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Archivio per la categoria 'Culturaculturacul'


martedì 19 Settembre 2006, 19:48

Poesia a piene mani

Sicuramente conoscete Vincenzo Mollica, il “giornalista” che per qualche non tanto oscuro motivo ha in appalto l’intera sezione culturale dei telegiornali Rai, svolta a botte di complimenti a tutti e spudorate promozioni di libri e spettacoli di amici e parenti tramite il servizio pubblico.

Bene, stasera al TG3 il poeta della valle Caudina ha superato se stesso: dovendo presentare l’ultimo disco dell'”amico” Zucchero (che dal canto suo cerca disperatamente di fare il Santana de noantri, solo senza saper suonare), intitolato Fly, ha terminato il suo infinito panegirico con il seguente geniale, originale, emozionante slogan: “Con Fly, si vola!”.

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martedì 12 Settembre 2006, 00:14

Home western

Questa sera su Sky davano Il buono, il brutto e il cattivo. L’ho visto ormai parecchie volte, negli anni, per cui lo tenevo di sottofondo e guardicchiavo soltanto le scene principali. Eppure, è incredibile la forza di certe sequenze; quando arriva il duello finale a tre, con quella interminabile attesa prima dello sparo, è impossibile non rimanere ipnotizzati dallo schermo, dai dettagli, dal crescendo sinfonico di Morricone. Si ferma tutta la città, con gli occhi incollati alle immagini, in attesa di sapere chi dei tre vivrà.

Ma soprattutto, quant’è bello rivedere un capolavoro del cinema – ottavo miglior film di tutti i tempi per il pubblico globale di IMDB – in venti noni, su uno schermo di grandi dimensioni. La pellicola è rovinata, ma almeno si vede tutto; e non, come nelle prime apparizioni televisive di vent’anni fa, i campi larghissimi di Sergio Leone ridotti a cartoline, e le inquadrature pittoriche troncate indegnamente, ora un occhio e mezzo invece di due, ora una faccia senza spalle; ora un cattivo, mezzo brutto e un terzo di buono, ora un brutto e un quaranta per cento di cattivo. Ogni tanto, la tecnologia serve anche a qualcosa.

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lunedì 14 Agosto 2006, 18:11

Un po’ di musica

Stamattina, mentre facevo colazione, ho acceso un po’ di MTV per vedere com’è la situazione della musica mainstream di questi tempi, visto che a casa ascolto solo più Radio Flash e quindi solo più musica indipendente.

Un po’ di belle cose sono passate, dal nuovo video di Steady As She Goes all’ultimo di Madonna, che merita una nota a parte: vent’anni fa, da ragazzi, la schifavamo come biecamente commerciale, ma bisogna riconoscere che c’eravamo sbagliati. Madonna ha inventato una nuova forma di espressione artistica, che fonde il glamour e l’immagine con i contenuti più tradizionali; e provateci voi, a quasi cinquant’anni, ad essere ancora in quello stato di forma (“essere così belle è un fottuto lavoro”, disse Cindy Crawford) e a reinventarvi ogni volta un genere; provateci voi, a scrivere un intero disco che si possa ballare in discoteca ma anche ascoltare, che piaccia ai reduci degli anni ’70 ma anche ai ragazzini di oggi, e che sia tutt’altro che privo di contenuto. Subito prima è passato il video di Shakira, e scusate se si vede un abisso di differenza…

Ora veniamo alle note meno piacevoli. A quanto pare, il brit pop è garanzia di successo purchè ci siano un cantante scombinato e una donna nel gruppo; con questo video (GuillemotsTrains to Brazil) direi che abbiamo toccato il fondo, visto che non c’è niente di niente, se non un cantante arruffato che mugola e una modella che suona il contrabbasso. Comunque anche la new wave non sta meglio, visto che quest’altro video (White Rose MovementLove Is A Number) adotta la stessa regola; in questo caso, però, il cantante è un figlio illegittimo di Boy George, per cui si sono concentrati sulla tizia in sottoveste.

Intendiamoci, che ci siano delle donne nei gruppi rock potrebbe essere un progresso verso la parità dei sessi, visto che anche le donne sanno suonare chitarre e bassi. La cosa però mi convince di meno quando vedo un video come quello, in cui le inquadrature sono attentamente studiate in modo da avere sempre al loro interno o le tette o il culo della componente femminile del gruppo; oltre ai primi piani della stessa, tutti gli altri membri del gruppo vengono quasi sempre inquadrati in modo che ci sia lei sullo sfondo.

