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Archivio per la categoria 'NewGlobal'


domenica 9 Marzo 2008, 09:43

[Serj Tankian – Elect The Dead]

Oggi è domenica, e mentre voi riflettete sulla sindrome di Gabriella Carlucci io vi concedo un alleggerimento parlando di musica; ma non quella roba elettropoppettina che ascoltano i deboli di cuore.

Il disco è uscito ormai da alcuni mesi, ed è da un po’ che volevo parlarvene: è l’esordio del cantautore armeno Serj Tankian, un ragazzo che ha da poco lasciato il gruppetto di amici con cui suonava e si è dato alla carriera solista, pur promettendo una reunion tra tre anni. Serj è armeno, ma nato in Libano e cresciuto a Hollywood, che contrariamente a quel che credete è oggidì una zona di Los Angeles alquanto in declino, popolata in buona parte di immigrati armeni.

Serj è una persona interessante, e non solo perché basta guardarlo in faccia per scoprire che io e lui dobbiamo essere in qualche misura cugini. La sua musica è… ecco, è come se i Red Hot Chili Peppers, tornati da un soggiorno di cinque anni in Medio Oriente, avessero deciso di abbracciare contemporaneamente l’heavy metal e il piano classico. In più, come facilmente immaginabile viste le sue origini, Serj non ha preso proprio benissimo la politica estera di Giorgino Dabliù, e quindi suole alternare una invettiva furiosa sulla corruzione del governo americano a un brano apocalittico sugli effetti della guerra e sulla società moderna. Non è quindi a caso che il suo sito, in questo tempo di elezioni primarie, si apra con il seguente messaggio:

“WE ARE THE CAUSE OF A WORLD THAT’S GONE WRONG – CIVILIZATION IS OVER – ELECT THE DEAD”

Non so se Veltroni e Berlusconi siano più vivi dei candidati americani; peraltro Elect The Dead è anche il titolo del disco e dell’ultimo brano.

Serj ha fatto le cose in grande, e ha realizzato un video per ciascuno dei brani; ed è stato veramente difficile sceglierne uno da mostrare. Avrei potuto scegliere l’inquietante guerra di soldatini di The Unthinking Majority o lo scenario post-nucleare e derelitto di Sky Is Over, oppure cercare chicche come Praise The Lord And Pass The Ammunition oppure Beethoven’s Cunt, canzone dedicata a quanto lui amasse la sua ex ma lei non fosse troppo a proprio agio con un compositore asociale e ossessionato dalla fine del mondo.

E invece, mi sono limitato al primo singolo, Empty Walls, e al suo video, che all’inizio sembra soltanto una ilare presa in giro e denuncia del militarismo americano. Certo non è normale uscire su MTV con un video che dopo mezzo minuto ha già rimesso in scena l’attentato alle Twin Towers, pur se con le costruzioni dei bimbi! Enjoy, ovviamente a volume sufficientemente alto, perché la musica di Tankian è molto più complessa di quello che sembra; e se vi piace, il 17 aprile probabilmente ci si vede all’Alcatraz di Milano.

Your empty walls, your empty walls
Pretentious adventures, dismissive apprehension
Don’t waste your time on coffins today
When we decline from the confines of our mind
Don’t waste your time on coffins today

Don’t you see their bodies burning? Desolate and full of yearning
Dying of anticipation, choking from intoxication
Don’t you see their bodies burning? Desolate and full of yearning
Dying of anticipation, choking from intoxication

I want you to be left behind those empty walls
Told you to see from behind those empty walls

Those empty walls
When we decline from the confines of our mind
Don’t waste your time on coffins today

Don’t you see their bodies burning? Desolate and full of yearning
Dying of anticipation, choking from intoxication
Don’t you see their bodies burning? Desolate and full of yearning
Dying of anticipation, choking from intoxication

I want you to be left behind those empty walls
Told you to see from behind those empty walls
Want you to be left behind those empty walls
I told you to see from behind those empty walls
From behind those empty walls
From behind those empty walls
The walls
From behind those empty walls (I loved you yesterday)
From behind those empty walls
From behind those empty walls (Before you killed my family)
The walls

Don’t you see their bodies burning? Desolate and full of yearning
Dying of anticipation, choking from intoxication
Don’t you see their bodies burning? Desolate and full of yearning (I want you)
Dying of anticipation, choking from intoxication (To be left behind those empty walls)

