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Archivio per la categoria 'NetGov’It'


sabato 26 Giugno 2010, 15:50

L’economia delle TLC spiegata per voi

Stefano Quintarelli ha preparato un bellissimo video che, in poco più di un quarto d’ora, spiega chiaramente e in modo comprensibile a tutti l’attuale situazione di stallo nelle telecomunicazioni italiane, quella per cui, in assenza di scelte politiche forti, siamo destinati a rimanere indietro nell’infrastruttura più cruciale per il nostro sviluppo.

Per sostenere l’economia, la cultura, l’informazione e tutti gli altri settori avanzati da Internet è necessario contemporaneamente dotarsi di una infrastruttura costosa (ma non così tanto) e necessariamente unica per tutti, una rete capillare in fibra ottica, e aprire tale infrastruttura a una vera concorrenza e dunque all’innovazione competitiva continua, anziché vivacchiare in un mercato dominato da Telecom Italia.

Sarebbe un investimento remunerativo (secondo i conti di Quintarelli, la ricaduta per ogni euro investito sarebbe venti volte superiore a quella della TAV Torino-Milano, per esempio) e a cui non vi sono alternative (il wi-max non lo è) ma che l’industria privata non ha né le possibilità né l’interesse di finanziare. Ci vorrebbe un governo lungimirante, come quelli che cinquant’anni fa costruirono le autostrade, cent’anni fa costruirono la rete telefonica e centocinquant’anni fa costruirono la rete ferroviaria – tutte infrastrutture che all’inizio sembravano quasi un lusso, ma senza le quali oggi saremmo ancora nelle capanne di fango. Il problema è che, oggi, un tale governo non si vede all’orizzonte.

[tags]telecomunicazioni, internet, economia, rete, telecom italia, wimax, quintarelli[/tags]

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martedì 22 Giugno 2010, 10:21

Cose che succedono qua e là

Ci sarebbe molto da raccontare (ad esempio il carnaio dell’aeroporto di Bergamo il lunedì mattina) ma sono piuttosto di corsa (anche grazie ai portoghesi di cui ho postato ieri il video, a cui in serata si sono uniti cileni e spagnoli) e ho tempo solo per una breve nota.

Intanto segnalo che, se qualcuno passa qui da Bruxelles, stasera presso il meeting di ICANN c’è la festa per il venticinquesimo anniversario del .org. Per noi che abbiamo iniziato in tempi abbastanza pionieristici (e dico “abbastanza” perché c’è comunque chi ha iniziato dieci o vent’anni prima di noi) fa un po’ specie pensare che certi elementi base di Internet come la conosciamo abbiano ormai vari decenni di vita.

Anche al meeting di ICANN, a cui ho fatto un salto ieri per le due riunioni di mia competenza, comincia a fare effetto pensare che dieci anni fa eravamo lì a discutere più o meno le stesse cose… ieri, alla fine dell’incontro internazionale dei chapter di ISOC, hanno fatto un quiz, regalando una scatola di cioccolatini a chi avesse saputo dire quali erano gli ultimi tre chapter attivati (la risposta era: Uruguay, Libano e Bangalore). L’ha saputo Norbert Klein, il signor ISOC Cambogia, e ciò ha fatto partire una sessione di ricordi su un simile quiz organizzato da ISOC nel 1996, e anch’esso vinto da lui. Alla fine però ci siamo sentiti vecchi… alla faccia delle nuove tecnologie.

Ora, invece, due comunicazioni di servizio per le faccende grilline di casa nostra.

La prima è un ringraziamento a Sonia Alfano per avere firmato la dichiarazione del Parlamento Europeo contro ACTA. Sonia è sempre vicina ai nostri ideali e credo che la lettera aperta a Beppe Grillo che ha scritto ieri meriti una risposta adeguata, sperando che possa esserci un riavvicinamento costruttivo.

Invece, per chi sta a Torino, la riunione di stasera per le elezioni comunali grilline di cui avevo parlato, aperta a tutto il popolo torinese, è stata spostata in via Luserna 8. Partecipate numerosi.