Infine, lacrimuccia perchè MTV ha rimandato un vecchio video dei miei tempi giovani, Doll Parts delle Hole; uno dei primi video che fece Courtney Love dopo il suicidio del suo fidanzato Kurt Cobain. Non sarei troppo sicuro della sincerità del video, visto che la signorina era nota per monetizzare tutto; comunque, la sequenza finale con lei che urla ossessivamente “Someday you will ache like I ache”, mentre accompagna un bimbo sosia di Kurt fuori dalla porta, era fatta apposta per deprimere noi adolescenti dell’epoca. A ben pensarci, i danni psicologici che il grunge ha fatto alla mia generazione (come nota Bart Simpson, “deprimere gli adolescenti è [facile] come sparare a un pesce in barile”) non saranno mai recuperati appieno; dovrei mandare alla signorina Love il conto del mio analista, ammesso che non sia morta di overdose nel frattempo.

Comunque, se quanto sopra non vi piace, potete premere “+1” sul telecomando di Sky e passare a VideoItalia, che manda l’ultimo video di Mango – pieno di negri seminudi che ballano, tizie coi pantaloni a vita bassa bassa (praticamente cominciano alle ginocchia) e arditi effetti speciali con sovraimpressione di uccelli (in senso ornitologico) che volano via liberi (dal dover ascoltare Mango, suppongo). E poi ci si chiede perchè l’Italia fatichi a entrare nel terzo millennio.

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domenica 16 Luglio 2006, 17:55

Sconfitte

Questo tour de france 2006 (tutto minuscolo, sia per il livello dei partecipanti, sia per quello dell’organizzazione: oggi tre dei fuggitivi si sono schiantati in curva per il pessimo stato dell’asfalto) è oggettivamente poco interessante. Oggi, però, l’arrivo di Gap ha regalato un momento triste, ma profondamente sportivo.

Nella fuga di oggi (come in varie dei giorni passati) c’era anche Salvatore Commesso, uno che non è un campione, non è un Basso e nemmeno un Cunego o un Garzelli, ma è comunque da anni uno dei migliori ciclisti italiani, due volte campione d’Italia. Commesso si è fatto i suoi duecento chilometri di fuga in gruppetto, su e giù per le Alpi francesi: tanta, tanta fatica. All’arrivo erano rimasti in due, lui e un francese qualsiasi, con una emozionante corsa sul filo di pochi secondi di vantaggio sul gruppo, trenta, venti, dieci, quindici, otto all’arrivo. Vuol dire che non puoi rilassarti, non puoi fare calcoli per la volata; devi tirare fino alla fine.

Commesso era il favorito, è forte, è veloce in linea, e quindi è stato anche lui a doversi prendere la responsabilità di non mollare, di tirare per l’ultimo paio di chilometri, evitando di un soffio il rientro di quelli dietro. E poi, ha lanciato la volata, si è messo a tutta, ci ha provato… ed è stato passato dall’altro a due metri dalla linea d’arrivo.

E poi, mentre il francese qualsiasi non stava più in sè dalla gioia e andava a festeggiare, la gentile signorina della Rai ha infilato il microfono sotto il naso di Commesso, a dieci secondi dall’arrivo, per fargli la classica domanda da giornalista infame, qualcosa tipo “Come ci si sente a perdere così?”, o “Allora, Totò, hai perso anche oggi?”.

Lui non ha detto niente: ha solo, semplicemente, pianto. Ha cercato di dire qualcosa, è riuscito solo a dire due parole, come “Da due anni non riesco più a vincere…”, respiro spezzato, “…non so più cosa fare…”, poi è scoppiato di nuovo a piangere a dirotto, mentre compagni e avversari gli passavano accanto, lo vedevano così, e cercavano di tirarlo su in ogni modo, senza successo.

Dev’essere difficile svegliarsi tutto l’anno presto al mattino, fare decine e centinaia di chilometri per strada, mangiare in modo controllato e andare a dormire presto, rinunciando a gran parte della vita di un ventenne o trentenne qualsiasi. Fare una fatica boia, arrampicandosi in bicicletta su montagne che fanno fatica a scalare anche le macchine, salendo alla stessa velocità delle macchine. Farsi riempire le vene di non si sa mai bene cosa, qualcosa che probabilmente ti toglierà vent’anni di vita, ma non per vincere, semplicemente per passare le giornate in gruppo ad aiutare il tuo capitano; senza mai più di una riga sul giornale, per uno stipendio comunque elevato, ma più vicino a quello di un quadro Fiat che a quello di un calciatore. Ogni tanto, venire svegliato alle tre del mattino da un blitz dei carabinieri, e sentire pure qualche moralista disinformato gettare merda sui tuoi anni di fatica. E poi, avere finalmente la tua giornata libera, dare il massimo, fare una impresa incredibile, e non riuscire a vincere, non riuscirci più da quattro anni, una volta per un motivo, una volta per l’altro, sempre secondo, terzo, quinto.

