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Archivio per il giorno 29 Luglio 2009


mercoledì 29 Luglio 2009, 11:51

Motivi poco noti per contestare Urbano Cairo

In questi giorni, nel mondo dei tifosi, è successo un fatto piccolo ma storico. Da sempre, i tifosi di calcio sono divisi in tre grandi categorie: gli ultras, i club e i tifosi non organizzati. Da sempre, la politica delle curve è fatta dagli ultras, e al massimo dal coordinamento dei club; sono loro a decidere quando si festeggia e quando si contesta, e spesso anche a fare e disfare i presidenti; al Toro, Sergio Rossi fu cacciato dagli ultras, mentre Urbano Cairo arrivò soprattutto grazie a loro. Le tre categorie non si mescolano quasi mai; gli ultras vivono nel loro mondo di “mentalità” e di rivalità anche fisica; i club vivono di feste, di amicizia, di trasferte insieme; per i tifosi sciolti il tifo si accende con il fischio d’inizio e finisce a fine partita.

Che tutto questo stia cambiando è evidente da un po’; gli ultras sono sempre di meno, decimati dalle leggi e dai divieti, ma anche da una società sempre più controllata e sempre meno “di strada”, e la Maratona non è certo più quella degli anni d’oro dal ’75 al ’95. In compenso, grazie a Internet sono nati “i forum”: se prima i tifosi non organizzati non avevano alcun mezzo per farsi sentire, ora sono diventati un nucleo di migliaia di persone che agiscono indipendentemente ma che sono in grado di organizzare e di esprimere una opinione in modo mediaticamente rilevante.

Per la prima volta adesso, grazie a un paio di assemblee aperte a tutti i tifosi, è emerso un tentativo di esprimere una opinione collettiva della tifoseria che possa essere sottoscritto da tutti – dai club come dai tifosi singoli. Non più un comunicato di un direttivo, ma un lavoro di tutti che chiunque può sottoscrivere (testo e indicazioni qui o qui o qui)… e che nasce per molte valide ragioni.

Nasce come critica costruttiva a Urbano Cairo, perché Cairo è difficilmente sostituibile in questo momento, ma criticabile per tante ragioni; le più importanti però sono pressoché sconosciute al grande pubblico, ed è per questo che vale la pena di spiegare un attimo alcuni punti del comunicato.

La critica a Cairo non è particolarmente legata ai risultati; i risultati non sono esaltanti ma nemmeno tremendi, se paragonati al Toro degli ultimi quindici anni. I problemi veri del Toro però sono altri; del resto non è possibile che giocatori vecchi o giovani, di nome o promettenti, si imbrocchiscano improvvisamente tutti dal primo all’ultimo arrivando a Torino, dunque ci deve essere qualche problema sistematico.

Cominciamo dal più banale: l’organizzazione societaria. In quattro anni il Toro ha cambiato otto volte allenatore, e quattro o cinque volte direttore tecnico/sportivo. In pratica, Cairo è un accentratore che prende tutte le decisioni e poi usa i propri collaboratori come capro espiatorio alla bisogna – oppure sono loro che se ne vanno, dato che a nessuno piace quel ruolo. La gestione della società è improntata alla promozione personale del suo proprietario e all’incremento della sua popolarità, fino all’assurdità continuata degli SMS e delle telefonate amorose che decine di tifosi scambiano col presidente, che risponde a ogni ora del giorno e della notte come un quattordicenne per difendere ad oltranza qualsiasi sua decisione.

