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Archivio per il mese di Gennaio 2009


giovedì 8 Gennaio 2009, 18:07

Logica torinese

Anche oggi, da parte degli amministratori torinesi, ci sono dei capolavori di logica che non vorrei fossero andati perduti.

Il primo è il presidente della Provincia Antonio Saitta, alle prese col piccolo problema di aver già finito il sale da spargere sulle strade – ma non in questa nevicata: l’aveva già finito durante quella di Natale. Lui si scusa così: dice che la situazione è difficile perché quest’anno le scorte sono finite prima ancora che cominciasse l’inverno. E si sa, le scorte crescono solo in alcuni selezionatissimi presidi Slow Food, se questo è un anno in cui il raccolto di scorte è magro che ci possiamo fare? Ma poi ci spiega l’arcano: “Le scorte si fanno sulla media delle precipitazioni degli ultimi cinque anni”.

Ora, se la matematica non è un’opinione, dato che per definizione metà delle volte le precipitazioni sono superiori alla media, un anno su due si rimarrà senza sale; se poi capita l’anno statisticamente peggiore, ecco che le scorte finiscono già prima di Natale. Ma Saitta l’avrà mai sentita raccontare la favola della formica e della cicala?

L’altro creativo delle argomentazioni logiche è il presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello, che unendosi al coro pro-Tav fa il seguente ragionamento:

1) Nevica, quindi “alcuni valichi” sono bloccati, in particolare (lui non lo dice, ma potete leggere ad esempio il comunicato della società Autostrade) è vietata la circolazione dei TIR in Liguria e nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria, mentre sia il Frejus che il Monte Bianco sono regolarmente agibili;

2) I TIR piemontesi hanno costi più elevati perché per arrivare in Francia devono fare percorsi più lunghi, rendendo i nostri prodotti meno competitivi sul mercato francese;

3) Dunque è urgente costruire una ferrovia ad alta velocità tra Torino e Lione.

Perfettamente logico, no? Cioè, se per due giorni è bloccata l’autostrada per Savona e per Genova, c’è un “gap strutturale” che impedisce ai TIR di attraversare le Alpi verso Lione e Ginevra; e per rendere i TIR più veloci bisogna costruire un treno, su cui presumibilmente i TIR si trasferiranno per magia e sfrecceranno grazie alla nota rapidità e flessibilità dei treni merci, che peraltro sarebbero già disponibili ora (la linea attuale è semivuota) ma non li vuole nessuno.

Tutto questo, ricordiamolo, per poter consegnare “i prodotti piemontesi” in Francia impiegandoci mezz’ora in meno, visto che altrimenti non sarebbero competitivi: sapete com’è, al concessionario Fiat di Lione arriva una bisarca di Punto e lui è purtroppo costretto a rimandarle indietro perché ci hanno messo mezz’ora di troppo e ormai sono marce, altrimenti le avrebbe vendute come il pane. Peccato, perché noi siamo già svantaggiati dai “tragitti così lunghi” verso la Francia: mica come le aziende del Nord-Est o dell’Est Europeo, che la Francia ce l’hanno lì a un’ora di macchina!

Solo il continuo lavaggio del cervello a cui siamo sottoposti fa sì che centinaia di migliaia di persone avranno letto stamattina questi articoli pensando “però, hanno proprio ragione, ci vorrebbe proprio un treno veloce per portare i TIR attraverso la muraglia di neve!”.

[tags]la stampa, maltempo, neve, torino, saitta, tav, no tav, trasporti, disinformazione[/tags]

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mercoledì 7 Gennaio 2009, 19:54

Nevica, usate l’auto

Entro stasera dovevo tornare a Torino, causa un impegno di lavoro domani mattina.

Il mio piano originale era di tornare in auto, per poi tornare a Diano Marina in treno per il weekend. Tuttavia, vista la situazione meteo, ho pensato che fosse più comodo e sicuro fare l’opposto: lasciare l’auto in Liguria fino a domenica, e fare il giro a Torino in treno.

Non l’avessi mai pensato! Innanzi tutto, i collegamenti offerti da Trenitalia tra Diano Marina e Torino (circa duecento chilometri che, in condizioni normali, in auto si percorrono in meno di due ore) richiedono da orario tra le quattro e le sei ore. C’è un solo treno diretto al giorno, che ci mette quattro ore e quattro minuti. Negli altri casi, la scelta è tra usare una coppia di Intercity cambiando a Genova e passando da Alessandria (!), oppure andare fino a Taggia per prendere la storica linea del Tenda via Cuneo, mettendoci generalmente tra quattro ore e mezza e cinque ore e un quarto.

