La terra dei branchi
Ho apprezzato molto l’editoriale di Barbara Spinelli sulla prima pagina de La Stampa di oggi, intitolato Gli eroi non vivono in branco (era online stamattina sul sito ma l’hanno tolto, spero ricomparirà presto nel blog della Spinelli). In pratica sottolinea ciò che è evidente a tutti, cioé che la società italiana è ormai completamente balcanizzata, divisa in gruppi e gruppetti a cui ogni persona sente di appartenere, e che si pongono in antagonismo forzato sia verso gli altri gruppi che verso il concetto stesso di collettività .
L’Italia è da sempre il paese del tifo: invece di discutere civilmente e pietosamente sul conflitto tra israeliani e palestinesi e su come ricomporlo, ci si divide tra chi tifa per i primi e chi tifa per i secondi; e lo stesso per qualsiasi altra questione politica o sociale. Sempre più spesso, però, il tifo è assoluto: arruolandosi in una squadra si nega la legittimità stessa dell’altra, e ci si pone come obiettivo non la mediazione, ma la sconfitta assoluta dell’avversario.
Qualsiasi discussione, insomma, deve concludersi con la propria vittoria, con l’ottenere ragione completa, e con la sconfitta dell’avversario; se così non avviene, se un terzo osservatore o la collettività prendono un’altra via, si va automaticamente a concludere che essi sono stupidi, ignoranti o direttamente corrotti e in malafede.
E’ sintomatico come, in un paese dove (come riportato oggi dai giornali) “il numero di reati gravi per abitante è pari solo a quello della Bosnia”, si abusi ormai della parola “giustizia”: una parola che, per definizione, dovrebbe essere usata con misura e con ponderatezza, essendo sin dal principio coscienti dei limiti insiti nel suo stesso concetto. Ormai, invece, la parola “giustizia” viene soltanto più gridata: “Giustizia!”.
Non passa giorno che non inquadrino madri tremanti e amici rabbiosi che gridano “Giustizia! Giustizia!” – ed è chiaro invece che ciò che essi davvero gridano è soltanto “Vendetta! Vendetta!”. Ed è, perdipiù, una vendetta tifosa: non interessa a chi la grida alcuna misura di equità né tantomeno di prevenzione o di redenzione del crimine, interessa solo il ripristino delle gerarchie di potere, la prova ufficiale che “noi” abbiamo ragione e “loro” hanno torto, talvolta persino la prova ufficiale che “noi” siamo più forti e “loro”, pur avendo conseguito un temporaneo vantaggio mediante un ammazzamento o una prevaricazione, alla fine soccombono – e tanto meglio se la loro sconfitta è devastante e sproporzionata, come auspicano tutti quelli che reclamano la pena di morte o il pestaggio di piazza per gli scippatori o gli spacciatori di turno.
E’ ancora più preoccupante come la sostituzione mentale del sé-cittadino col sé-membro-del-branco abbia ormai contagiato le istituzioni. I casi di abusi da parte delle forze dell’ordine si moltiplicano, e ormai intere fasce sociali vedono i poliziotti come un nemico a prescindere, anziché come una entità sopra le parti. Cosa potranno pensare i senegalesi d’Italia, dopo l’episodio del poliziotto vicedirettore del locale Ufficio Immigrazione che ammazza a freddo il vicino senegalese perché gli dava fastidio che usasse anche lui il giardino condominiale?
E’ difficile, in un clima del genere e in un momento di crisi economica, pensare che la convivenza civile possa durare a lungo: inevitabilmente i vari branchi si scontreranno ogni qual volta vi saranno delle risorse in palio. Per evitarlo, sarebbe necessario rieducare gli italiani alla civiltà moderna; ammesso che vi siano mai stati educati.
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