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Archivio per la categoria 'NewGlobal'


martedì 12 Febbraio 2008, 17:24

Fancazzolandia

Qui sotto trovate il grafico dell’andamento della produttività per ora lavorata dal 1996 al 2006, espressa in termini reali rispetto alla media europea, per una ventina di paesi (dati Eurostat). Le nazioni si possono raggruppare in due grandi gruppi, quelle in cui la produttività è in netta crescita e quelle in cui è più o meno costante; indovinate qual è l’unica – evidenziata con la linea blu spessa – che non fa parte di nessuno dei due gruppi, visto che in essa la produttività è calata in dieci anni, rispetto alla media mobile europea, di quasi il 15%…

Eurostat_produttivita.png

P.S. “Fancazzolandia” è chiaramente una esagerazione, i numeri vanno interpretati, la produttività è un parametro complesso e dipendente da molti fattori ecc. ecc…. però ho trovato lo stesso questo grafico molto significativo.

[tags]economia, produttività, italia, lavoro[/tags]

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sabato 2 Febbraio 2008, 11:16

Bar presidenziale

Sì, avrei potuto tirare fuori argomentazioni ragionate e suffragate da fatti, come faccio di solito, per proporre la mia opinione sulla corsa presidenziale americana (quella democratica, perché di quella repubblicana si sono perse le tracce, visto che dopo il ritiro di Giuliani essa vede schierati una serie di personaggi con il carisma di un fagiolo bollito).

Ma poi ho pensato che tutto ciò sarebbe stato vecchio, superato, lento; e invece anch’io, come tutti i media e i blogger italiani, voglio essere rock. E così, ho deciso di dirvi che, dopo lunga incertezza, il mio voto virtuale andrà a Hillary Clinton.

Certo, sono stato molto insicuro, perché guardandola bene Hillary è tirata, e soprattutto ha due guance improponibili, due veri canotti, due specie di tette aggiuntive che sporgono dagli zigomi e ammiccano alla popolazione maschile con il sex appeal di una Sandra Milo della terza età. E io da una candidata femmina mi aspetterei che fosse figa, tipo la Prestigiacomo o la Brambilla: se proprio devo farmi prendere per il culo da qualcuno, almeno che sia da una bella donna.

Ma alla fine ho deciso che esiste un argomento risolutivo che mi rende impossibile sostenere Baracca Obama: vorrete mica che si possa votare per uno che è un sosia quasi perfetto di Davide Treseghe??

[tags]usa, presidenziali, clinton, obama, oggi mi sento moderno[/tags]

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venerdì 1 Febbraio 2008, 15:36

Un post antipatico

Ho capito dalle reazioni al post di ieri mattina che avete voglia di discutere del “problema dei salari”. Ho anche capito che alcuni di voi hanno già un’idea, che peraltro è quella che va per la maggiore: che in Italia ci sia una grande categoria, i lavoratori dipendenti, che si fa un mazzo tanto e manda avanti il Paese, ma in questi anni è diventata povera; e che deve poi subire le angherie di un’altra grande categoria – alle volte identificata con gli autonomi, alle volte con i padroni, alle volte con i commercianti, e più spesso come “tutti gli altri” – che sfrutta il lavoro dipendente per alzare i prezzi, fare i miliardi e andare alle Maldive.

Lo scopo del post non è tanto smentire la teoria di cui sopra, che così scritta è esagerata, ma per cui esistono comunque delle evidenti ragioni a supporto. E’ invece quello di affiancare alla spiegazione popolare altre spiegazioni più impopolari, ma che potrebbero essere altrettanto vere.

Come dicevamo ieri, innanzi tutto la sensazione di grande impoverimento dei lavoratori dipendenti non pare confermata dai fatti, che dicono – secondo Banca d’Italia – che il loro potere d’acquisto in termini reali è rimasto sostanzialmente lo stesso del 2000. Le cifre dicono se mai che i dipendenti non hanno partecipato all’arricchimento di cui invece hanno goduto i lavoratori autonomi; che è ugualmente un fenomeno spiacevole, ma ben diverso dal dire che i dipendenti sono al collasso.