Sono andato stamattina in biglietteria a Diano Marina, e il ragazzo allo sportello, con un bell’accento ligure, mi ha totalmente dissuaso dal pensare a prendere il treno: persino i regionali che percorrono solo la costa avevano da una a due ore di ritardo.

Da sempre, uno dei vantaggi competitivi del treno è quello di essere poco ostacolato dal cattivo tempo: il traffico è già regolato, il treno non può scivolare e sbandare, per pulire i binari se la neve è alta ci sono gli spazzaneve su rotaia, e bisogna al massimo controllare che non gelino gli scambi. Da sempre, tutte le volte che c’è maltempo, si susseguono gli appelli ad usare il mezzo pubblico.

Eppure, alla fine io mi sono preso la mia macchinina e, facendo un bel po’ di bolina sui viadotti dell’Autofiori, e subendomi la solita bagarre dietro gli spazzaneve sull’Appennino, sono arrivato tranquillamente a Torino in due ore e mezza; avessi preso il treno, probabilmente avrei dormito sul Tenda. Ma non è deprimente?

[tags]treno, auto, traffico, trasporti, neve, maltempo, trenitalia[/tags]

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martedì 6 Gennaio 2009, 15:43

Facebook e mafia

Ho cominciato ad usarlo da dieci giorni e già siamo in mezzo alle polemiche?

Comunque, a un italiano è chiaro che il “Bernardo Provenzano fan club” e simili, in un paese civile, non possono esistere; nemmeno su Facebook. Per gli americani di Facebook, in compenso, è chiaro che – come da primo emendamento alla Costituzione americana – tutto ciò che non passa all’azione e che non si qualifica come pornografia o razzismo è concesso: per cui via le foto delle mamme che allattano, ma i gruppi dei fan di Riina – ragazzotti della profonda Trinacria che usano il mezzo tecnologico per fare pubblicamente gli auguri di compleanno al boss dei boss e ricordare le sue eroiche gesta – non si toccano.

In realtà, il vero punto è che per Facebook, Youtube e compagnia bella il controllare i contenuti, perdipiù adattandosi alle molteplici idiosincrasie e legislazioni di un paio di centinaia di nazioni su cui sono sparsi i loro utenti, è una rottura di scatole non da poco: vuol dire costi, elevati rischi di errore, probabili grane legali. Meglio proclamarsi strenui difensori della libertà di espressione, e con questo schivare il problema.

Eppure, non ho il minimo dubbio che un applicativo online in italiano, usato da italiani per fare apologia della mafia – reato in Italia – verso altri italiani, sia soggetto alle leggi italiane sulla pubblica espressione, anche se è realizzato da una società americana su server americani; se non fosse così, saremmo veramente una colonia, priva di qualsiasi sovranità.

E’ vero che la neutralità della rete è importante, e che queste piattaforme non dovrebbero avere il diritto di censurare a proprio piacimento i contenuti che vi passano attraverso (vedi appunto il caso delle foto di allattamenti). E’ diverso, però, quando tale censura è prevista e anzi richiesta dalla legge: non applicarla, dopo ampie e numerose segnalazioni, significa volersi rendere apertamente complici di un atto perlomeno immorale, probabilmente criminale. E se proprio io, gestore di una piattaforma del genere, avessi il dubbio su quale sia il mio dovere tra rispettare un eventuale divieto di interferenza e rimuovere l’apologia dei mafiosi, preferirei errare contro i mafiosi piuttosto che a loro favore.

Per fortuna che decine di migliaia di utenti di Facebook si sono già mossi (qui potete aderire). Certo, c’è sempre il rischio che questo genere di “campagna virale” sfoci nel qualunquismo o nella caccia alle streghe, sfogandosi contro minoranze di qualsiasi genere, ed è un rischio da tener presente; tuttavia, per ora preferisco gioire vedendo che in Italia, persino su una piattaforma che molti presentano come il trionfo del becero, ci sono ancora tante persone che si indignano.

[tags]facebook, mafia, censura, neutralità della rete, azione dal basso, internet[/tags]

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lunedì 5 Gennaio 2009, 17:58

Mangiare in Liguria

Tra ieri e oggi abbiamo provato un paio di posti dove mangiare nel circondario: infatti, causa freddo e febbre abbiamo passato tutte le vacanze rinchiusi nella nostra casetta, e solo con il venire del sole e delle buone condizioni siamo scesi a valle a cercare cibo.