I want you to be left behind those empty walls
Told you to see from behind those empty walls
(Desolate and full of yearning, dying of anticipation, choking from intoxication)
Want you to be left behind those empty walls
(Don’t you see their bodies burning? Desolate and full of yearning, dying of anticipation, choking from intoxication…)
I told you to see from behind those empty walls (Fuck your empty walls, fuck your empty walls)
From behind those empty walls (Fuck your empty walls, fuck your empty walls)
From behind those fucking walls (Fuck your empty walls, fuck your empty walls)
From behind those goddamn walls
Those walls, those walls

P.S. Ma siccome nemmeno quest’altra mi esce dalla testa, farò uno strappo alle usanze e incollerò qui sotto anche il video di Lie Lie Lie. Rimettetevi le cuffie, alzate il volume e in men che non si dica sarete catturati da una antica melodia di stampo russo in versione power metal, e vi troverete anche voi a cantare allegri “lalalala lalalala lie lie lie”, sulla storiellina leggera leggera di un fratello e una sorella che si amano sia platonicamente che carnalmente, e visto che così non si può andare avanti lui la convince a suicidarsi insieme; ma poi, giunti sul bordo della scogliera, lui la butta giù da sola e la sfotte perché ci è cascata.

[tags]serj, tankian, elect the dead, empty walls, lie lie lie, musica, system of a down[/tags]

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giovedì 6 Marzo 2008, 12:58

Morti bianche e coscienze da pulire

Dopo l’ennesima tragedia sul lavoro, si è riaperta la bagarre sui media e nel mondo politico: bisogna assolutamente fare qualcosa. Naturalmente la soluzione è “ovvia” a tutti: servono più regole – evidentemente non ce ne sono abbastanza – e naturalmente sanzioni durissime per le imprese; anche perché siamo a un mese dalle elezioni, e gli operai votano, mentre le imprese no. E’ il solito giochetto ipocrita in cui ai vari partecipanti nella recita non potrebbe importare di meno degli operai; bisogna soltanto pulirsi la coscienza e mettersi in luce sui giornali.

Peccato che, a fronte di aziende che appaiono già a prima vista scientemente colpevoli di mancata prevenzione come la Thyssen-Krupp, la maggior parte dei casi di morte bianca riguardi quel mondo polverizzato delle microimprese che è così tipico dell’Italia; e quindi, il fantoccio del manager cattivo che sfreccia sul suo Cayenne sghignazzando alle spalle dei poveri operai è un po’ più difficile da trovare, e anzi si giunge alla conclusione sconsolata del procuratore di Molfetta che allarga le braccia e dice che il colpevole era lì sottomano, peccato che sia morto anche lui nell’incidente.

Il concetto di “sicurezza” è semplice in apparenza, ma difficile da definire: è profondamente personale e anche profondamente culturale. Del resto, queste sono foto che ho scattato io a Pechino tre mesi fa:

DSC01969.JPG
DSC01973.JPG

Da noi, un cantiere dove l’impalcatura non ha nemmeno le assi, e gli operai camminano tranquillamente sui tubi, se va bene imbragati ma più spesso no, non sarebbe comunque concepibile; là è la normalità.

In più, certi lavori sono pericolosi per definizione; si possono e si devono prendere tutte le precauzioni possibili, ma un pompiere o uno che svuota cisterne di gas velenoso sono sempre soggetti all’errore, quando non all’imponderabile. Non credo che il titolare dell’azienda di Molfetta, che si è calato nella cisterna cercando di salvare i propri operai ed è morto anche lui, possa aver coscientemente lesinato sul livello di sicurezza che doveva garantire se stesso; e quindi, se proprio non vogliamo rassegnarci a considerare le fatalità come fatalità, dobbiamo concentrarci non sulle regole e sulla ricerca di colpevoli, ma sul fatto che certi lavori, ancora oggi, vengono svolti – sia dall’operaio che dal padrone – con leggerezza, senza preparazione e senza una adeguata coscienza del pericolo.

Forse allora una adeguata formazione sui pericoli del proprio lavoro potrebbe fare molto di più dell’ennesima legge draconiana. In Italia, invece, l’idea per risolvere un qualsiasi problema – e potremmo parlare della privacy, o della nuova procedura per dimettersi, una magistrale esibizione di burocratismo anni ’70 – è di fare una legge dettagliatissima e durissima, che però si concentra sulla necessità di stendere un pezzo di carta, che guarda caso può essere steso soltanto da un “esperto” di qualche casta o da un ufficio pubblico previa riscossione della relativa tassa, la quale va ovviamente a carico dell’azienda perché, si sa, l’azienda è cattiva per principio e ancora grazie che non la chiudiamo del tutto. Come risultato, l’azienda paga, porta a casa 300 pagine di copia e incolla da infilare in fondo a un armadio, e continua a comportarsi esattamente come prima. E gli operai continueranno a morire.