Tutte le società di A e B e la maggior parte di quelle di Lega Pro hanno un proprio centro sportivo di proprietà o comunque un luogo unico per gli allenamenti di tutte le squadre, generalmente completo di foresterie per le giovanili e punto vendita per gadget e biglietti. Tutte, tranne il Toro, le cui varie squadre si allenano un po’ dove capita – la prima squadra alla Sisport, un impianto dove non c’è nemmeno una bandiera granata su un palo, e se un tifoso vuole andare a vedere l’allenamento rischia seriamente di non capire dov’è. Il famoso progetto di ricostruzione dello stadio Filadelfia è tutt’altro che uno sfizio da nostalgici; il Toro è stata la prima società in Italia, forse al mondo, a inventare questo modello di “base sportiva” che adesso è considerato normale e adottato ovunque, e che permette un circolo virtuoso in cui i professionisti di oggi fanno da esempio a quelli del futuro; è stato quello che ha permesso al Toro di diventare la società italiana più vincente della storia a livello giovanile, e di restare ai vertici negli anni ’70 e ’80 anche con meno risorse degli altri. Ma Cairo è talmente interessato al futuro del Toro che (oltre a non fare mai nulla di concreto per il Filadelfia) quest’anno per risparmiare 40.000 euro di stipendio ha licenziato Pigino – uno dei migliori tecnici giovanili d’Italia – e ha eliminato l’intera squadra dell’annata 1989.

Veniamo ora al trattamento dei tifosi, cioè dei clienti. Cominciamo dagli aspetti economici: dai 230 euro di abbonamento in curva dell’anno scorso in A (prezzo superato solo da Juve, Inter e Milan) si è scesi in B a 160; è comunque un prezzo da media serie A. In più il Toro è quasi l’unica società che non applica riduzioni in curva ai minori; o meglio, a furor di popolo, il giorno dopo la pubblicazione dei prezzi sui giornali, è stata introdotta al volo una riduzione a 90 euro per la sola curva Primavera, tante erano le proteste; in Maratona niente. Infine, per legge i minori di 14 anni hanno diritto a entrare gratis allo stadio, insieme a un adulto abbonato o pagante, in almeno metà delle partite; generalmente le società pubblicizzano per bene questa possibilità, ma il Toro non lo scrive da nessuna parte (del resto il sito del Toro è abbastanza imbarazzante) e se si insiste al centralino si scopre che la possibilità è limitata al solo settore di tribuna bassa (un posto dove abbonati non ce ne sono e dove l’adulto pagante sarà spennato per una visibilità pessima) e solo chiamando un 199 e spendendo vari euro per fare il biglietto “gratuito”. Tutte le società di calcio investono sui giovani e sulle famiglie; per esempio a Genova, per vedere l’alta serie A, una famiglia di due adulti e un bambino si abbona con circa 500 euro nelle tribune (non in curva). Da noi l’anno scorso il conto in curva faceva 690 euro; quest’anno, in B, sono 480 in Maratona e 410 in Primavera. Evidentemente a Cairo non frega niente di costruirsi un pubblico per i prossimi vent’anni… ma nemmeno per quest’anno (negli anni molte società retrocesse dalla A hanno messo gli abbonamenti a 100 euro per riempire lo stadio e facilitare la risalita). E stiamo parlando in totale di sconti per poche centinaia di migliaia di euro, che nel bilancio di una società professionistica contano davvero poco – molto meno delle perdite da mancata promozione per scarso entusiasmo nell’ambiente.

Anche sull’aspetto economico ci sarebbe da discutere; sicuramente Cairo ha speso parecchi soldi (male, pagando milionate di stipendio a giocatori bolsi e sul viale del tramonto), ma d’altra parte non ha speso un euro per l’acquisto della società; le sue campagne di mercato sono state tutte condotte al risparmio, puntando soprattutto a prestiti, acquisti a metà, ingaggi di quel che è rimasto libero all’ultimo secondo – e questo non è necessariamente un male, ma certo le spese non sono state stratosferiche. Ogni volta che va in televisione Cairo si bulla di quanti soldi ha speso, ma se uno va a vedere i bilanci del Toro scopre che l’ultimo finanziamento non è nemmeno stato messo come aumento di capitale, ma come finanziamento in conto soci – in pratica, un prestito da Cairo al Toro che il prossimo acquirente dovrà rimborsare. Le stesse sponsorizzazioni sono mal cercate e mal gestite; molti sponsor sono un regalo del caso (o meglio, di alcuni tifosi che costruiscono da soli le operazioni, per puro amore) e la società è pure riuscita a maltrattarli fino a farne scappare parecchi alla prima occasione.

