Sulla scienza e sulla libertà di Internet
Ieri sono andato all’annuale assemblea di Società Internet, il chapter italiano della Internet Society, di cui sono socio da dieci anni e di cui sono stato consigliere fino all’anno scorso. Quest’anno, tra Movimento e altre cose, sono stato meno coinvolto che in passato, tanto è vero che a margine dell’assemblea alcuni vecchi saggi hanno cercato di coinvolgermi più a fondo nelle attività associative “così la smetti di pensare di cambiare il mondo con la politica”.
Peraltro, anche quest’anno qualcosa per ISOC l’ho fatto: ho scritto un lungo articolo scientifico che introduce una visione globale del dibattito sulla neutralità della rete, cercando di mettere insieme aspetti che normalmente sono studiati separatamente – quello tecnico dagli ingegneri, quello economico dagli economisti, quello sociale quasi da nessuno – e di tracciare un filo concettuale che leghi tutti questi problemi all’architettura fondamentale della rete. L’articolo è stato pubblicato sul quinto Quaderno dell’Internet Italiano, uscito da poche settimane, che potete leggere online o di cui potete richiedere la copia cartacea a Società Internet; contiene vari articoli interessanti, alcuni più strettamente tecnici e altri, come il mio, più concettuali e sociali.
Dopo l’assemblea si è tenuto un convegno, anch’esso organizzato da Società Internet, sul tema della responsabilità dei gestori dei servizi Internet, a valle della sentenza Google-Vividown e di altri casi che secondo me sono veramente allarmanti (si è parlato di Bakeca e di Zopa). Come sempre in questi casi, buona parte del convegno è stato dedicato a interventi scandalizzati sul fatto che un giudice possa permettersi di chiedere a chi gestisce un sito di contenuti inviati dagli utenti di rispondere dei contenuti stessi, con tutti i soliti paragoni: è come condannare chi gestisce l’autostrada perché ci viaggia sopra un rapinatore, è come condannare il proprietario del muro di un palazzo per una scritta fatta di notte da qualcun altro.
Io sono d’accordo sull’importanza della neutralità della rete – vedi l’articolo che ho scritto – e sul fatto che chi distribuisce i contenuti non debba essere immediatamente e ipso facto responsabile di ciò che viene immesso dagli utenti sulla sua piattaforma; è dieci anni che mi do da fare per questa causa. Sono però molto preoccupato della litania scandalizzata di cui sopra; perché spesso esagera, e comprende un inaccettabile scarico di responsabilità .
E’ comprensibile che chi possiede e gestisce Google voglia ottenere i benefici del suo investimento in Youtube (le entrate economiche da pubblicità ) senza doversi assumere il rischio e l’onere derivante da responsabilità sui contenuti che li generano, così come è comprensibile che chi gestisce Wikipedia voglia gestirla come il proprio giocattolino e prendersene gli onori senza doversi poi beccare le cause per i contenuti potenzialmente diffamatori che essa potrebbe ospitare. Ma è anche giusto?
E non è vero che, per difendere la possibilità di un dissidente cinese di mandare in giro un video senza censure, si debba per forza accettare che Youtube trasmetta per settimane pestaggi di disabili, maltrattamenti di animali, corse automobilistiche illegali, cadaveri martoriati e chi più ne ha più ne metta. Va benissimo che questi gestori non siano responsabili se non dopo segnalazioni formali e provate, va benissimo che vengano stabilite regole chiare per giungere a decidere cosa va eliminato, limitando i rischi di censura politica ed evitando di lasciare le scelte alla sola decisione del provider di turno (che, nel dubbio, censurerebbe qualsiasi cosa vagamente scomoda per non prendersi alcun rischio), ma non si può accettare che Internet diventi l’amplificatore di qualsiasi immondizia diseducativa e illegale perché non abbiamo voglia di vigilare e di fare qualche distinzione.
Youtube e Wikipedia, come Facebook e come tanti altri, sono chiaramente servizi fondamentali e di pubblico interesse, esercitati in una posizione di predominio quasi monopolistico sul rispettivo “mercato” (della trasmissione di video on demand l’uno, delle enciclopedie elettroniche l’altro). Da questo non derivano solo i benefici in termini di guadagno (che sia fatturato o donazioni) e di visibilità , ma anche le conseguenti responsabilità ; e prima ancora delle responsabilità giuridiche vengono quelle etiche, morali, deontologiche, sociali, politiche. Mi piacerebbe che prima o poi questi intermediari se le prendessero, all’interno di un framework condiviso con il legislatore e la comunità della rete; e fa specie che su questo tema siano spesso più collaborative e responsabili le multinazionali private rispetto ai progetti che vengono dalla rete.
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