[tags]lavoro, economia, operai, morti bianche, incidenti, sicurezza sul lavoro, molfetta, cina, ipocrisia[/tags]

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lunedì 3 Marzo 2008, 14:23

Tassazzolandia

Spinto dalle osservazioni di .mau. sull’aumento della pressione fiscale, ho deciso di riprendere gli argomenti economici; stavolta, invece che di produttività, parliamo proprio di tassazione per le aziende.

Già, perché l’osservazione che fanno in molti, tipicamente fedeli del centrosinistra, è la seguente: stante che la pressione fiscale con Prodi è innegabilmente aumentata, fino a raggiungere il record nella storia della Repubblica, non sarà che essa sia salita non perché ciascuno paghi di più, ma perché con le buone o con le cattive sono diminuiti gli evasori?

E la risposta che danno in molti, tipicamente fedeli del centrodestra, è che in realtà quelli che il fisco italiano considera “evasori” sono spesso persone che sarebbero in regola, ma che di fronte alle pretese del fisco pagano per evitare guai e scocciature, visto che, al solito, le norme italiane sono sufficientemente confuse e barocche da rendere quasi impossibile, anche rivolgendosi a un buon commercialista, sapere come fare per essere al riparo da multe; quindi Prodi non avrebbe solo combattuto gli evasori, ma anche angariato molti onesti.

A me interessano di più i fatti, e così sono andato a cercarmi i dati, in particolare per quel che riguarda le aziende, visto che nella vulgata popolare chiunque non sia un lavoratore dipendente tende ad essere considerato un presunto, anzi quasi certo, evasore. E quindi, queste sono le aliquote di punta per la tassazione degli utili aziendali in Europa nel 2006:

Irlanda 12,5
Ungheria 17,5
Polonia 19
Slovacchia 19
Rep. Ceca 24
Austria 25
Finlandia 26
Portogallo 27,5
Danimarca 28
Svezia 28
Grecia 29
Olanda 29
Lussemburgo 29,6
Inghilterra 30
Francia 33,3
Belgio 34
Spagna 35
Italia 37,3
Germania 38,6

C’è bisogno di commenti? Beh, sì: perché se le persone sono comunque cittadini di un certo Paese, le aziende possono spostare la propria sede legale, e ormai – nell’economia dei servizi – anche quella operativa, con estrema facilità. E’ insomma un settore altamente competitivo, dove tutte le nazioni fanno a gara per attrarre le aziende; e in questo il livello di tassazione è ovviamente un fattore molto importante.

Dunque il fatto che soltanto la Germania – che però ha non solo una economia molto più forte di noi, ma anche un livello di efficienza dei servizi pubblici che noi ci sogniamo, e che può rendere comunque conveniente il pagare tasse più alte – abbia una aliquota superiore alla nostra dovrebbe farci riflettere a lungo su quanto sia folle la politica della pressione fiscale in crescita; e non solo perché una elevata tassazione degli utili aziendali incentiva l’imprenditore a darsi un bel bonus o a comprarsi il terzo SUV aziendale il 30 dicembre, invece che a reinvestire gli utili in nuove iniziative e nuovi posti di lavoro l’anno successivo.

Riconsideriamo insomma alla luce di questi numeri la persistente campagna di criminalizzazione di qualsiasi persona fisica o giuridica italiana che abbia redditi all’estero, che sta venendo condotta dall’attuale governo e dai media di centrosinistra ormai da parecchi mesi. Per carità, se sono evasori è giusto che paghino, ma il grosso dei redditi italiani all’estero non è dato tanto da evasione, quanto da una scelta delle strutture giuridiche e dei luoghi di residenza fatta per pagare meno tasse.

Questa è evasione? Per il fisco italiano decisamente sì, mentre i singoli contribuenti rivendicano il loro diritto di prendere residenza dove le condizioni sono migliori; e qui si scontrano filosofie socioeconomiche piuttosto differenti.

Eppure, mettetevi nei panni di una azienda o di un imprenditore globale che lavora su cinque o dieci paesi, di cui uno – oltre ad avere un sacco di altri problemi – non solo ha le tasse più alte degli altri e le aumenta continuamente, ma rompe continuamente le scatole con accertamenti e pretese fiscali, dandoti dell’evasore per principio; secondo voi, potenzierete la sede italiana, o cercherete di chiuderla il prima possibile?

