Il bello della politica
Il bello di queste giornate convulse è la possibilità di conoscere tante persone nuove, e soprattutto diverse. Ognuno di noi, infatti, tende a frequentare soprattutto persone simili a sé; anche quando hanno idee diverse, di solito hanno in comune un certo livello sociale e culturale, un certo stile di vita, un certo sistema di valori. La nostra società è sempre più divisa in compartimenti stagni, in cui le persone si sfiorano senza conoscersi e senza parlarsi; avere l’opportunità di scoprire pianeti diversi è non solo un grande vantaggio (se mai uno di noi si troverà ad amministrare qualche cosa, avere la possibilità di conoscere le questioni di prima mano da chi le vive direttamente è fondamentale) ma anche un grande piacere; una occasione di arricchimento umano.
Questo, per esempio, è uno dei motivi per cui mi piace andare allo stadio, e magari (quando si può, ormai sempre più raramente) in trasferta, ossia in una occasione dove puoi condividere non solo il breve spazio della partita, ma un intero viaggio in pullman attraverso l’Italia. Lo stadio è infatti uno dei pochissimi luoghi della nostra società dove i gruppi sociali si mescolano e si uniscono trasversalmente.
Analogamente, in questi giorni tante persone mi hanno incoraggiato, mi hanno voluto parlare, mi hanno chiesto i volantini da distribuire; ed è stata una grande occasione per imparare qualcosa. Bastano dieci minuti di parole per scoprire almeno un po’ problemi, aspirazioni, desideri, e tanto meglio se vengono da ambienti che non hai mai avuto modo di frequentare; dagli autisti del GTT o dagli operai di una fabbrica in crisi, dagli anziani che chiedono un futuro per i propri figli agli imprenditori con le banche che se li mangiano.
Stamattina ero ad Alba, in un bell’incontro con Imprese che resistono in cui sul palco dei politici mi sentivo a disagio – sto meglio nei panni del piccolo imprenditore in lotta col sistema. Delle questioni economiche parlerò con più calma nei prossimi giorni, ma volevo raccontarvi di quanto mi abbia colpito scambiare due parole con una imprenditrice tessile del Varesotto, amareggiata e pronta a portare quel che rimane della sua fabbrica in Svizzera, data l’impossibilità di competere coi cinesi stando in Italia. Lei era leghista e accusava con calore il rappresentante della Lega di aver “disonorato quel fazzoletto verde che io rispetto”, dimostrando con la rabbia di non credere più ai grandi proclami leghisti a difesa dell’Italia, alla schizofrenia decennale della “Lega di lotta e di governo”. Mi sono reso conto di come per quelle zone la Lega sia stata ciò che è stato nelle periferie di Torino il PCI fino agli anni ’80: prima ancora che un partito, un simbolo in cui identificarsi, a suo modo un simbolo di lavoro e di progresso; e per noi torinesi, che pensando alla Lega abbiamo subito in mente il razzismo becero di Borghezio, è una visione diversa e davvero strana, e mi ha colpito.
Oggi pomeriggio poi – alla manifestazione No Tav No Mafia – mi ha fatto piacere conoscere di persona tante persone incrociate solo su Facebook, anzi mi spiace che non ci sia stato più tempo per parlare. Ammetto di essere veramente stanco, alcune volte mi son dovuto far ripetere le cose prima di capirle… Eppure, raramente come in questi giorni ho avuto modo di conoscere esperienze diverse dalle mie, e questo è stato davvero un bel regalo.
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