Lo sport è fatto così. Il ciclismo, in particolare, è spietato e bellissimo anche per questo; perchè della vita contiene tutto, la vittoria, la sconfitta, la fatica, la gioia, la disonestà, la rabbia, il tifo, l’amicizia, il tradimento, la vita e la morte, e persino la bellezza purissima della natura in ogni sua forma. E’ pieno di storie, belle e brutte, come quella di oggi.

Spero che non lo distruggano definitivamente.

E spero anche che Commesso, prima di finire la carriera, possa vincere almeno ancora una volta.

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sabato 8 Luglio 2006, 12:39

Il peso del gas

Poco fa, subito prima di andare a farmi un giro solitario nella mia casa in montagna, sono andato a fare la spesa al Lidl, e poi sono ripassato un attimo da casa per posare un po’ di roba.

Percorrendo la strada con una cassa d’acqua gasata in una mano e una cassa di Freeway Cola Light nell’altra, mi sono stupito: anche se dal lato dell’acqua avevo anche un paio di sacchetti, il lato della cola sembrava molto più pesante… ma proprio di netto.

Arrivato a casa, quindi, ho pesato le due casse (sei bottiglie da 1,5 litri l’una, impacchettate al risparmio nel cellophane più leggero che c’è: siamo pur sempre al Lidl). Quella d’acqua, come prevedibile, pesava poco più di nove chili; quella di cola, invece, pesava quasi tredici chilogrammi!

Ora, mi sono chiesto che cosa possa essere a determinare la differenza di peso, che peraltro non mi sembrava di aver mai notato in passato. Le bottiglie in sè sembrano sostanzialmente uguali, e del resto mezzo chilo in più a bottiglia si noterebbe subito. Il livello di riempimento pure; l’involucro di cellophane non sembra significativamente diverso. E allora, escludendo che ci sia un tondino di ferro o un topo morto in una delle bottiglie di cola (cosa che comunque verificherò man mano che le bevo), che cosa potrà essere? Non è che hanno esagerato ad aggiungere gas alla mia cola?

Qualsiasi suggerimento o buona idea è il benvenuto: domani pomeriggio, al ritorno, voglio trovare il problema risolto!

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venerdì 7 Luglio 2006, 23:03

8 Mile

Stasera su Studio Universal davano 8 Mile, e così ho colto l’occasione per rivederlo.

Se non l’avete visto ma ne avete sentito parlare, immagino che anche voi avrete lo stesso preconcetto: come può un film sul rap con Eminem come protagonista non essere spazzatura commerciale? E invece, 8 Mile è un film molto molto bello, e forse, se non avesse subito quel preconcetto, avrebbe avuto la stessa fortuna critica che ha avuto il precedente film di Curtis Hanson, L.A. Confidential, che ha vinto due Oscar nel 1998.

Il racconto è ambientato nelle favelas bianche di Detroit, e racconta di quel momento in cui un ragazzo timido, insicuro e perdente, senza soldi e con una famiglia degradata, trova il coraggio di diventare adulto, sfruttando l’unica chance di cambiare la propria vita. Girato in modo iperrealista, mostra uno spaccato dell’America perdente che non si vede tanto spesso, dove tutto è squallido (ma anche buffo, violento, vivo) e dove i gruppi che si trovano e si sfidano in strada a colpi di rap – se fossero in Brasile, sarebbe capoeira – rappresentano l’unico modo di fuggire con la fantasia.

Che il cast di contorno (da una Kim Basinger invecchiata e sbattutissima al talento emergente Mekhi Phifer, il dottor Pratt di E.R.) sia di ottimo livello è normale; che Eminem, al primo film, funzioni, è meno normale. Eppure è adatto, intenso e sperduto insieme, come una Alice nel Paese delle Meraviglie che improvvisamente prende il controllo delle proprie fantasie. Paradossalmente, la parte meno riuscita è l’immancabile storia d’amore, con l’improbabile biondina strafiga casualmente capitata nei peggiori sobborghi urbani (bella comunque la scena di sesso in silenzio, con il sottofondo delle presse). Ma questo film è come avrebbe potuto essere Rocky se ci fosse stato un regista dotato di compassione per gli esseri umani; una storia di volontà che spunta da non si sa bene dove e piega le cose.