Nella competizione globale per assicurarsi le sedi delle aziende, l’Italia è come un supermercato che ha i prezzi più alti degli altri, e in più va dai clienti e li aggredisce dicendogli che devono spendere per forza di più, e che non pagano abbastanza. Magari sul momento il cliente si fa intimidire e paga, ma appena riesce a uscire dal negozio, non lo rivedi più…

[tags]italia, economia, tasse, fisco, aziende[/tags]

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sabato 1 Marzo 2008, 12:57

I senza cena

Ieri pomeriggio, uscendo dall’ufficio, sono andato a fare la spesa all’Ipercoop di via Livorno. Come ben sapete, io sono un affezionato del Lidl; tuttavia, circa una volta al mese vado all’Ipercoop per quel po’ di cose che al Lidl non si trovano ma che per me sono vitali – ad esempio le lenticchie precotte in latta, o le confezioni di latte UHT da mezzo litro – o per cui sono rimasto affezionato alla marca Coop (essenzialmente la pasta).

Bene, ieri avrò anche fatto una spesa relativamente grossa, che mi durerà per molte settimane; è vero che ci ho messo dentro sette euro di birre speciali che avevo finito (vuoi mica che venga a trovarmi Andrea e io non abbia la Leffe!); è vero che mi sono sbizzarrito, comprando quattro euro di trota (che sono finiti nella mia pancia in serata, insieme a quattro patate tagliate sottili sottili e sottofritte in qualche millimetro d’olio), e altrettanti di pecorino, e un po’ di mortadella fresca, e poi ho anche investito in sei euro di barattolone di acciughe da immergere nel bagnetto verde (vetro ed etichette comprese).

Però alla fine, per una spesa comunque limitata a alcune cose specifiche, e prendendo dappertutto il prodotto meno caro e quantità da single, ho speso 35 euro; se pensate che il mio scontrino medio settimanale al Lidl è di 15 euro, e l’ultima volta – pur comprando anche lì carne, formaggio e biscotti – sono rimasto sotto i dieci…

Insomma, sarà anche vero che il supermercato del Partito Democratico ti vende insieme alla spesa anche una sensazione di alternativ – equosolidal – progressismo (tutta da giustificare, peraltro); però ho capito com’è che, discutendo del costo della vita sui forum, quando dico che si può vivere tranquillamente con 100 euro di cibo a testa al mese, salta sempre fuori qualcuno che mi dice che sono uno stolto e che con meno di 300 non ce la si fa, e che il suo stipendio misero deve essere aumentato a tutti i costi dalla collettività per permettergli di “sopravvivere”.

Poi vai a indagare, e ti dice che “già per colazione servono sei euro al giorno, perchè io e mia moglie senza il Danone LC1 non possiamo vivere”. Naturalmente comprato nel supermercatino sotto casa perché andare fino all’ipermercato cinque minuti più in là è troppa fatica, e non parliamo del discount, “mica vorrai che faccia la spesa in mezzo ai romeni”.

Io, non avendo problemi di soldi, sono sempre molto cauto nel fare le pulci a chi ne dichiara. Tuttavia, credo che tutta la lamentazione che si sente in giro vada presa con una grossa cautela. Tranne pochissimi, non c’è nessuno in Italia che muoia di fame; c’è invece una significativa fascia di lavoratori piccolo-borghesi che non riesce ad accettare il fatto di non potersi permettere una macchina nuova ogni tre anni, un cellulare nuovo ogni Natale e le vacanze a Sharm quando si ha voglia.

Basta del resto leggere le cifre: a Torino ci sono quattromila persone che vanno a mangiare alle mense, ossia lo 0,4% della popolazione; eppure, a sentirsi poveri sono il 40%. Il residuo 39,6% probabilmente è formato da persone insoddisfatte del proprio stipendio, o al massimo da quelle persone che lo stesso assessore Borgione definisce così: Sono cresciute invece quelle che chiedono aiuto perché non sono più in grado di mantenere il loro tenore di vita. Hanno perso il lavoro, o vivono di occupazioni precarie. Avevano impostato uno stile di vita, e magari fatto ampio ricorso al consumo al credito, sulla base di un reddito che ora non c’è più.”

Definire qual è lo stile di vita minimo che è “giusto” che la collettività garantisca a ogni cittadino – nonché se tale garanzia vada data in termini di soldi in mano, o in termini di opportunità per guadagnarli – è una questione difficile e profondamente legata all’etica personale. Io mi limito a dire che, in un momento in cui si diffonde a livello di massa la sensazione di “aver diritto” a livelli di vita che richiedono una quantità di risorse che chiaramente la collettività non ha, la rivolta sociale e la legge del più forte sono dietro l’angolo.