[tags]icann, isoc, .org, internet governance, domini, sonia alfano, parlamento europeo, acta, beppe grillo, movimento 5 stelle[/tags]

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domenica 20 Giugno 2010, 16:58

All world is country

La pagina della wikipedia inglese relativa a Koman Coulibaly, misconosciuto arbitro maliano, dopo circa tre anni di tranquilla vita elettronica è stata presa d’assalto negli ultimi due giorni: alcune decine di revisori hanno cercato di inserire in varie declinazioni il concetto che l’arbitro, avendo misteriosamente annullato all’ultimo minuto il gol valido che avrebbe dato agli USA la vittoria sulla Slovenia, è indubbiamente un cornuto.

[tags]calcio, mondiali, usa, slovenia, wikipedia, tifosi[/tags]

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venerdì 28 Maggio 2010, 09:54

Nuove attività

Parlando di Internet governance, sono contento di annunciare di essere una delle tre persone elette dalle varie sezioni nazionali della Internet Society nel nuovo consiglio di ISOC-ECC, il coordinamento europeo delle sezioni suddette.

In pratica si tratta di un piccolo gruppo che si occuperà di preparare e presentare alle istituzioni europee, insieme al responsabile dell’ufficio europeo della casa madre, le posizioni della comunità Internet sui temi della libertà e dell’economia della rete. Si tratta di una posizione volontaria, che probabilmente comporterà un paio di viaggi l’anno a Bruxelles, un po’ di conference call in anglofrancese e qualche nottata di lavoro per la preparazione di position paper.

Nell’ultimo paio d’anni la mia precedente attività internazionale nel settore della governance di Internet si è ridotta di parecchio (un po’ come tutto il resto, dalla vita professionale a quella privata), a causa delle energie profuse nel Movimento 5 Stelle. Non fa male allora ricominciare a lavorare un po’ su altri fronti.

[tags]internet governance, isoc, società internet, unione europea, diritti digitali[/tags]

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sabato 22 Maggio 2010, 20:05

Io pago, ma il prodotto resta loro

Oggi pomeriggio ho acceso la mia Playstation 3, che ormai uso molto saltuariamente; in pratica è un lettore blu-ray (ma solo con i blu-ray comprati a prezzi umani durante il mio giro a Londra, dato che in Italia ancora si pensa che i blu-ray siano un buon modo per spennare la gente) più un sistema per giocare ogni tanto a Guitar Hero ed epigoni.

Saranno stati un paio di mesi che non la accendevo in modalità console; e così, dopo aver messo il disco di Rock Band 2, mi sono ritrovato il messaggio che richiedeva di aggiornare il software del gioco, mediante uno scaricamento online… che si è prontamente piantato. Ho allora pensato che il problema fosse il mancato aggiornamento del sistema operativo della PS3, che la Sony ti obbliga a fare di tanto in tanto (una rottura di scatole gratuita e imposta dall’alto), pena il non poterti più collegare a Playstation Network e dunque non poter aggiornare i giochi, giocare in rete o inviare i tuoi punteggi; ho controllato e in effetti, nei due o tre mesi da quando l’avevo usata l’ultima volta, era stato pubblicato un aggiornamento.

Così ho scaricato l’aggiornamento, l’ho lanciato, e stavolta mi sono trovato davanti a una schermata nera con il seguente messaggio (qui una foto dell’equivalente in inglese): in pratica, accettando l’aggiornamento rinunciavo per sempre alla possibilità di installare sulla PS3 Linux o un qualsiasi altro sistema operativo, una delle caratteristiche che all’epoca del lancio era stata presentata come innovativa e qualificante e che mi aveva spinto a scegliere ancora Playstation, nonostante la concorrenza costasse decisamente di meno.

Naturalmente l’aggiornamento “non è obbligatorio”, ma se non lo faccio non posso più entrare in Playstation Network e dunque non posso giocare in rete, aggiornare i giochi, usare il media server, usare blu-ray o giochi che richiedono versioni aggiornate del sistema operativo… in pratica non posso più farci niente.