In più, c’è la colonna sonora, dove ovviamente Eminem è a proprio agio; e in particolare Lose Yourself, una canzone con un battito accelerato e teso che rappresenta tutta la paura e l’adrenalina e il brivido di quel momento in cui è vivere o morire, e ci si gioca un futuro in un attimo. Per molti di noi, nella vita, viene un momento del genere, in ambiti o per cose diverse; che sia un esame importante, un colloquio di lavoro, una partita di calcio, o la chance con una donna di cui si è innamorati, ci sono prima o poi dieci minuti che possono cambiare per sempre la propria esistenza. Magari li viviamo in modo spensierato, ma sono in realtà, raccontati a posteriori, i dieci minuti più drammatici della nostra vita.

La canzone trasmette bene tutto questo; e il film la accompagna bene, prendendola a tema. I tre minuti in cui Eminem compone la canzone, in cui le parole gli appaiono piano piano, smozzicate, nella mente, guardando la sorella e la roulotte in cui vive, e poi si picchia con l’amante della madre che la sta mollando, sono di un verismo, di una intensità mozzafiato; valgono il prezzo del biglietto. Ma ce ne sono altri, di momenti così; un film, insomma, da vedere.

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lunedì 19 Giugno 2006, 21:16

Hero

Ieri in montagna ho inaugurato l’impianto TV satellitare, con il decoder che mi sono portato da casa (sì, funziona). E così, ho colto l’occasione per guardare su Sky Hero, film di Zhang Yimou di cui molti mi avevano parlato bene, ma che non avevo mai avuto occasione di vedere.

Si tratta effettivamente di un gran bel film, sotto vari punti di vista. Racconta, in un intreccio tra storia e Storia, l’unificazione della Cina Originale avvenuta nel terzo secolo avanti Cristo, mediante la conquista da parte del regno di Qin di tutti gli altri regni. Il periodo storico è raccontato però da un punto di vista micropuntuale: un grande eroe ha appena sconfitto tre guerrieri – terroristi, diremmo oggi – che, originari di un regno nemico, hanno più volte cercato di assassinare il re. La stessa storia viene poi raccontata, in modo molto affascinante, in tre o quattro versioni diverse, lasciando lo spettatore a chiedersi quale sia quella vera, per poi avvicinarsi sempre di più alla verità ad ogni iterazione, e tenendo viva la tensione fino alla fine, in attesa di scoprire cosa succederà dei progetti imperialistici del re.

Dal punto di vista estetico, il film è eccezionale; e non parlo tanto dei soliti combattimenti funambolici, che pure lasciano a bocca aperta anche quelli che come me sono amanti del genere, ma proprio delle immagini. Ciascuna versione della storia è caratterizzata da un colore diverso, prima rosso, poi blu, poi bianco, poi verde; e, come tipico delle culture orientali, la tensione e la drammaticità vengono spesso sposate a sequenze ferme o rallentate, specialmente quando si tratta di sconvolgimenti interiori. Persino la drammatica vicenda storica della guerra viene raccontata in una calma e surreale conversazione a due tra il guerriero e il re, che avvolge tutto il film. Gli effetti speciali, dai nugoli di frecce alle gocce d’acqua, sono volutamente eccessivi, ma ugualmente belli da vedere. La meravigliosa natura cinese lo è altrettanto, specie il bosco giallissimo di foglie cadenti o il lago verde e nebbioso su cui si riflettono le montagne.

Dal punto di vista del contenuto, il film offre allo spettatore diversi messaggi, a seconda appunto che si osservi la storia o la Storia.

Sul piano personale, il messaggio del film è che gli uomini sono forti, saggi e nobili d’animo, disposti a sacrificare anche la propria vita per il bene del mondo, mentre le donne sono egoiste, isteriche, violente, irrazionali e fanno del male a tutti coloro che vogliono loro bene, salvo poi piangere disperate subito dopo averlo fatto, perchè non sanno mai cosa vogliono veramente. Probabilmente il regista è un altro del club dei bruciati dall’amore…

Sul piano politico – a parte l’ovvio suggerimento, discendente dal punto precedente, di non includere mai donne in gruppi di attivismo politico o militare e in generale di traghettarle soltanto dalla stanza da letto alla cucina e viceversa – il film si conclude con un certo tono di tronfio nazionalismo cinese, probabilmente obbligato. Credo che dovremo farci i conti per i prossimi cinquant’anni esattamente come abbiamo fatto negli ultimi cinquanta con il nazionalismo americano (ma non temete, i cinesi sono raffinati e Hero è milioni di volte più digeribile, oltre che più bello, di Pearl Harbor o Independence Day). Tuttavia, l’estetica paranazista dell’esercito di Qin, fatta apposta per farvelo odiare fin dal principio, serve a confrontare lo spettatore con la dura realtà: alle volte la guerra è uno strumento necessario per costruire una pace più duratura, e la vittoria definitiva del più forte tra i contendenti è la soluzione che nel medio e lungo termine porta i maggiori benefici alla collettività, più che una pace armata e instabile o la continuazione indefinita della guerra.