[tags]economia, società, stipendi, spesa, lidl, ipercoop, torino[/tags]

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giovedì 28 Febbraio 2008, 14:23

Il partito dei blogger

Speravo di non dover affrontare questo argomento, perché è sempre un buon modo per farsi dei nemici; ma il sottotitolo di questo blog non è stato certo scelto a caso.

Mi ero un po’ insospettito sabato al Barcamp, quando avevo visto tal Marco Camisani Calzolari, marchettaro milanese, fare un intervento che pareva un comizio, dicendo un sacco di cose tanto giuste quanto ovvie a chiunque in sala; a partire dalla proiezione dei famosi tre minuti di Vespa, quelli in cui, la settimana scorsa, è stata diffamata Internet a Porta a Porta. Mi ero ancora più insospettito quando ero andato su Blogbabel a cercare post sul Barcamp, e in prima posizione nella home page ci avevo trovato il post del suddetto: non so come vengano selezionati i post evidenziati da Blogbabel, ma praticamente sempre si tratta di articoli di giornale o di fonti straniere; molto raramente viene presentato il post di un blog italiano nemmeno particolarmente conosciuto.

Il comizio di Camisani Calzolari si concludeva con il richiamo all’idea del “partito di Internet”, e ciò, in tempi di elezioni, mi ha fatto sospettare ancor di più. Dopodiché, però, ho pensato di essere io paranoico e diffidente, pensando subito male di tutti. E così ho lasciato perdere la faccenda.

Oggi ricapito su Blogbabel, e che ci vedo? Lì, in bella evidenza, un altro post con un bel tono da comizio, intitolato Porta a Porta, una sola parola: VERGOGNA, proprio così, con VERGOGNA tutto maiuscolo, proprio come i manifesti dei partiti, quelli che pensano che i cittadini siano talmente tonti che il modo migliore per convincerli sia urlargli in faccia. Clicco, e trovo un post che dalla prima parola si apre con link e complimenti al suddetto Camisani Calzolari. Nei commenti, ovviamente un sacco di applausi, e tanto di invito a firmare una lettera a Vespa che si conclude così:

Le chiediamo di invitare Marco Camisani Calzolari http://blog.camisani.com/biografia-2 a una sua trasmissione come rappresentante della Rete, dei blogger e del mondo digitale.

Non pago, scopro che anche il Quintarelli – amico e persona sicuramente disinteressata – ha lanciato una lettera aperta; nei commenti però lo accusano prontamente di aver voluto prevaricare Camisani Calzolari, tanto che viene prontamente pubblicato un secondo post di scuse, includendo poi il suddetto come primo firmatario.

Allora, è vero che le dichiarazioni fatte da Vespa su Internet non stanno né in cielo né in terra, ma cosa c’è di nuovo? Le hanno già fatte un milione di volte, senza nessuno sfoggio di lettere aperte e di blog che gli gridassero vergogna.

Io sono andato a collegare i puntini, ho cercato un po’, e ho trovato questa: una petizione creata il 7 febbraio da Marco Camisani Calzolari che chiede al “presidente Silvio Berlusconi” di candidare in Forza Italia “un Blogger che sappia ascoltare le voci che si esprimono in rete”. Questo Blogger con la B maiuscola è ovviamente già stato individuato: è “Edoardo Colombo, 42 anni, blogger fondatore de il Giulivo, un Blog di partecipazione politica nato il 12 aprile 2004 che ha migliaia di iscritti che ogni giorno dibattono.”

Allora, penso male se credo che parecchie persone stiano soffiando sul fuoco di questa uscita di Vespa soltanto per obiettivi di carriera politica personale?

Il problema però è più vasto, ed è legato a questa idea persistente del “partito dei blogger” (anni fa era il “partito di Internet”), che ogni tanto qualcuno ritira fuori. Bene ha fatto Mantellini a sbertucciarla qualche giorno fa: perché anche quando questa idea viene fuori con sincerità, dimostra di non capire la rete, o meglio quella parte più moderna della rete che si attiva, blogga e discute. In rete siamo tutti individui, e non siamo disposti a delegare nulla a nessuno. Difficilmente ci uniremo a una claque che applaude e grida per ottenere che il leader del momento sia invitato da Vespa… come poi se andare da Vespa servisse a qualcosa oltre che alla visibilità personale del prescelto.