Il primo posto è stato il Ristorante Bagni Restano a Cervo, uno dei posti più conosciuti in zona. E’ un locale proprio sulla spiaggia, nella zona delle vecchie rimesse che sta tra San Bartolomeo e la fantastica marina con ponte ferroviario di Cervo (quest’ultimo è un posto bellissimo, peccato che quando tra pochi mesi chiuderà la ferrovia ottocentesca finiranno certamente per piazzare delle auto sul ponte o per abbatterlo); ci si arriva dalla strada che si stacca dall’Aurelia verso il mare proprio in corrispondenza del sottopassaggio della ferrovia.

Siamo andati subito al sodo e abbiamo preso spaghetti allo scoglio e pappardelle con carciofi e gamberetti, e poi fritto misto per due: tutto ottimo, sia i primi (specialmente il mio, visto che è stagione di carciofi) che il fritto, che conteneva pesci anche di buone dimensioni che però non sapevano di fritto, ma di pesce appena cotto, rosa al punto giusto; anche i calamari non sapevano di gomma e onion rings come nella maggior parte dei fritti, ma di calamaro appena colto (macellato, potato, insomma comunque sia che i calamari diventino quella roba che lì però chiaramente non era un cilindrato Pirelli, ma aveva anche regolamentari punte e barbette). Senza antipasti, con un solo dolce e con mezzo litro di vino – ma siamo usciti piegati, sarà che era domenica sera e avevano il pesce da finire ma il fritto era davvero abbondante e ha messo in seria difficoltà anche me – e con un oste davvero gentile, abbiamo speso meno di 35 euro a testa: sommando il fattore pesce al fattore Liguria direi che è giusto così.

Oggi invece siamo andati in gita ad Albenga e, nonostante le indicazioni contrarie della guida delle Osterie d’Italia, abbiamo trovato aperta la farinateria Puppo, la principale istituzione culinaria del centro storico (peraltro pieno zeppo di ristorantini, che però erano tutti o chiusi o vuoti; qui invece c’era la coda fuori). Certo, all’arrivo ci siamo trovati davanti l’ennesimo pacco da Osterie d’Italia: come quasi sempre quando si segue questa guida, si riceve la promessa di un posto rustico dei tempi andati – qui addirittura doveva essere uno di quei buchi nei caruggi che fanno la farinata come nell’Ottocento – e ci si ritrova davanti un locale leccatissimo pieno di proposte fighette e arredi eleganti, e dai prezzi regolarmente rivisti all’insù.

Comunque, qui l’eleganza del locale è ancora tollerabile, limitandosi a dei bei mobili antichi di legno, dei bei tavoli rivestiti di marmo, e l’ormai obbligatoria carta ruvida color senape su cui piazzare i fritti accanto a un inutile contorno di rucola (mio dio, quanto odio il contorno di rucola); alla fine, il leccatismo si è rivelato davvero l’unico punto debole del locale, a parte forse l’orrida cassetta di hits di John Denver il cui suono usciva dalla cucina.

Il cibo, infatti, era eccellente, a partire dalla farinata, che era davvero perfetta: una sottilissima crosta unta e non dura sotto, uno strato di consistenza papposa ma solida in mezzo, e sopra le isolette di parte cotta e rappresa come le rocce in mezzo a un mare di lava, solo che queste sprizzano olio d’oliva. Poi abbiamo preso una zuppa di pesce, una fetta di caciotta alla piastra con miele, fette sottilissime di pera e gherigli di noce (vi avevo detto che era un posto fighetto) e soprattutto delle eccellenti acciughe fritte, un altro piatto povero che è difficile trovare in giro ma che se fatto bene è ottimo. Anche i dolci erano buonissimi, in particolare il mio cestino di pasta sfoglia contenente una mousse alla fragola e panna guarnita con fragoline di bosco (vi avevo detto ecc.). Porzioni comunque buone, conto 39,80 euro in due rigorosamente senza scontrino.

In appendice, segnalerò che ad Albenga ci siamo andati per visitare il centro storico medievale, che è uno dei tesori nascosti della Liguria; non è enorme ma è bellissimo, una cosa che fosse in Toscana ci verrebbero i giapponesi, e invece è in Liguria quindi i locali lo tengono nascosto perché sono troppo intenti a costruire palazzoni e parcheggi sul mare. Abbiamo provato anche un’altra esperienza bellissima, l’antica strada romana che tuttora è percorribile a piedi su per i colli verso Alassio, e che corre tra gli ulivi fiancheggiata da sette o otto edifici funerari romani ancora ben visibili; peccato che i liguri ci abbiano subito costruito sopra delle ville (con indirizzo “passeggiata Archeologica 4”!), spezzando i muri del I secolo d.C. per farci il vialetto d’accesso, e riempiendo le pietre del selciato romano con cemento anni ’60 per passarci più comodi con le macchine. E trovare questa strada è praticamente impossibile, sopravvive a malapena qualche cartello giallo anni ’70 arrugginito e crollato per terra! Certo che lo scempio che hanno fatto della Liguria è davvero tremendo: non stupisce che ormai attragga solo più i pensionati di Torino e Milano.

