In coda
Un’ora fa, dopo essere andato a portare fino in corso Grosseto i manifesti per l’attacchinaggio a Lanzo, mi son messo in macchina per tornare a casa – normalmente, un percorso di cinque minuti.
E ci ho messo mezz’ora: sin dalla sopraelevata, tutto corso Potenza era un’unica marea di auto ferme in coda.
Stare in coda è una buona occasione per arrabbiarsi, dato che la scatoletta di lamiera in cui siamo dentro costituisce automaticamente un’armatura, e come tale ci rende pronti ad aggredire gli altri in tutta sicurezza (apparente). Ma è anche una buona occasione per riflettere.
E io riflettevo: ma cosa ci facciamo tutti qui fermi, chiusi nel nostro isolamento, molti con l’autoradio a palla per cercare di non accorgerci degli altri, della città , del mondo? Ha ragione Beppe Grillo quando dice che non sei tu che sei in coda, tu sei la coda! Ognuno di noi infatti ha la percezione che la coda sia altro da sé, un evento esterno e imponderabile che gli si piazza sulla strada, senza rendersi conto che la coda esiste perché anche noi abbiamo scelto di prendere l’auto e passare di lì proprio in quel momento.
La coda dunque è asimmetrica: si basa sul principio che tu avresti pieno diritto di usare la strada in libertà , ma ci sono degli altri rompiscatole che si sono piazzati lì per negartelo. E questa idea è dura a morire: tutti sono pronti a invocare restrizioni sul traffico, ma la maggior parte delle persone le vorrebbe solo per qualcun altro.
In realtà , proprio la coda può essere amica di noi che vogliamo il cambiamento: perché raramente si può immaginare un modo più assurdo di impiegare tempo, energia, risorse che stare fermi da soli in una scatola di latta bruciando carburante fossile vecchio di 100 milioni di anni.
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