Se vogliamo cambiare qualcosa, dobbiamo aggregarci attorno alle proposte e non dietro alle persone, che è poi proprio l’idea che è emersa al Barcamp, nella discussione (non comizio) successiva. Io sono assolutamente sicuro che Camisani Calzolari e amici siano sinceramente indignati per quello che ha detto Vespa: del resto lo sono anch’io, lo siamo tutti, siamo tutti d’accordo. Ma è proprio per questo che mescolare l’indignazione collettiva della rete con la ricerca di visibilità personale, per quanto umano, è sbagliatissimo.

[tags]blog, blogger, blogbabel, vespa, rai, media, internet, politica, elezioni, partiti[/tags]

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domenica 24 Febbraio 2008, 17:00

Cronache dal Barcamp (3)

Il pomeriggio del Barcamp si è svolto regolarmente e anche velocemente, visto che verso le 16,30 era già tutto quasi finito. Forse si poteva allungare un po’ il pomeriggio, ma alle 18 c’era la partita (anche se, più che una partita, è stata una esibizione di caos quantistico allineatosi puntualmente nel modo più sfigato possibile per il Toro) e quindi buona parte dell’organizzazione doveva scappare allo stadio; del resto, molti di coloro che si erano segnati per parlare non si sono poi materializzati, oppure sono giunti febbricitanti e scarsamente disposti.

A inizio pomeriggio, ho assistito all’intervento di un tizio dal doppio cognome che ha esposto i ben noti problemi di vecchiume del mondo politico italiano. Un ascoltatore remoto l’ha definito “Pierpiersilvio” per il modo un po’ da forzaitaliota (del resto, come fornitore, ha fatto un sito per Forza Italia, e ammetto che la cosa a priori mi puzzava un po’ – come mi sarebbe puzzato l’aver lavorato per il PD, non è questione di partito ma delle logiche con cui i partiti si scelgono i fornitori) ma le considerazioni fatte erano condivisibili; se mai, il punto era “e quindi?”. L’intervento (oltre a sforare, in modo un po’ maleducato, di dieci minuti perchè “ho cominciato dieci minuti dopo”) si concludeva con una disamina di varie piattaforme del “partito di Internet”; idea che torna fuori a intervalli regolari e che invece, secondo me, è deleteria.

Infatti, come ho detto subito dopo nel mio intervento, invece di fondare un partito, che rischia soprattutto di aprire dinamiche di autopromozione da parte di singoli individui, è il caso di lavorare su proposte pratiche, e sulla costruzione della coscienza di come esista una intera generazione di persone con esigenze e problemi simili, attualmente invisibili e non considerati dalla politica. Io comincerei quindi a discutere proposte specifiche su temi come pensioni, welfare, assistenza, esigenze di vita quotidiane dei giovani lavoratori di questo Paese, quelli che – come dicevamo – lavorano con la conoscenza.

Il mio intervento – che volutamente non è stato un discorso, ma la descrizione di un problema seguita da un sollecito per il dibattito in sala – è piaciuto e ha raccolto grande sostegno, non solo da parte di amici come Enrico e Vittorio, ma da parte di persone che nemmeno conoscevo. Io, pur essendo ovviamente preso da mille questioni lavorative e personali, non vorrei lasciar cadere la questione; e naturalmente sarà benvenuto chi vorrà contribuire alla costruzione di una infrastruttura innovativa, sia tecnica che organizzativa, per promuovere questa discussione.

Dopo di questo, mi sono accasciato esausto su una sedia, non prima di aver visto Elena vincere una fonera (prima o poi gliela frego e la provo) e aver sentito qua e là altre presentazioni interessanti, da tal Salvatore Aranzulla che compirà diciott’anni domani (molti complimenti per l’intraprendenza) fino a Iron Bishop che presentava Wikipedia.

In conclusione, è stato un ottimo evento, anzi troppo corto; secondo me si dovrebbe trovare il modo di farlo in un luogo più ampio, su una giornata intera o su due mezze giornate, e con un programma un po’ meglio organizzato, visto che a me questa anarchia totale del modello barcamp piace poco, è dispersiva e non permette di scegliere a ragion veduta cosa seguire. Sarà che di eventi simili all’estero ne ho visti già un po’, e mi sembrano funzionare meglio; comunque credo che lo spazio in Italia ci sia, e mi piacerebbe che Torino diventasse il punto di riferimento italiano anche su questo.