Una nota finale riguarda la partecipazione al film di Ziyi Zhang, che è puramente coreografica, oltre che funzionale all’unica, vaghissima scena di sesso del film – e per fortuna che almeno i cinesi non piazzano quelle inguardabili scene di cinque minuti di sesso gratuito solo per fare cassetta. Eppure, dopo La Tigre e il Dragone è chiaro che nessun film cinese mirato al mercato occidentale può fare a meno del nome di Ziyi in cartellone – così come, d’altra parte, non può non schierare Tony Leung se vuol far successo a Hong Kong.

P.S. La sera, invece, ho visto per la prima volta Il Sesto Senso, e devo dire che l’ho trovato eccezionale, molto meglio dei successivi film di Shyamalan, pure carini. Sarà che nei film con bambino intelligente, triste, solitario e abbandonato dal padre mi identifico immediatamente, però mi sono molto commosso.

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venerdì 9 Giugno 2006, 21:53

Punizione per pirati

Sì, d’accordo, lo ammetto: seguendo le indicazioni di alcuni dei vari forum piratoni della rete, stavo or ora navigando nei canali “extra” del satellite cercandone uno che desse in chiaro i mondiali; e tra quelli consigliati da provare c’era anche TV Bulgaria.

Ma questo non è un buon motivo per presentarmi così, a tradimento, le immagini di Raoul Bova vestito da carabiniere, con un ridicolo doppiatore bulgaro che parla sopra al suo romanesco e sopra a tutti gli altri, facendo da solo tutte le voci maschili, bambini compresi…

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martedì 23 Maggio 2006, 20:58

Whatchagonnado

C’è un programma televisivo che è l’icona dell’America violenta, caotica e dalle armi facili. La sua sigla, Bad Boys degli Inner Circle (Bad boys, bad boys, whatcha gonna do / Whatcha gonna do when they come for you) è diventata l’inno della polizia americana, il simbolo del reality televisivo, e l’occasione per innumerevoli spin-off e parodie occasionali, dai Simpson a Doonesbury.

Stiamo parlando di Cops, serie che dal 1989, a mo’ di documentario, spedisce gli operatori a fianco dei poliziotti, sulle strade, negli inseguimenti, nelle irruzioni. Non giudica, non prende posizione esplicitamente, ma libera la voglia voyeuristica degli americani, che si ritrovano davanti al televisore a tifare per i buoni, i poliziotti, contro i cattivi, solitamente neri, ispanici o barboni.

Tuttavia, le immagini concitate di poliziotti normali che corrono dietro a delinquenti normali, comunicando continuamente via radio, spaventandosi, sorprendendosi, eccitandosi, in mezzo a rumori di sgommate e a grandi fiatoni, sono assolutamente ipnotiche: una finestra iperreale sull’incessante e forse futile lotta tra guardie e ladri.

Oggi è in onda anche in Italia, tutte le sere alle 20:45 su FX, canale 113 di Sky. Se non l’avete mai visto, merita.

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domenica 7 Maggio 2006, 12:55

Saint-Exupery

Ieri, mentre controllavo la citazione finale per il post sul Filadelfia, sono incappato in altre massime di Antoine de Saint-Exupery; e ho trovato particolarmente bella questa:

Amore non è guardarsi a vicenda; è guardare insieme nella stessa direzione.

Naturalmente, c’è una massima per qualsiasi cosa, per dire tutto e il contrario di tutto; eppure quelle di Saint-Exupery mi sono sembrate particolarmente azzeccate. Sarà anche per via della bella messa in scena del Piccolo Principe che fa Assemblea Teatro, e che ho visto due volte nel corso degli ultimi anni. Ogni tanto la rimettono in scena, a Torino e dintorni; se vi capita, andatela a vedere (ma assicuratevi che ci siano anche le splendide “illustrazioni in tempo reale” che hanno accompagnato le serate che ho visto io).

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