Ho scoperto che la notizia risale ad alcune settimane fa e che ovviamente ha suscitato parecchie polemiche; qualcuno è pure riuscito a farsi rimborsare parzialmente da Amazon il costo della console, in virtù del valore della funzione rimossa, ma la Sony ha prontamente richiuso le porte.

Che dire? Sono un cliente Sony da molto tempo e ho sempre riconosciuto a questa azienda la sua eccellenza tecnologica, che però si accompagna da sempre a una chiusura mentale davvero inaccettabile, che la porta a spingere formati proprietari e ad adottare comportamenti totalmente irrispettosi degli utenti e delle promesse fattegli al momento dell’acquisto.

Io d’ora in poi ci penserò quattro volte, prima di ricomprare Sony; ma episodi come questo dimostrano una volta di più che il controllo dei sistemi operativi e delle macchine da parte dei grandi produttori è un problema politico non da poco, andando a impattare come minimo sui diritti del consumatore, e non di rado anche su diritti civili come la privacy e la possibilità di libera espressione. Per non parlare del diritto di proprietà: che senso ha che io compri un apparecchio elettronico per centinaia di euro di spesa, e nonostante questo non sia libero di scegliere che sistema operativo farci girare, e anzi sia obbligato a farvi accedere via rete il produttore, che maneggia sul mio hard disk come gli pare e senza trasparenza e se non accetto mi impedisce di usare l’apparecchio che ho regolarmente acquistato?

Insomma, la Sony non dovrebbe poter fare questo senza confrontarsi con una autorità di regolamentazione pubblica e con qualcuno che rappresenti i suoi clienti; il fatto che le grandi corporation facciano un po’ quello che gli pare, senza garanzie di alcun tipo per chi usa i loro prodotti, è un problema ancora da risolvere.

[tags]sony, playstation, linux, libertà, diritti, consumatori, proprietà, internet governance[/tags]

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venerdì 7 Maggio 2010, 09:19

Sulla scienza e sulla libertà di Internet

Ieri sono andato all’annuale assemblea di Società Internet, il chapter italiano della Internet Society, di cui sono socio da dieci anni e di cui sono stato consigliere fino all’anno scorso. Quest’anno, tra Movimento e altre cose, sono stato meno coinvolto che in passato, tanto è vero che a margine dell’assemblea alcuni vecchi saggi hanno cercato di coinvolgermi più a fondo nelle attività associative “così la smetti di pensare di cambiare il mondo con la politica”.

Peraltro, anche quest’anno qualcosa per ISOC l’ho fatto: ho scritto un lungo articolo scientifico che introduce una visione globale del dibattito sulla neutralità della rete, cercando di mettere insieme aspetti che normalmente sono studiati separatamente – quello tecnico dagli ingegneri, quello economico dagli economisti, quello sociale quasi da nessuno – e di tracciare un filo concettuale che leghi tutti questi problemi all’architettura fondamentale della rete. L’articolo è stato pubblicato sul quinto Quaderno dell’Internet Italiano, uscito da poche settimane, che potete leggere online o di cui potete richiedere la copia cartacea a Società Internet; contiene vari articoli interessanti, alcuni più strettamente tecnici e altri, come il mio, più concettuali e sociali.

Dopo l’assemblea si è tenuto un convegno, anch’esso organizzato da Società Internet, sul tema della responsabilità dei gestori dei servizi Internet, a valle della sentenza Google-Vividown e di altri casi che secondo me sono veramente allarmanti (si è parlato di Bakeca e di Zopa). Come sempre in questi casi, buona parte del convegno è stato dedicato a interventi scandalizzati sul fatto che un giudice possa permettersi di chiedere a chi gestisce un sito di contenuti inviati dagli utenti di rispondere dei contenuti stessi, con tutti i soliti paragoni: è come condannare chi gestisce l’autostrada perché ci viaggia sopra un rapinatore, è come condannare il proprietario del muro di un palazzo per una scritta fatta di notte da qualcun altro.