[tags]torinobarcamp2008, torino, barcamp, lavoratori della conoscenza[/tags]

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sabato 23 Febbraio 2008, 14:24

Cronache dal Barcamp (2)

La mattinata si è conclusa con una presentazione di Matteo “LastKnight” Flora, sulle leggi e sui filtri seminascosti che il governo italiano mette a Internet, con tanto di citazioni sputtananti dei vari politici. In sala ha avuto un successone, mentre il pubblico online ha invece reagito sbertucciandolo per la sua mise e i suoi atteggiamenti un po’ istrionici; ma si sa, il pubblico online è spietato.

E’ quindi seguito un ottimo buffet di roba dall’aria molto slow food, ma da ingurgitare in venti minuti perché dovevano fare due turni. Anche in questo Barcamp si è dimostrato che, non importa l’ambiente, il buffet viene sempre plunderato (è il termine tecnico che si usa nei giochi strategici da tavolo per la devastazione totale di un esagono allo scopo di estrarne la maggior quantità di risorse possibile nell’immediato; e poi non cresce più nemmeno l’erba). Comunque, al di là di alcuni vecchietti che reinterpretavano da vicino episodi della grande fame irlandese del 1848 senza alcuna dignità, il tutto si è svolto in modo ordinato e il rancio era ottimo e abbondante (burp).

Si è appena ripreso con un intervento che pare impostato sul leit-motiv “e forza rete, che siamo tantissimi”, e poi alle 14,30 parlerò io.

[tags]torinobarcamp2008, torino, barcamp[/tags]

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sabato 23 Febbraio 2008, 12:20

Cronache dal Barcamp (1)

Il Barcamp è iniziato, già alle 10,30 (così presto?), con una presentazione improvvisata da Axell e Vittorio, seguita da un buco nel programma che ho pensato di riempire io, con una pillola di Hacking the United Nations che ha avuto, mi pare, buon successo. Poi, nella stessa stanza, è stato presentato Blogmeter.it, altrettanto interessante.

Poi però è arrivato lui: un tizio dall’accento romanissimo che ha speso 15 dei 30 minuti a lui allocati per far partire le slide, e poi ha cominciato con una presentazione orrenda, esposta male, e soprattutto squallidamente pubblicitaria: in pratica ha fatto uno spottone a Cupido.it essenzialmente buttando merda sui concorrenti, sin dal titolo “Stop al supermarket dei sentimenti”. Ma noi siamo beneducati e non l’abbiamo fischiato.

Il mio intervento vero, su questo tema qui, sarà alle 14,30 nel salotto rosso e sperabilmente visibile online qui. Accorrete numerosi!

[tags]torinobarcamp2008, torino, barcamp, internet[/tags]

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venerdì 22 Febbraio 2008, 20:44

Webdays

Oggi pomeriggio (al mattino ero impegnato) mi sono sparato la prima dose di happening internettaro, seguendo metà dei Webdays; che poi era un giorno solo, quindi avrebbero dovuto chiamarlo Webday e basta. All’inizio mi sono spaventato, visto che sono arrivato alle 14,10 e la sala era sostanzialmente deserta; del resto il posto non invoglia.

Il luogo infatti è il Circolo dei Lettori, a prima vista una delle cose più snob e pretenziose mai concepite da mente umana, situato in pieno centro, in un palazzo nobiliare con stucchi e marmi, presidiato da vari livelli di porte e uscieri; come a sottolineare il fatto che la lettura è soltanto per un’élite e che tutti gli altri sono dei porelli.

Comunque, verso le 14,45 si è raccolto un buon pubblico e inizia la prima sessione, moderata da Vittorio Pasteris e dedicata al rapporto tra Internet e giornalismo; la star è Anna Masera, responsabile della parte Internet della Stampa, che dimostra non solo di capire perfettamente i meccanismi, ma di aver ben presente di doverli pilotare. Forse avete sempre pensato che l’edizione web del quotidiano cittadino fosse un banale copia e incolla di una selezione di articoli, e invece no: ci sono sotto vari ragionamenti e studi, nonché l’osservazione, deprimente per gli stessi giornalisti, che qualsiasi articolo contenente la stringa “Franzoni” o l’immagine di mezzo culo – o entrambi contemporaneamente – raccoglie un diluvio di accessi che qualsiasi articolo vagamente serio si sogna.

