicembre sei obbligato a pagare l’88% dell’IVA del dicembre o dell’ultimo trimestre dell’anno precedente, così, solo per dare un po’ di soldi allo Stato; soldi di cui poi potrai richiedere rimborso o compensazione una volta fatta la dichiarazione annuale diversi mesi dopo. E qui notate la maligna perversione: tradizionalmente, dicembre è un mese dove si fattura molto più della media, perché – come è successo a me l’anno scorso – si chiudono i conti di progetti e servizi annuali e magari ci scappa anche qualche bonus di fine anno per chi ha collaborazioni regolari (come? chi ha collaborazioni regolari dovrebbe essere assunto e non lavorare a partita IVA? grazie per la battuta). Di conseguenza, non solo chi lavora a partita IVA a Natale invece di ricevere la tredicesima la paga allo Stato, anticipando una consistente cifra di IVA su fatture di fine anno che mediamente incasserà ad aprile-maggio dell’anno dopo, ma dovrà rianticiparla una seconda volta l’anno dopo.

Tutto questo è pensato dando per scontato che chi lavora come libero professionista navighi nell’oro e possa venire spremuto come un bancomat ogni volta che vien voglia. Peccato che al giorno d’oggi la maggior parte dei “liberi professionisti” – in Italia, si dice, le partite IVA individuali sono ormai quasi dieci milioni, con un boom incredibile negli ultimi vent’anni – siano giovani precari dai redditi bassi, generalmente dipendenti travestiti da libero professionista.

E’ per questo che l’odio per il fisco e per lo Stato provocato dai loro atteggiamenti vessatori – odio che un tempo era limitato ai “padroni”, che si lamentavano ma intanto erano dotati di commercialisti maestri nell’elusione, e per questo era liquidato dal resto del Paese come “ma è giusto così tanto sono evasori e pieni di soldi” – ormai si espande a macchia d’olio dentro classi nuove, tra i figli trentenni della piccola borghesia, tra i giovani che un tempo sarebbero stati operai e ora sono operai delle aziende dell’informazione e invece di votare a sinistra, dopo aver pagato l’ennesimo acconto fiscale a fronte dello sfascio generale, votano Lega.

Io fossi nello Stato ci starei attento, perché qualsiasi azienda sa che, facendo regolarmente arrabbiare i propri clienti, prima o poi questi smettono di pagare; e dopo tutti questi acconti verrà un giorno la resa dei conti.

[tags]tasse, fisco, iva, acconto, precari, partite iva, professionisti[/tags]

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