Ma torniamo ai clienti: il Toro è una delle pochissime società che non si appoggia a una banca né per gli acquisti a rate né per la rete di vendita. In pratica, i biglietti del Toro sono acquistabili solo in poche tabaccherie; per dire, dalla val d’Aosta il punto più vicino è Aglié, e mezza Liguria deve andare fino a Genova; e non parliamo dei non pochi tifosi del Centro e Sud Italia (ci sono persone che, oltre a fare 1500 km ogni volta per vedere la partita, devono farne centinaia solo per comprare il biglietto). Anche a Torino, chi ha dovuto rinnovare l’abbonamento in questi giorni (scade oggi) ha avuto a disposizione solo una dozzina di tabaccherie, buona parte delle quali erano chiuse per ferie. Non parliamo delle partite fuori abbonamento: gli anni scorsi, per vedere la Coppa Italia o le amichevoli estive bisognava fare da un’ora a un’ora e mezza di coda alle biglietterie dello stadio. Quanto ai disabili, la società se ne è lavata le mani e ha affidato la gestione dei relativi posti al club dei Tori Seduti, che si smazza tutte le pratiche ogni volta (comprese quelle dei disabili ospiti), a fronte di posti in buona parte inagibili e della carenza di parcheggi riservati dentro l’impianto (vuoi mica far spostare le Porsche dei giocatori). Non è certo un segno di grande interesse per i propri clienti.

Tutto, insomma, fa pensare a una gestione abborracciata, mirata all’esposizione personale di Cairo, senza alcuna programmazione o investimento per il futuro; e non si capisce se è perché Cairo aspetta soltanto l’offerta buona per vendere, o se veramente questo è lo stile gestionale del personaggio.

Ma non è finita qui: ci sono cose più inquietanti. Da quest’anno la società, di sua iniziativa pare unica in Italia, ha messo un limite al numero di abbonamenti acquistabili per persona: quattro. Cosa vuol dire? Vuol dire che tutti i club, che da mezza Italia si organizzavano e mandavano una persona sola a fare gli abbonamenti per tutti, non possono più farlo. Di fatto, dato che questo era il motivo principale per cui molti si iscrivevano al club, vuol dire segare le gambe ai club. Perché?

Credo che la cosa sia collegata alla crisi della Maratona: come tutti hanno potuto osservare, per gran parte della scorse stagione la curva è rimasta spoglia, senza striscioni o quasi, senza coreografie, senza le insegne di molti gruppi storici, talvolta senza nemmeno andare ufficialmente in trasferta. E’ come se il tifo organizzato non esistesse più, ma cosa c’è al suo posto?

Io non lo so, perché non frequento quella curva, ma mi limito a registrare le bruttissime voci che ormai girano apertamente. Per tutta la stagione passata, di fronte alla Maratona, c’erano dei bagarini che vendevano a venti, trenta, cinquanta euro centinaia di biglietti marcati “omaggio” per una curva teoricamente esaurita dagli abbonamenti. Ora, gli omaggi esistono solo per gli sponsor e gli amici della società, ma sono in numero limitato e non certo per la curva… Tutto questo alla faccia del biglietto nominale e dei controlli dei documenti che dovrebbero essere fatti all’ingresso, dalla società e dalla polizia. Io non so come sia possibile, ma mi limito a fare un rapido conto: 250 biglietti per 20 euro (a tenersi stretti) per 19 partite sono 95.000 euro l’anno in contanti; ce n’è abbastanza per tutti senza nemmeno arrivare all’altro noto business delle curve, quello di “chiedere” una percentuale sulla vendita di magliette, cappellini, sciarpe e così via (in certe curve vige anche il dazio sull’esposizione di striscioni e sull’organizzazione di trasferte).

Da un po’, su Forzatoro.net, c’è una “running gag”: quando si comincia a parlare di questa cosa, qualcuno posta un panorama di una ridente località denominata Pizzo Calabro. Questo lo sa Cairo, lo sa la Digos, lo sanno assolutamente tutti; evidentemente gli va bene così.

Capite allora come una lettera come quella di oggi vada sottoscritta di corsa; e poi ci si chiede ancora perché non contestare Cairo…

[tags]serie a, calcio, toro, ultras, cairo, pizzo calabro[/tags]

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