La sensazione di star per finire in mezzo alla strada è appunto (con le dovute eccezioni) una sensazione, collegata al clima di sfiducia generale che è uno dei veri problemi dell’Italia, oltre che all’effetto ostentazione per cui l’aumento del numero di Cayenne per strada (dovuto all’aumento dei molto ricchi, che però è un fenomeno globale che definirei storico e sovranazionale) aumenta il bisogno percepito e insieme il desiderio di maggiore ricchezza.

Bisogna poi segnalare un’altra cosa, ossia che, trattandosi di medie, pare molto difficile generalizzare in questo modo. Sicuramente l’arricchimento degli autonomi è medio, nel senso che ci sono categorie che hanno speculato pesantemente e che probabilmente si sono arricchite non del 13%, ma del 130%; tuttavia la categoria degli autonomi contiene ormai tonnellate di giovani precari con contratto a progetto, e dubito molto che i loro salari siano cresciuti in tal modo. E tra i dipendenti, sarà veramente tutto uniforme?

A questo punto, inquadriamo il problema come “perché i dipendenti non partecipano all’arricchimento generale?”. C’è la teoria tradizionale di sinistra che sostiene che la risposta è “perché i padroni sono stronzi”, e che l’unico modo che i lavoratori hanno per ricevere una fetta di utile è la lotta di classe. In questi anni, tuttavia, abbiamo visto spuntare fenomeni fuori da queste regole; come imprenditori che al termine di una buona annata aumentano spontaneamente lo stipendio ai dipendenti (l’ultimo è Della Valle) o, più facilmente, aziende che utilizzano in misura sempre maggiore lo strumento del premio di produzione variabile legato agli utili. E’ peraltro significativo che, come successo a Della Valle, siano i sindacati i primi a contestare queste pratiche, perché – detto banalmente – privano i sindacati del loro ruolo e ne dimostrano (solo in queste situazioni, sia chiaro) l’inutilità.

C’è però una spiegazione più direttamente collegata all’economia di mercato, che sosterrebbe che gli aumenti di stipendio sarebbero direttamente proporzionali al valore della prestazione prestata. Si potrebbe quindi concludere che i dipendenti non ottengono aumenti (in termini reali) perché il valore di mercato delle loro prestazioni non aumenta, a differenza del valore di mercato delle prestazioni dei lavoratori autonomi.

In parte, ciò è facilmente verificabile: il prezzo di mercato di un idraulico, per dire, è oggettivamente aumentato di parecchio in questi anni. Probabilmente sarebbe aumentato di meno se ci fosse stata più concorrenza, e se fosse stato più facile, ad esempio, importare idraulici polacchi e turchi. Probabilmente avremmo tutti più soldi in tasca se, per esempio, si abolissero gli ordini professionali e la loro capacità di impedire la concorrenza su molti servizi magari infrequentemente utilizzati, ma che quando ti servono ti mandano il conto in banca in rosso. In generale, il fatto che l’economia sia piena di squali non è risolubile per decreto ad personam o ad pretium, ma solo tramite l’adozione di adeguati incentivi e disincentivi e di buone regole per il mercato; a meno naturalmente di non voler tornare a una economia nazionalizzata, con i prezzi fissati direttamente dallo Stato (il che però ha tutt’altri ordini di problemi).

In parte, c’è una ipotesi ancora più antipatica: che l’arricchimento riguardi principalmente i lavoratori autonomi perché la crescita stessa del PIL derivi principalmente dai lavoratori autonomi. Non so che esperienze abbiate voi, ma parlando con amici e conoscenti che lavorano da dipendenti in grandi aziende si ha la sensazione che spesso ci sia poco da fare, e anzi ce ne sia sempre di meno… con qualche solitaria eccezione di dipendenti in aziende di consulenza che lavorano 12 ore al giorno da anni, ma vi assicuro che il loro stipendio, in questi anni, è rimasto tutt’altro che fermo.