[tags]ristoranti, recensioni, liguria, albenga, cervo, turismo, osterie d’italia[/tags]

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sabato 3 Gennaio 2009, 12:12

Potere e grandi opere

Tra la pila non molto spessa di libri che mi porto dietro per i periodi di vacanza, da qualche tempo c’era Sulla pelle viva, il libro di Tina Merlin che racconta la storia della tragedia del Vajont in modo giornalistico, dettagliando puntualmente, quasi giorno per giorno, la sequenza dei fatti che portarono al disastro.

L’ho letto ieri ed è molto interessante, non solo per il valore storico di testimonianza, per provare che tutti sapevano ma tacevano, che non si è trattato affatto di un disastro naturale ma del risultato dell’avidità e dell’incoscienza di industriali, tecnici e politici, perfettamente prevedibile ed evitabile. E’ interessante la lezione generale che se ne trae, sul rapporto tra potere e persone, tra centri e periferie, tra (presunta) modernità e tradizione, tra sviluppo e ambiente.

La cosa che più mi ha colpito leggendo quelle cronache è infatti stata la similitudine con tante altre cronache anche ben più recenti. I racconti sui carabinieri mandati dalla pianura a sorvegliare le preoccupate riunioni dei comitati valligiani o a espropriare con la forza i pascoli e i boschi necessari alla grande opera, o le testimonianze sui giornali democristiani o confindustriali che omettevano qualsiasi accenno ai pericoli del progetto ma pubblicavano continuamente paginoni per lodare l’ambizioso progetto fonte di sviluppo e di gloria nazionale, sono precisi identici ai racconti che trovate sui siti No Tav, che potete ascoltare da Venaus o dai presidi contro gli inceneritori, contro le discariche, contro la base americana, contro questa o quella infrastruttura decisa altrove per gli interessi di qualcun altro, e calata sulla testa di un territorio remoto dando per scontato che, in quanto remoto, esso abbia meno diritti di sopravvivere rispetto alla pianura, alla città, all’industria.

Naturalmente questo non vuol dire che tutte le grandi opere finiscano in tragedia o anche solo che siano tutte inutili e tutte esclusivamente finalizzate ad interessi economici privati; dimostra però come i meccanismi del potere siano sempre gli stessi, cioè una decisione presa in un palazzo da poche persone, sostenuta manipolando l’informazione, comprando a colpi di consulenze i dipendenti pubblici che dovrebbero vigilare e i tecnici universitari che dovrebbero valutare, e motivata pubblicamente con obiettivi di sviluppo, posti di lavoro e ricchezza, ma in realtà gestita badando soprattutto a massimizzare il profitto di chi la realizza, prima ancora delle ricadute positive per la collettività (qualora esistano).

Per questo mi ha fatto ancora più effetto vedere proprio in questi giorni su La Stampa – dopo la spaccatura del tavolo di discussione tra sindaci e governo – una serie di paginoni ancora sulla Tav, pieni di interviste al tecnico pro-Tav Virano (e se è tecnico vuol dire che è imparziale e degno di fiducia, no?), di sdegno di Chiamparino e Bresso, di illazioni sui fini elettorali della protesta, persino di aperte minacce del tipo “il PD non supporterà più le candidature dei sindaci No Tav” (nota: la SADE riuscì a superare l’opposizione locale alla costruzione della diga del Vajont quando acquistò a peso d’oro i terreni del sindaco di Erto, fino ad allora leader della protesta, dimostrando a chi resisteva che tutti erano in vendita).

