Da un po’ di tempo mi capitava di prendere l’aereo da Malpensa, per un motivo o per l’altro. Per quest’ultimo viaggio ho invece insistito per viaggiare da Caselle; bene, è successa una tale serie di cose che me ne sono dovuto pentire. L’aeroporto dovrebbe essere una risorsa per la città , e invece pare essere soprattutto una palla al piede…
All’andata, ho provato ad andare a Caselle con i mezzi pubblici (in tutto il mondo si va all’aeroporto coi mezzi pubblici; il collegamento aeroportuale è in genere la prima preoccupazione dell’azienda di trasporti). La situazione di Caselle è notoriamente infelice: si può scegliere tra un treno-lumaca ogni mezz’ora e non collegato con niente – per cui ora hanno aggiunto una navetta di collegamento tra Porta Susa e Torino Dora, ma a forza di salire e scendere i tempi sono lunghissimi – e un bus carissimo (6,50 euro), ancora meno frequente del treno e nemmeno diretto, che attraversa i paesi raccogliendo casalinghe e studenti.
Io sono fortunato, perché da casa mia col 2 posso arrivare direttamente alla stazione Madonna di Campagna, da cui passa il treno. Esiste un biglietto integrato da 3,80 euro, nel quale è compresa anche la tratta in bus; peccato che sia venduto soltanto all’aeroporto, nelle stazioni della Torino-Ceres e in un paio di uffici GTT in centro. In pratica, sono stato costretto a pagare un euro extra per il biglietto del 2, e poi a comprare il biglietto a Madonna di Campagna.
In tale stazione, peraltro, vi è una piccola biglietteria messa dalla parte opposta rispetto all’ingresso di chi arriva fin lì col pullman, presidiata da una signora che, quando sono arrivato, stava tranquillamente leggendosi le sue carte seduta a un tavolo – nonostante il treno fosse proprio in arrivo. Ovviamente l’operazione è stata svolta con tutta calma e ovviamente ho perso il treno; per fortuna ero molto in anticipo e ho potuto prendere il successivo, e con me altre 4-5 persone che hanno perso il treno per lo stesso motivo.
Mi era già successo una volta anni fa: arrivando, la biglietteria era deserta, e solo dopo che il treno era passato lasciandomi lì la bigliettaia si era palesata: era al bar. Inutile dire che, in una stazione in cui passa un treno ogni mezz’ora e dunque la biglietteria serve per cinque minuti ogni trenta, uno potrebbe anche andare al bar in un altro momento; per non parlare del fatto che, in una linea così lenta, la bigliettaia potrebbe anche avvertire il treno fermo al piano di sotto che ci sono ancora persone in coda che devono prenderlo. Comunque, non ci sarebbe stato problema se, semplicemente, io avessi potuto comprare il biglietto del treno in anticipo da qualche parte.
Arrivati all’aeroporto, altra scenetta non da poco. Ai controlli di sicurezza metto la mia roba sul nastro, passo una volta, suona. Mi tolgo la cintura, ripasso, suona di nuovo. Non ho più niente di metallico addosso, pazienza, sarà regolato sul minimo: l’addetto allora prende e… mi aspetto che, come in tutti gli aeroporti del mondo, mi perquisisca con il metal detector portatile; invece no, comincia a palparmi direttamente con le mani, perché evidentemente non è dotato della macchinetta. Dietro di me un gruppo di fiamminghi anche loro diretti a Bruxelles, stessa scena; in più, l’addetto non parla mezza parola di inglese. Alla fine, sbuffando, questi gli dicono “airport language is English, not Italian”. Ma l’addetto non ha capito nemmeno quello.
Tralasciamo la successiva scoperta per cui la lounge per i clienti di Brussels Airlines si trova prima dei controlli di sicurezza e non vicino ai gate (anche questo non è esattamente uno standard internazionale) e veniamo al ritorno: atterro domenica sera alle 20. L’aereo non viene attaccato ai “finger” del terminale (costeranno troppo?) ma viene parcheggiato sul piazzale: lo sbarco avverrà col bus. Peccato che il bus non ci sia: per qualche minuto, con tutti i passeggeri già in piedi e pronti a scendere, il comandante è costretto a ripetere che “we are waiting for the bus to arrive”.
Alla fine il bus (marcato Aviapartner) arriva, ma sull’aereo c’è una persona che cammina con difficoltà e ha bisogno di assistenza; l’assistenza non c’è. La signora scende a fatica dalla scala appoggiandosi su un bastone con l’aiuto di un altro passeggero e si pigia col bus in mezzo agli altri. Arrivati nel terminal, mentre attendiamo i bagagli, arriva un ragazzo di corsa: comincia a dire all’anziana signora che “c’è stato un casino” (testuale) e, con molta gentilezza ma un linguaggio non proprio formale, racconta che loro sono arrivati ancora dopo e che non hanno trovato più nessuno, perché lo sbarco era già avvenuto.
Nel frattempo attendiamo i bagagli, chi con il treno da prendere, chi con amici e parenti fuori ad aspettare. Aspettiamo, riaspettiamo, aspettiamo ancora… alla fine l’attesa da quando siamo arrivati davanti al nastro a quando esso ha cominciato a girare è stata di 19 (diciannove) minuti. Nel gruppo c’erano due signore africane che commentavano che il loro aeroporto di provenienza nell’Africa nera era stato molto più efficiente. Non so se questi siano i colleghi dei famosi lavoratori cassintegrati della vertenza in atto, ma se lavorano così, è facile prevedere ulteriori licenziamenti.
Prendo il bagaglio, esco, mia mamma è venuta a prendermi, arriviamo all’auto parcheggiata nella zona “i primi 30 minuti sono gratis ma poi ti saccagniamo”, istituita dopo anni di proteste popolari perché la cifra richiesta a chi parcheggiava per aspettare e prendere qualcuno arrivava anche a 6-7 euro. Mi viene il dubbio che l’attesa dei bagagli sia concepita per farti superare i 30 minuti di sosta e saccagnarti. Comunque, non solo l’area è piena, ma di fronte alla sbarra di ingresso c’è una lunga coda di auto ferme in attesa che si liberi un posto, in modo da poter entrare. La coda intasa il passaggio; d’altra parte non ci sono alternative, e l’area è ridicolmente piccola (saranno una trentina di posti in tutto). Dietro di essa c’è un’altra area parcheggio, credo per dipendenti, praticamente vuota. Dall’altro lato, nel multipiano, c’è una nuova area parcheggio riservata ai possessori di una misteriosa tessera – completamente vuota pure quella. Ma la strada è intasata di gente che non trova parcheggio. Geniale.
Sarebbe bello poter dire “cambiate quel dirigente, cambiate quel fornitore e tutto si risolverà ”. Qui il problema è alla radice: è un intero sistema cittadino, dal Comune a GTT, da Sagat alle aziende private, che funziona al peggio; che con l’obiettivo di fare soldi a breve distrugge le prospettive future e spinge i torinesi a usare gli aeroporti di Milano – o anche, specie per le aziende, a trasferircisi direttamente. Certo che la situazione di Caselle è davvero disperante.
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