Fisco ed emigrazione
È quasi impossibile fare un viaggio a Londra e non incontrare un buon numero di italiani; una volta erano quasi tutti turisti, ma adesso sono talmente tanti che si può toccare con mano l’ondata di emigrazione che c’è stata. In certi dipartimenti universitari di Londra ormai ci sono più italiani che indiani, ed è tutto dire.
Durante la nostra settimana ne abbiamo incontrati un paio; chi in Italia faceva il precario o il fotocopista in uno studio legale e a Londra è docente, chi in Italia non sarebbe mai entrato a un concorso di specializzazione in medicina causa mancanza di raccomandazione e a Londra è un affermato professionista conteso tra gli ospedali.
Proprio questo è stato un caso interessante; una persona emigrata da dieci anni, tanto di sinistra che in passato diceva “non potrei mai essere inglese, perché non vorrei mai essere suddito anziché cittadino”. E che ora sta facendo le pratiche per la cittadinanza, con tutta l’intenzione di stracciare il passaporto italiano.
Il motivo è banale, ma interessante: qualche mese fa, si è fatto vivo Tremonti. Il fisco italiano, infatti, ha scritto a questa persona segnalando che non era concepibile che da dieci anni non pagasse tasse, dunque l’intimazione era di pagare quanto prima 200.000 euro a forfait; in pratica, “dammi dei soldi e non ne parliamo più”. La persona è rimasta sbalordita, e ha replicato che ci doveva essere un errore, dato che da dieci anni era assunta a tempo indeterminato dal servizio sanitario inglese, ricevendo lo stipendio e pagando le tasse in Inghilterra, e che poteva produrre cedolini, tabulati di orari, bollette dell’abitazione, persino i biglietti aerei da cui si poteva dedurre che ritornava in Italia solo a Natale e per le vacanze: come avrebbe fatto ad avere un reddito da lavoro in Italia?
Purtroppo, però, il fisco italiano non funziona così. Al fisco italiano non interessa essere equo, interessa farsi dare dei soldi da quella parte del popolo italiano che è disposta a pagarli, dato che farseli dare dagli altri è una gran rottura di scatole. E’ ben più facile vessare gli onesti e i miti che inseguire i disonesti e gli aggressivi, no? Dunque, il massimo che può rispondere il fisco italiano è: “non ci interessa, lei deve pagare, al massimo se proprio non ha 200.000 euro” – e chi li ha? – “può darcene 100.000, 50.000, vediamo di trattare”.
Se non ci credete, vi raccomando di spendere dieci minuti a leggere questo blog, partendo dall’ultimo post in fondo e andando a ritroso (lasciate magari perdere il fatto che sponsorizza una petizione dell’UDC e che chiede donazioni in cambio di ulteriori informazioni…). Scoprirete così che anche in Italia, anche a fronte della crisi, l’unica risorsa del fisco è prendere a caso un po’ di persone che già pagano e far loro pagare di più, ingiustamente. Con tanto di tabelle con cui i solerti impiegati decidono qual è il minimo pizzo che possono accettare per non rispondere con la violenza, ad esempio con il famoso “fermo amministrativo dell’auto” – una misura che potrebbe aver senso se tutti gli evasori fossero veramente riccastri menefreghisti, ma che fatta verso chi è veramente in difficoltà finanziarie (e in questo periodo sono tanti) ha l’unico risultato di impedire di continuare il lavoro e dunque di rendere ancora più difficile il saldo dei debiti col fisco; e fatta verso gli onesti è semplicemente un modo di estorcere denaro a forza.
La conseguenza più odiosa di questi comportamenti del fisco però è un’altra: si prendono cittadini onesti e li si tormenta fino a che non potranno che odiare lo Stato, odiare l’Italia e provare il desiderio di abbandonarla al suo destino… nelle mani di quelli che non solo davvero evadono, ma che hanno abbastanza coperture da schivare qualsiasi controllo. E allora, forse sarebbe interessante studiare davvero le correlazioni statistiche tra comportamenti del fisco ed emigrazione.
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