In tutti questi paginoni, chili e chili di carta, La Stampa si è dimenticata di raccontare alcuni dettagli, per esempio che i rappresentanti dei sindaci della valle hanno lasciato il tavolo perchè Virano è andato a presentare all’Unione Europea un documento a nome anche loro che approvava il nuovo progetto della Tav, ma si era “dimenticato” di discuterlo con loro e di dirgli che semplicemente leggendolo lo stavano approvando. O che non sono i sindaci che hanno lasciato l’Osservatorio sulla Tav in un impeto di distruttività, ma lo stesso Virano che ha deciso di chiuderlo dimettendosi perché tanto i valligiani sono stati gabbati e il tavolo non serve più, badando bene però a rovesciare la frittata. Ma cosa volete che sia…

Per questo fa un po’ ridere vedere sullo stesso giornale un dibattito tra Meo e Mantellini (addirittura) sul tema “Internet, facendo circolare le informazioni, avrebbe potuto fermare Hitler?”. Sarà… vediamo se perlomeno Internet riuscirà a far circolare qualche informazione un po’ meno manipolata su ciò che succede nel giardino di casa nostra!

[tags]vajont, merlin, tav, no tav, la stampa, informazione, potere, grandi opere[/tags]

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venerdì 2 Gennaio 2009, 14:08

Film di Natale

Ma perché nelle vacanze di Natale le televisioni devono ritrasmettere solo ed esclusivamente i peggiori film della storia del cinema? Al massimo ne capita qualcuno di bello ma consumato dalle troppe visioni (tipo l’intera serie della Pallottola Spuntata), ma per il resto, bloccato davanti alla TV per la scarsa voglia di accendere il cervello e pure per qualche linea di febbre, mi sono toccati titoli come Un poliziotto alle elementari (da allora hanno vietato a Schwarzenegger di girare commedie) e Il libro della giungla versione Disney anni ’50, un capolavoro per l’abilità del regista nel girare un intero film sugli animali feroci della giungla senza mai mettere il protagonista umano e un singolo animale feroce nella stessa inquadratura.

In pratica il film funziona così, inquadrano Mowgli da solo in mezzo ad alberi di cartone che dice “Come dici Bagheera? Sei arrabbiata?”, poi si stacca sulle immagini sbiadite di una pantera nera che si rotola al sole estratte da un documentario di dieci anni prima, poi reinquadrano Mowgli che dice “Sì, hai proprio ragione!”, e si stacca su altre immagini di una pantera nera, talvolta diversa dalla precedente o ripresa in un luogo completamente differente. Alla fine c’è una scena in cui si vede una porta, inquadrata a tutto schermo, chiusa e ferma, e si sente la voce di Mowgli che dice: “Elefante! Dai, abbatti la porta! Così! Tira su la proboscide!”, insomma fa tutta la radiocronaca finché non si vede la porta che cade e Mowgli che entra…

Stamattina, comunque, mi è capitato il peggio del peggio: un film intitolato Il maestro cambiafaccia, con Dana Carvey (l’ex spalla senza talento di Mike Myers). In pratica, il film gira attorno a Carvey che interpreta un idiota (o è un idiota, almeno questo è ciò che penso dopo aver visto il film) che impara a travestirsi perfettamente da altre persone. L’intero film è una serie infinita di gag in cui Carvey si traveste da personaggi che dovrebbero essere divertenti, ma che non farebbero ridere nemmeno un bambino di quattro anni. Per il resto, la trama è inesistente, e il copione fa acqua da tutte le parti – come quando la protagonista si presenta al cattivo (interpretato da Brent Spiner, e qui si capisce perché la sua carriera non sia mai andata oltre Star Trek) come “Barbara”, e cinque minuti dopo lui la saluta come “Jennifer”. E proprio quando pensi che il film, raggiunta la lunghezza minima sindacale, sia finalmente finito, Carvey ci aggiunge la peggior imitazione di George W. Bush mai fatta da alcuno, e poi minuti e minuti e minuti di blooper non divertenti sui titoli di coda, e poi, quando finiscono i titoli di coda, ci aggiunge anche ulteriori scene non divertenti in cui lui scherza con un nano. Non meraviglia che dopo questo film, del 2002, Carvey non abbia più fatto nemmeno un film!

Per fortuna che ieri sera almeno c’era lo spettacolo di Paolini

[tags]film, televisione, disney, cinema, il libro della giungla, carvey[/tags]

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giovedì 1 Gennaio 2009, 15:16

NNSquad Italia

Oggi, come primo giorno dell’anno, vorrei segnalare che io e Stefano Quintarelli abbiamo messo in piedi la sezione italiana di NNSquad, l’iniziativa internazionale nata per difendere e promuovere la neutralità della rete. Per ora si tratta solo di un sito, ma speriamo di poter spargere la voce, raccogliere adesioni e proporre qualche iniziativa; per il momento attendiamo commenti, suggerimenti e aiuti di qualsiasi genere…

[tags]nnsquad, neutralità della rete, internet, governance[/tags]

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