Quel po’ di crescita che ancora l’Italia mette insieme potrebbe insomma derivare prevalentemente dalla piccola impresa e dalla galassia delle partite IVA, e quindi arricchire sostanzialmente loro; mentre le nostre grandi aziende che, con poche eccezioni, paiono ferme, obsolete e preda designata di qualche acquisizione dall’estero, non crescono e di conseguenza non hanno i soldi per aumentare gli stipendi, né ne avrebbero motivo, a fronte di dipendenti il cui lavoro, anche se spesso non per colpa loro, genera sempre meno valore.

O, se preferite, se le nostre grandi aziende potessero licenziare un po’ di dipendenti improduttivi e meglio ancora un po’ di dirigenti raccomandati e incapaci, probabilmente avrebbero i capitali e il dinamismo sia per crescere che per aumentare gli stipendi.

E infine, resta sempre l’obiezione di base che, se il lavoro dipendente non è adeguatamente gratificato, nulla vieta di cambiare tipo di lavoro, specie al giorno d’oggi in cui per fondare una piccola impresa di servizi non servono capitali. In altre parole, la crisi storica di determinati modelli di rapporto di lavoro è aggravata dalla scarsa propensione degli italiani a mettersi in discussione.

Naturalmente, per mettere ordine in queste ipotesi ci vorrebbero studi statistici più approfonditi; per ora, non si può che andare a sensazione. Eppure tutto ciò, come ben vedete, non pare affatto risolubile regalando dei soldi ai dipendenti e nemmeno detassando i salari. Se il problema è che Telecom non cresce perché è gestita male, non è riducendo le tasse ai suoi dipendenti che la si farà ricominciare a crescere. Se il problema è che i distributori agroalimentari fanno cartello per alzare i prezzi, non è con cinquanta euro in più in busta paga che si eviterà il prossimo aumento del 20% della verdura e della pasta, o che se ne limiterà l’impatto.

Anzi, sono pronto a scommettere che ad un calo dell’1% delle tasse sulle buste paga, realizzato con enormi sacrifici in termini di conti pubblici, corrisponderebbe nel giro di sei mesi un aumento dei prezzi di almeno altrettanto, o probabilmente del doppio; perché, se i problemi derivano dalla struttura dell’economia, pompare soldi non sposta gli equilibri ma genera soltanto inflazione.

[tags]economia, salari, inflazione[/tags]

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domenica 6 Gennaio 2008, 21:09

Ancora rifiuti

Ricordo che tutto ciò che avevo da dire sull’argomento dei rifiuti in Campania lo dissi già mesi fa, esattamente qui. Aggiungo la spettacolosa new entry dell’idea, nata di comune accordo tra studenti e insegnanti, di chiudere le scuole dappertutto “come forma di protesta”, anche nei luoghi dove non ci sono discariche né eccessivi problemi igienici: pare proprio che a Napoli e dintorni nessun motivo sia troppo implausibile pur di non lavorare.

Credo comunque che lo spettacolo di questi giorni abbia pesantemente rinforzato nel resto d’Italia il supporto ad uno stato di polizia, al federalismo, alla secessione o al semplice razzismo anti-meridionale, a seconda del livello di frustrazione di partenza e del tipo di mentalità. Ma è tristemente vero che soltanto qualche politico dagli occhi pesantemente foderati di idealismo (o dalla forte base elettorale in quei luoghi) potrebbe non scorgere in tutto ciò il segno della fine dello Stato in quei territori – ammesso che lo Stato, inteso come entità indipendente e non succube della camorra e delle male abitudini, mai vi sia davvero esistito.

Io, invece, sogno un’altra rivolta di piazza: quella di migliaia e migliaia di cittadini campani, soprattutto giovani, che si mettano a raccogliere i rifiuti volontariamente, con le proprie mani. Quella di amministrazioni comunali che trovino ognuna un fazzoletto di terreno per raccoglierli. Quella, insomma, di orgoglio e di civiltà diffusa, da parte di un popolo la cui credibilità etica è ora pesantemente in discussione. Temo però che non la vedrò mai.