Io sono d’accordo sull’importanza della neutralità della rete – vedi l’articolo che ho scritto – e sul fatto che chi distribuisce i contenuti non debba essere immediatamente e ipso facto responsabile di ciò che viene immesso dagli utenti sulla sua piattaforma; è dieci anni che mi do da fare per questa causa. Sono però molto preoccupato della litania scandalizzata di cui sopra; perché spesso esagera, e comprende un inaccettabile scarico di responsabilità.

E’ comprensibile che chi possiede e gestisce Google voglia ottenere i benefici del suo investimento in Youtube (le entrate economiche da pubblicità) senza doversi assumere il rischio e l’onere derivante da responsabilità sui contenuti che li generano, così come è comprensibile che chi gestisce Wikipedia voglia gestirla come il proprio giocattolino e prendersene gli onori senza doversi poi beccare le cause per i contenuti potenzialmente diffamatori che essa potrebbe ospitare. Ma è anche giusto?

E non è vero che, per difendere la possibilità di un dissidente cinese di mandare in giro un video senza censure, si debba per forza accettare che Youtube trasmetta per settimane pestaggi di disabili, maltrattamenti di animali, corse automobilistiche illegali, cadaveri martoriati e chi più ne ha più ne metta. Va benissimo che questi gestori non siano responsabili se non dopo segnalazioni formali e provate, va benissimo che vengano stabilite regole chiare per giungere a decidere cosa va eliminato, limitando i rischi di censura politica ed evitando di lasciare le scelte alla sola decisione del provider di turno (che, nel dubbio, censurerebbe qualsiasi cosa vagamente scomoda per non prendersi alcun rischio), ma non si può accettare che Internet diventi l’amplificatore di qualsiasi immondizia diseducativa e illegale perché non abbiamo voglia di vigilare e di fare qualche distinzione.

Youtube e Wikipedia, come Facebook e come tanti altri, sono chiaramente servizi fondamentali e di pubblico interesse, esercitati in una posizione di predominio quasi monopolistico sul rispettivo “mercato” (della trasmissione di video on demand l’uno, delle enciclopedie elettroniche l’altro). Da questo non derivano solo i benefici in termini di guadagno (che sia fatturato o donazioni) e di visibilità, ma anche le conseguenti responsabilità; e prima ancora delle responsabilità giuridiche vengono quelle etiche, morali, deontologiche, sociali, politiche. Mi piacerebbe che prima o poi questi intermediari se le prendessero, all’interno di un framework condiviso con il legislatore e la comunità della rete; e fa specie che su questo tema siano spesso più collaborative e responsabili le multinazionali private rispetto ai progetti che vengono dalla rete.

[tags]internet, società internet, isoc, neutralità della rete, libertà della rete, censura, google, vividown, bakeca, zopa, youtube, wikipedia, responsabilità, isp, internet governance[/tags]

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martedì 6 Aprile 2010, 16:13

Wikitestedure

Lo so, non ci crederete. Ma, ecco… in fondo questa è una storia che voi fedeli lettori avete seguito in diretta, e allora non potevo mancare di segnalare la nuova puntata.

Perché dopo che alle elezioni il Movimento 5 Stelle è diventato il caso politico dell’anno, naturalmente a qualcuno è venuto in mente di andare su Wikipedia e di creare la relativa voce, “inspiegabilmente” mancante.

E ovviamente, tempo due giorni, ne è stata chiesta la cancellazione. Per la terza volta.

screenshot_wikipedia_m5s_III.png

La motivazione è “non è chiaro perchè ora sarebbe enciclopedico”. Già, non è chiaro: in fondo ha soltanto preso mezzo milione di voti e quattro consiglieri regionali pur candidandosi in sole cinque regioni, ma mica vuoi paragonarlo a formazioni come Veneto per il Partito Popolare Europeo e Società Aperta Circoli per l’Altra Italia.

Per fortuna ora il limite del ridicolo è stato ampiamente superato, e così la votazione sulla cancellazione si sta evolvendo con una valanga di “-1” (sfavorevole alla cancellazione). Con un po’ di fortuna, i wikipediani riusciranno dunque a non finire di nuovo sui giornali per l’ennesima prova della parzialità della loro enciclopedia.