La discussione poi si è concentrata sul ruolo dei giornali nell’era del web (sempre meno scrivere, sempre più validare, organizzare, commentare e approfondire) e su come cambi il ruolo del giornalista. Naturalmente, da commentatore fisso dei forum della Stampa, non mi sono risparmiato un intervento, suggerendo che forse dovrebbero cominciare a utilizzare anche le comunità e i forum cittadini come fonti di notizie, e a integrare nel giornale contenuti provenienti dai blog, che spesso sono di qualità uguale o maggiore di quella di molti articoli, e in più sono gratis. Ho capito che nel mondo del giornalismo ci sono ancora forti resistenze all’idea che un “dilettante” possa contribuire sullo stesso piano di un “professionista” (ah, i mondi degli ordini professionali…); eppure ormai la maggior parte del contenuto di un giornale arriva dalle agenzie o dai freelance… Comunque, l’atteggiamento della Masera era positivo; io spero che, per cominciare, rivedano presto quel macchinoso motore di forum e commenti e lo trasformino in qualcosa di più usabile.

La seconda sessione era invece dedicata al ruolo degli editori e al futuro del libro di fronte a Internet, e lì mi son sentito fuor d’acqua; tranne la moderatrice (tal Mafe De Baggis che credo sia una blogstar ma che non avevo mai conosciuto, e che è una donna davvero molto simpatica) gli altri, sia al tavolo che tra il pubblico, sembravano tirarsela tantissimo, con un tono da “io mi occupo di cultura, sai”; a un certo punto uno ha fatto un intervento ripetendo per tre volte una parola che suonava come “eritropoiesi” ma non era quella, visibilmente compiaciuto nell’usare un termine che nessuno potesse capire.

Ovviamente l’idea che il libro possa non dico essere superato, ma doversi adeguare ai tempi, era respinta con orrore. A un certo punto io non ho retto più, e ho puntualizzato un paio di cosette, cioè che il fatto che l’industria della musica stia andando a ramengo non è dovuto al non essersi difesi abbastanza dalle innovazioni tecnologiche, ma all’essersi difesi troppo; e che il fatto che ci siano dei fan che scrivono le proprie fanfiction con i personaggi di libri famosi senza pagare diritti d’autore è uno stimolo per il mercato, non certo un pericolo per le vendite, come dimostra il boom dei fumetti giapponesi. Lì l’editore mi ha risposto che le graphic novel sono un mercato trascurabile e che Gaiman è anche un autore di romanzi… evidentemente, vista la confusione che ha fatto, non ha mai visto un manga in vita sua.

Vabbe’, comunque è stato molto interessante; preludio al Barcamp di domani, in cui sto pensando di parlare anche di ICANN, anzi è il caso che mi prepari qualcosetta, anche se non si dovrebbe arrivar lì coi discorsi pronti (ma lo fanno tutti). Ci vediamo domani.

[tags]webdays, torinobarcamp2008, torino, circolo dei lettori, la stampa, giornalismo, editoria, libri, ebook[/tags]

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martedì 19 Febbraio 2008, 15:23

I giovani lavoratori della conoscenza

Visto l’interesse, come anteprima dell’intervento che penso di fare al Barcamp ho pensato di pubblicare questa disamina dei problemi che hanno i lavoratori della conoscenza, categoria trasversale e difficile da definire, che racchiude una quota di lavoro dipendente, parecchio lavoro fintamente subordinato – cioè persone che di fatto fanno il dipendente, lavorando principalmente per un singolo committente e con orari e compiti rigidi, ma sono inquadrate in modo precario per risparmiare sul costo del lavoro – e tutta la galassia degli autonomi e delle partite IVA che svolgono lavori cosiddetti “atipici”, dal consulente al giovane imprenditore passando per i lavori artistici e gli sviluppatori a gettone.

Si tratta di un insieme di persone che nella mappa politico-economica dell’Italia non esistono, sia perché prevalentemente giovani, sia perché rientrano difficilmente nello schema tradizionale padrone – professionista – impiegato – operaio attorno a cui sono organizzate le relazioni sociali e le forme di assistenza collettiva. Per questo motivo queste persone sono tra quelle che subiscono più di tutte i danni della precarietà, ma anche quelli di un sistema bloccato e privo di meritocrazia. Eppure questo è anche l’unico settore con speranze di far nuovamente crescere l’economia italiana.

La rete è per tutti noi che facciamo parte di questo gruppo uno strumento fondamentale; sarebbe il caso di provare ad usarla per uscire dall’invisibilità e sollevare all’attenzione del mondo politico (di qualsiasi schieramento) i problemi che viviamo quotidianamente. Sul come… se ne discuterà al Barcamp e nella blogosfera!

P.S. per .mau.: no, non sto fondando un partito.

[tags]lavoratori, conoscenza, torinobarcamp2008, cortiana[/tags]

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