[tags]napoli, rifiuti, campania, civiltà, stato[/tags]

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sabato 5 Gennaio 2008, 09:27

Bit sprecati

Anche questi sono bit sprecati, per cui forse avrei fatto meglio a non fare nemmeno il post. L’argomento però appassiona, e quindi anche io volevo dire la mia in merito alle ripetute polemiche legate alla classifica dei blog italiani mantenuta da Blogbabel, cioè da un gruppo di rinomati blogger. (Se non ho capito male c’è pure Andrea Beggi; e se non sapete chi è Andrea Beggi, siete out!)

Per chi non la conosce, ecco qui: tutti i blog italiani ordinati per punteggio, cioè per un valore calcolato… calcolato… ecco, all’inizio contavano i valori dei motori di ricerca, come Google e Alexa, il numero di lettori in feed da FeedBurner, e il numero di link al blog ritrovati su altri blog. Poi si sono accorti che Alexa era inaffidabile e l’hanno tolto, e poi Tommaso Tessarolo (per chi non lo conosce, dirò che lavora(va?) per Mediaset e che lo conosce il mio socio) trovò il modo di pompare il numero di lettori nei feed – prerogativa subito offerta a tutti da un ironico Tessarolizr – e quindi tolsero anche quello, e poi… boh.

Premetto che io non sono affatto indifferente alla quantità e qualità dei miei lettori e ai loro giudizi: come già dissi, se uno scrive un blog è non solo per sfogare le proprie voglie creative ma anche perché qualcuno lo legga, se ciò che scrivo non interessa e nessuno lo legge tanto vale che mi dedichi ad altro. E poi, anche io sono competitivo, anche se per fortuna con l’età mi sta passando; per cui certo mi fa piacere scoprire che le mie posizioni in classifica migliorano.

Negli ultimi tre mesi o giù di lì, mi è quindi capitato di dare un occhio ogni tanto a ciò che di me diceva la classifica di Blogbabel. In questo periodo il blog non è cambiato molto, cioè non ho cambiato nè lo stile nè il contenuto degli articoli solo per salire in classifica, il numero dei visitatori e degli iscritti al feed è rimasto sostanzialmente costante (a un certo punto ho adottato Feedburner perché mi dissero che semplifica la vita, ma a quel punto non contava già più per le classifiche), eppure la mia posizione è partita da circa quattrocentesimo, è salita gradualmente fino a circa il trecentesimo posto, poi nel giro di una settimana è salita di botto a 120, poi in breve è scesa a 300, e poi è precipitata fin sotto l’ottocentesima.

Per alcune di queste variazioni (non tutte) esistono dei motivi tecnici. Ad esempio, ho scoperto che il balzo in avanti di duecento posizioni fu dovuto all’aver parlato della proposta di legge Levi-Prodi, ma non perché ne abbia parlato in maniera particolarmente intelligente o interessante; semplicemente perchè Blogbabel ha in home page un riassunto di tutti i blog che linkano le notizie più diffuse, quindi se metti un link allo specifico articolo che tutti gli altri stanno linkando finisci in home page, quindi se finisci in home page ci sono certamente due o tre genialoidi che fanno un post copiando e incollando la lista di tutti i blog che stanno in home page su quell’argomento, quindi ti aumenta il numero di link, quindi sali in classifica.

Ciò che mi sfugge è come tutto ciò possa essere utilizzato come metro di giudizio per dichiarare pubblicamente quanto sia interessante o anche solo quanto sia visitato un dato blog (e le due cose non vanno affatto insieme).

Il dramma è però lo scoprire che l’esistenza stessa della classifica non solo alimenta zuffe di vario genere, non solo stimola truffe di ogni genere da parte di perfetti sconosciuti che, pur non sapendo scrivere in italiano, si linkano a vicenda gli auguri di Natale pur di salire in classifica, ma altera significativamente il contenuto anche dei blog migliori.