A questo punto vorrei fare a chi di dovere (che, ricordiamo, non esiste) un’altra domanda: stante che non ho denunciato nessuno e non ho nemmeno intenzione di farlo, il mio account può essere sbloccato?

[tags]wikipedia, movimento 5 stelle[/tags]

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venerdì 19 Marzo 2010, 16:51

Zucconi e fifoni

Mi scuso se dedico un altro post alle reazioni scomposte del centrosinistra contro il Movimento 5 Stelle in Piemonte, argomento già affrontato anche da quello di ieri.

E’ che ieri ne ha parlato anche Vittorio Zucconi nel suo blog su Repubblica, in uno di quegli articoli “mettiamo le mani avanti” che i partiti che temono la sconfitta pubblicano subito prima del voto. In pratica, il senso dell’articolo è “Berlusconi dice che gli basta vincere tre regioni per cantar vittoria? No, ne dovrebbe prendere almeno sette”, così se poi Berlusconi ne vincerà sei Repubblica potrà titolare “La grande sconfitta di Silvio”, mentre il Giornale titolerà “Silvio sgomina i comunisti” e così via.

In un inciso, però, Zucconi specifica che il centrodestra vincerà “anche grazie alla robusta campagna anti Bresso condotta da Grillo” – campagna che, lo ricordiamo, consiste nell’aver chiamato la Bresso “Attila in gonnella” e aver criticato la sua legge forestale, in un comizio in cui per gran parte del tempo Grillo prendeva per i fondelli Berlusconi, Schifani, Minzolini, Tremonti e altri ancora. Ma, si sa, il centrosinistra ha un senso di lesa maestà molto sviluppato: loro non sbagliano mai, e se li critichi anche solo una volta sei berlusconiano, fascista, leghista o berlusconiano fascista e leghista.

Bene, mi son permesso di lasciare il seguente commento: “Sono Vittorio Bertola, una delle persone che hanno messo in piedi la lista del Movimento 5 Stelle in Piemonte. Mi spiace vedere anche lei suonare la grancassa de “i grillini ce l’hanno con la Bresso perché li manda Cotaâ€, che è l’unica strategia che il PD ha saputo mettere in piedi dopo che a Torino ventimila persone spuntate dal nulla hanno riempito piazza Castello per il comizio di Grillo domenica scorsa. In realtà noi ce l’abbiamo sia con Bresso che con Cota, dato che entrambi non hanno uno straccio di progetto per il futuro della nostra regione che non sia basato sul cemento e sulla precarietà. Solo che il centrosinistra (che io ho votato per vent’anni prima di stufarmi) pare essere afflitto da totale paranoia, oltre che dall’incapacità di vincere in base alle proprie idee (ammesso che ce ne siano) invece che denigrando gli altri.”

Il commento è stato pubblicato da Zucconi insieme alla sua risposta: pacata, costruttiva, moderata e conciliante, dato che loro notoriamente sono per il dialogo, siamo noi che insistiamo a fare i “settari”.

“Mai scritto nè pensato la frase che lei mi attribuisce, caro Bertola, non faccia il Berluscoide con me. Rete canta, non è vero? Se il vostro movimento delle stelline porterà via voti anche a Cota, dopo avere definito in piazza la Bresso “Attila†(chi era quello che denigrava, neh?) cioè quanto di peggio la Lega, non un partito qualsiasi, abbia partorito e gli impedirà di assumere il potere in una regione storicamente cruciale nella storia d’Italia come il Piemonte, mi compero tutti i Dvd di Grillo. Con carta di credito, naturalmente, per far contenta anche la banca. Mi riscriva il 30 marzo, con i risultati elettorali, e auguri sincerissimi di buona fortuna. Non a voi, ma a noi tutti. Ne abbiamo bisogno, a cominciare dal suo movimento e dal suo a volte divertente profeta, perchè all’ombra di questi insopportabili e polverosi vecchi partiti, che anche io trovo spesso patetici, voi potete andare in piazza Castello e noi possiamo scriverci. Non creda, neppure per un istante, che debba per forza essere sempre così. La Santa Rete c’è anche in Cina, ma non protegge nessuno dalle galere di Pechino. (v.z.)

