Non ritorno
Il punto di non ritorno può essere il più vario. Per esempio, può essere atterrare a Malpensa e trovarti ad aspettare i tuoi bagagli per quasi mezz’ora; a un certo punto ne sono apparsi sul nastro due o tre, poi tutto si è fermato e sei rimasto lì ad attendere all’infinito, con i finnici che scuotono la testa e non capiscono e si lamentano e chiedono disperati informazioni su come mai i bagagli ci mettano così tanto tempo, finché alla fine non arrivano. E’ solo mentre vai via con le tue valigie che noti che sul pannello luminoso – l’unico che dà informazioni in mezzo a tanti altri che sparano a volume fastidioso la pubblicità dell’ennesima puntata di un qualsiasi telefilm o saga sui vampiri – c’è scritto “Ora di atterraggio: 10:24. Ora di consegna primo bagaglio: 10:40”. In altre parole, i sagaci dipendenti di Malpensa mettono subito due o tre bagagli sul nastro in modo che le misurazioni di qualità risultino ottime, poi vanno a farsi i cazzi loro e tutti gli altri li scaricano mezz’ora dopo, quando hanno voglia.
Poi esci e aspetti la navetta per il parcheggio, che ha il suo punto di sosta riservato, che però deve venire costantemente presidiato dagli addetti e marcato coi coni di plastica per evitare che venga occupato abusivamente. Nonostante questo, arriva un fuoristrada targato Varese e tira giù tutti i coni pur di piazzarsi proprio lì con le magiche quattro frecce, per aspettare “un minutino” della gente in arrivo che non ha voglia di fare cinquanta metri a piedi. Ne deriva una epica lite in longobardo stretto, che blocca decine di persone.
Ecco, con tutto che i finnici sono anarchici e un po’ maleducati (ma sempre ad anni luce da noi), tornare in Italia è davvero sconfortante: tanto da farti venire la voglia di non tornarci più.
P.S. Poi però vai allo stadio, in una serata in cui le cose girano bene, e ti ricordi che qualcosa di bello resiste anche in Italia.
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