Giuseppe Gatì
È un paio di giorni che cerco di scrivere questo post, senza riuscirci.
Il post parla di Giuseppe Gatì, una persona che voi probabilmente conoscete senza saperlo. Il suo nome non era mai emerso, ma Giuseppe è diventato piuttosto famoso quando durante le recenti vacanze natalizie le televisioni, da Blob in poi, hanno cominciato a trasmettere il filmato della sua contestazione: un ragazzo di ventidue anni che ad Agrigento, davanti alle autorità schierate a festa e alle forze dell’ordine messe a protezione del potere, si alza e ricorda che l’ospite d’onore Vittorio Sgarbi – paracadutato da non si sa chi come sindaco di Salemi, nel cuore della Sicilia – è in realtà un pregiudicato, condannato per truffa ai danni dello Stato; e grida “Viva Caselli! Viva il pool antimafia!”. Naturalmente era stato portato via di peso, spintonato, trattenuto per “accertamenti” per ore.
Giuseppe Gatì, a ventidue anni, lavorava; faceva il pastore e l’operaio nel caseificio del padre, a Campobello di Licata, sulle colline dietro Agrigento. Sabato mattina, solo un mese dopo i suoi quindici minuti di gloria, Giuseppe è stato trovato morto; era andato a prendere il latte da un vicino. Ha afferrato il rubinetto di metallo della vasca refrigerata per aprirlo, ma nell’impianto c’era un filo scoperto; è morto fulminato.
Abbiamo pensato tutti la stessa cosa: che nelle campagne siciliane certi incidenti non succedono per caso. E già mesi fa, da altre fonti, avevo sentito storie preoccupanti, dei ragazzi candidati alle regionali siciliane per la lista di Sonia Alfano – la presidente dell’Associazione Familiari Vittime della Mafia – che vanno ad attaccare Sgarbi in campagna elettorale, e vengono minacciati prima dalla polizia e poi da sconosciuti figuri del posto con un aspetto poco raccomandabile. Ma sarebbe ingiusto, in una situazione così dolorosa, dedicarsi alle illazioni; confidiamo che ci sia ancora qualche investigatore, qualche giudice che voglia prendersi la questione sulle spalle, e darci una risposta attendibile.
Comunque, se fosse un’altra delle tante morti sul lavoro che accadono in Italia, sarebbe altrettanto significativa: uno di quei pochi giovani che non si rassegnano alla corruzione e alla mediocrità dell’Italia, ucciso da uno dei difetti endemici dell’Italia stessa.
Di tutta questa storia, alla fine, resta un senso di vuoto: il senso che davvero, tra un tè pomeridiano e un futile discorso, l’Italia ormai si sia rovesciata, come la definiva Grillo dedicando a Giuseppe Gatì gli auguri di inizio anno. Lo stesso Grillo gli ha dedicato il post, domenica, ma è anch’esso un post pervaso di vuoto, di smarrimento: come se nemmeno lui, l’infiammato per eccellenza, riuscisse a superare lo stordimento.
E però, il vuoto dura soltanto un attimo: perché se c’è una cosa che è chiara e imperativa, è che tutte queste morti non devono avvenire invano.
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