Ok, preparerò le arance, ma a Zucconi manderò del Valium… Comunque, con la massima calma, ho preparato una risposta che potete leggere qui sotto, ed ecco cosa è successo:

screenshot-zucconi.png

La risposta è in moderazione da oltre quattro ore, e non è mai stata approvata. Faccio notare che negli altri post del blog hanno continuato ad apparire commenti, dunque Zucconi o chi per lui c’è. Solo che al primo commento, non avendo argomenti, ha risposto con l’invettiva; al secondo, non essendo riuscito a buttarla in caciara, usa il suo potere di controllo dell’informazione. Peccato che io abbia la rete; e forse, quando parlava di poter mettere i tipi come me nelle galere di Pechino, esprimeva un suo desiderio inconfessabile.

Magari con questo post riesco a farmi approvare il commento; sono aperte le scommesse…

[tags]repubblica, zucconi, bresso, cota, elezioni regionali, piemonte, movimento 5 stelle, beppe grillo, internet[/tags]

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martedì 9 Marzo 2010, 20:37

Digitale pubblico o digitale privato

Per chi ancora non ne avesse sentito parlare, volevo segnalare e invitare a firmare il Public Domain Manifesto, una iniziativa di Communia – la rete tematica europea sul pubblico dominio digitale, una iniziativa universitaria finanziata dall’Unione Europea di cui il nostro Politecnico è il coordinatore – e di tanti amici e compagni di varie battaglie digitali, a partire dal primo firmatario Philippe Aigrain.

Noi siamo talmente immersi in una cultura di copyright, diritti e regole varie che non ci rendiamo nemmeno più conto di quanto essa sia innaturale. Eppure, fino a un paio di secoli fa la protezione delle opere d’ingegno era un concetto praticamente sconosciuto, ed è solo da pochi decenni che è stato coniato il termine “proprietà intellettuale”. Come ben spiega Richard Stallman, è questo stesso termine a essere ingannevole, coniato dalle industrie dell’audiovisivo per far passare subdolamente l’idea che i pensieri siano proprietà di chi li pensa.

In realtà, una “invenzione” o una “creazione” sono il frutto del loro tempo, e si basano su di un 99% di conoscenza pregressa che risale indietro nei millenni; e, da sempre, il progresso scientifico e culturale della società si basa sulla disponibilità di quello che c’è stato prima. Con la rivoluzione industriale, si decise di premiare l’opera dell’ingegno con un monopolio temporaneo, il brevetto: chi inventa un nuovo meccanismo può sfruttarlo commercialmente in esclusiva per vent’anni, in modo da ripagarsi degli investimenti di tempo e denaro, incentivando quindi ulteriori invenzioni. Nessuno, tuttavia, aveva mai pensato che l’invenzione fosse “proprietà” di chi l’aveva inventata: si parlava solo di sfruttamento commerciale.

Questo concetto è progressivamente degenerato, arrivando invece all’idea opposta: quello che invento, quello che scrivo, quello che compongo è mia proprietà e posso non solo sfruttarlo commercialmente, ma imporre agli altri le modalità con cui lo possono usare. Specialmente al giorno d’oggi, per produzioni intellettuali il cui ciclo di vita economico è di venti-trent’anni (per i film, tranne pochi classici) o di pochi anni (per il software), succede che la proprietà sia di fatto senza fine: quando scadono i termini del copyright, la cosa non interessa più a nessuno.