Ti chiami Mantellini o Sofri? Vuoi restare nei primi dieci in classifica, il che significa prestigio, credibilità, interesse da parte dei media tradizionali, e magari pure inserzioni pubblicitarie? Allora, non importa quanto sei bravo, devi comunque usare ogni trucchetto per non farti scavalcare: per iniziare, parlare sempre e comunque di ciò di cui parlano tutti, e farti linkare in ogni modo. Per esempio, secondo voi, nell’ultimo post di un vero e riconosciuto guru – ben al di fuori dei blog – come De Biase, il link sulla parola “blogosfera” ha un senso? Non vorrei interpretare male, ma a me sembra una frase incollata lì di malavoglia solo per poter piazzare il link a un articolo che sta nella home page di Blogbabel o che comunque sarà molto collegato in giro e quindi farà punti.

E non ho nemmeno parlato di iniziative che pure esistono, come “estrarrò un iPod tra tutti quelli che mi linkeranno”, o “oggi è la giornata in cui regalo un link a tutti per farvi salire in classifica” (l’ha fatta persino il serissimo .mau., e io ovviamente ho risposto subito).

Sarà che io questa lezione l’ho imparata oltre dieci anni fa, quando ebbi la pessima idea di calcolare e pubblicare le classifiche sul traffico generato da ciascun singolo autore su ogni newsgroup italiano, e improvvisamente migliaia di lamer cominciarono ad inondare i gruppi di immondizia pur di salire in classifica.

Perciò è dall’alto di tale esperienza che vi chiedo: chiudete questa classifica, subito. Stimola i peggiori istinti di tutti noi, peggiora la qualità complessiva dei blog, dà una immagine falsa della blogosfera e comunque è completamente inaffidabile. Mi sembra sufficiente.

[tags]blogbabel, blogosfera, classifiche, beggi, tessarolo, de biase, sofri, mantellini, mau[/tags]

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mercoledì 2 Gennaio 2008, 11:09

UPPB (Un portatile per bambino)

Un paio di mesi fa, al meeting ICANN di Los Angeles, ebbi occasione di vedere Vint Cerf esibire davanti a tutti il suo nuovo fiammante XO – che, per chi non lo sapesse, è il primo modello di portatile prodotto da One Laptop Per Child, il progetto messo in piedi da Negroponte e sponsorizzato da grandi nomi come AMD, Google e Intel per produrre un portatile a basso costo e con le caratteristiche adatte per essere utilizzato dai bambini del terzo mondo.

Ne sono rimasto subito molto colpito: l’oggetto è molto bello e soprattutto molto innovativo, perché ridefinisce vari parametri costruttivi dei PC attuali, sia nell’hardware che nell’interfaccia utente, e non è detto che tra un po’ anche i portatili “normali” non comincino ad adottarli. Avrei quindi voluto procurarmene uno, ma – detto che andare per conoscenze personali a me non piace – il programma Give One Get One, che permetteva di averne uno donandone un altro, era aperto soltanto agli americani.

In questi giorni però si comincia a parlare di una estensione del programma (che nel frattempo è stato chiuso, in mezzo a grandi polemiche per i ritardi nelle consegne del portatile) all’Italia, prendendo spunto dalla dichiarazione che Romano Prodi ha fatto incontrando Negroponte a Reggio Emilia: l’Italia si impegna a donare 50000 portatili all’Etiopia. Si ipotizza così che, per aumentare l’entità della donazione, si possa aprire una raccolta di fondi tra i privati e le aziende italiane.

Detto che noi italiani siamo a buon diritto abituati a diffidare delle promesse fatte da un politico nostrano davanti a una platea, l’operazione – del costo di circa 7 milioni di euro – potrebbe anche avere un senso, se fatta bene. Il senso non è soltanto quello umanitario, che pure è fondamentale; è anche, a certe condizioni, industriale.

Difatti, l’operazione OLPC è sostenuta dalle grandi aziende non solo per la voglia di far bene, ma anche perché – come ben sa Bill Gates, che da tempo regala la prima copia di Windows a governi e istituzioni in varie parti del mondo, sperando poi di farsi pagare quelle successive – riempire il terzo mondo di propria tecnologia è un modo di costruirsi un mercato a lungo termine. Dare in mano a milioni di bambini un portatile americano che ti porta automaticamente su Google vuol dire condizionare milioni di persone che, tra vent’anni e ad un livello di sviluppo sperabilmente diverso, utilizzeranno pesantemente le tecnologie dell’informazione in ambito professionale e personale; vuol dire crearsi un mercato dall’enorme potenziale.