Succede però, per la grande maggioranza delle opere, l’effetto opposto: dopo pochi anni non sono più commercialmente interessanti dunque nessuno le distribuisce, ma sono ancora sotto protezione e dunque non sono liberamente accessibili né utilizzabili. Per fare un esempio che conosco bene, le sigle dei cartoni animati degli anni ’70 erano destinate sicuramente all’oblio. Fu proprio la rete a metà anni ’90, con il Progetto Prometeo (di cui fui uno dei promotori), a salvarle e anzi a rilanciare quel genere di musica fino a farlo diventare un classico. Fu un atto di totale pirateria, ma alla fine portò un beneficio economico ai titolari dei diritti, perché il rinnovato interesse in quei brani volle anche dire nuove possibilità di guadagno. Eppure ricordo quando arrivò al Rettore del Politecnico una raccomandata dalla Federazione contro la Pirateria Musicale (allora diretta dall’attuale capo dei discografici italiani, Enzo Mazza) che ordinava la chiusura immediata del nostro sito (noi resistemmo e minacciammo di creare un caso, e il risultato fu un accordo: togliete i brani di Cristina d’Avena, di proprietà Mediaset, e lasciate il resto).

Eppure l’argomento è tabù: qualche anno fa, nell’ambito del gruppo di lavoro WGIG delle Nazioni Unite, mi presi il compito di scrivere il “paper” sulla questione. Giudicate voi se era di parte: penso fosse semplicemente onesto. Peccato che il rappresentante delle major americane nel gruppo di lavoro si sia sdraiato contro di esso, tanto che non fu mai pubblicato ufficialmente come risultato collettivo.

Il copyright, infatti, è un elemento fondamentale della strategia americana per mantenere la propria posizione di superpotenza economica. Forse non sapete che in tutti gli accordi commerciali bilaterali firmati dagli Stati Uniti con i paesi in via di sviluppo vengono inserite clausole che li obbligano alla protezione ossessiva della proprietà intellettuale, spesso senza nemmeno spiegargli bene cosa stanno firmando.

Probabilmente nelle ultime settimane avrete letto in rete della sollevazione generale provocata dall’avanzato stato di negoziazione dell’accordo ACTA (Anti-Counterfeiting Trade Agreement), che con la scusa della lotta alla contraffazione vuole imporre misure strettissime di controllo e repressione sulla rete, tra cui (pare) le famose risposte graduate per cui “se scarichi MP3 ti buttiamo fuori da Internet”. Il tutto – incredibile – negoziato in maniera segreta tra i governi, al di fuori del controllo della pubblica opinione e persino dei Parlamenti.

Vi invito a vedere questo video (se parlate inglese o francese); per il resto, io l’allarme l’avevo già lanciato quasi tre anni fa. Perché con “pirateria” ormai sempre più si intendono “opinioni sgradite al governo”: filmati scomodi, testi di protesta, parodie in musica che hanno spesso bisogno del materiale originale da commentare; o semplicemente, con i meccanismi introdotti per “fermare la pirateria” (ad esempio i filtri obbligatori imposti in questi mesi ai provider italiani, che vi impediscono di accedere a siti come The Pirate Bay) si può poi non solo fermare il progresso, chiedendo un obolo insostenibile ai paesi in via di sviluppo che vogliano sfruttare l’acqua calda che la multinazionale di turno ha provveduto a brevettare, ma fermare anche il dissenso.

La rete è l’unico mezzo di comunicazione non controllato centralmente; dunque è l’unica difesa della democrazia. Per questo la libertà della rete è così importante.

[tags]internet, libertà, proprietà intellettuale, contraffazione, mp3, pirateria, mediaset, pirate bay, democrazia[/tags]

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domenica 28 Febbraio 2010, 10:47

Bullismo senza privacy

Stamattina, anche se in ritardo, volevo scrivere un commento alla sentenza che condanna i dirigenti di Google per il video del disabile picchiato in classe, e che fa parte di una cultura di persecuzione della rete che in Italia ormai dilaga, spinta dalla voglia di vendetta dei politici sputtanati dai blog e dei giornalisti in via di cassa integrazione per la prossima dissoluzione dell’informazione tradizionale. Ma ne ha già scritto uno buono giorni fa Beppe Grillo, e dunque uso le potenzialità della rete: mi limito a un link.

[tags]internet, privacy, google, bullismo[/tags]

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