Per questo motivo, esistono due modi di fare questa operazione per l’Italia. Il primo è fare una bella dichiarazione stampa, staccare l’assegno da qualche piega del bilancio della cooperazione, e dimenticarsene, contribuendo quindi a diffondere in Africa la tecnologia americana. La seconda è fare la stessa cosa, ma ponendo una condizione: che la donazione serva a promuovere anche la cultura, la lingua e l’industria italiane. Ad esempio, con uno stanziamento aggiuntivo di uno o due ordini di grandezza inferiore da dedicare alla copertura dei costi, si può porre come condizione che tutto il software sia in italiano, e magari finanziare un progetto di sviluppo di software libero italiano da aggiungere al sistema, che poi magari possa venire tradotto in inglese e utilizzato su tutti gli OLPC del mondo, mettendoci insomma sopra un po’ di Italia.

Questo discorso potrà sembrare cinico; eppure questa è una occasione in cui, con un po’ di lungimiranza, cuore e portafoglio possono andare d’amore e d’accordo. Non sfruttarla sarebbe, banalmente, stupido.

[tags]olpc, xo, prodi, negroponte[/tags]

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domenica 30 Dicembre 2007, 18:48

Elettrodomestici online

In questi giorni di relativa tranquillità ho potuto dedicarmi a una faccenda che attendeva da qualche settimana: acquistare gli elettrodomestici mancanti per la mia nuova casa (con trasloco in programma a metà-fine gennaio). Li ho elencati in ordine di priorità e importanza, e quindi mi sto dedicando nell’ordine a:
1) Televisore del tinello;
2) Frigorifero;
3) Lavatrice.

Per quanto riguarda il televisore del tinello, purtroppo ho un limite hardware: la posizione che ha più senso è a muro, su una parete stretta tra la serranda della porta-finestra e la porta del cucinino, dove la larghezza disponibile è di 70 cm. Per questo motivo, pur se a malincuore, ho dovuto accontentarmi di un piccolo 26 pollici.

Bene, la massaia media si sarebbe limitata ad entrare da Fnac o da Mediaworld, guardarne un paio, e prendere quello che accattivava di più. Ma noi siamo ingegneri, non donnicciuole! E’ per questo motivo che doniamo alle nostre attività di massai un tocco di ordinata pianificazione, che ricorda da vicino le nevrosi da collezione di francobolli.

Quindi, dopo un paio di settimane di giri esplorativi, mi sono deciso a passare un paio d’ore con Google per cercare recensioni e giudizi da fonti indipendenti. Dovete infatti sapere che i televisori piatti – a parte la fondamentale distinzione tra LCD e plasma – sono molto diversi in termini di qualità, anche a parità di dimensioni e risoluzione del pannello (in massaiese, “HD Ready” o “Full HD”; meglio il secondo, ma sotto i 37 pollici la differenza è sostanzialmente impercettibile). Molto infatti fa la bontà dell’elettronica di controllo, ossia gli algoritmi di gestione e filtro dell’immagine; mentre quei valori dichiarati che le case sparano a palla – contrasto, angolo di visione eccetera – sono sostanzialmente prodotti degli uffici marketing, cioè totalmente inaffidabili. Trattandosi di un investimento significativo su di un elettrodomestico che appallerà i miei occhi per diversi anni, ci tenevo a comprare un buon prodotto.

Leggendo un po’ di prove in giro, quindi, ho scoperto che la qualità migliore nella fascia medio-bassa è del Sony Bravia KDL26S3000, insidiato dal Samsung LE26R86BD. Mi sono quindi fatto una cultura sui Sony: vi sarete pur chiesti perché cambiando una lettera della sigla il prezzo raddoppia? Beh, la U o la P sono le serie base, poi ci sono la S e la V come serie medie; poi – sugli schermi più grossi – ci sono quelle sempre più avanzate, cioè la D che aggiunge il refresh a 100 Hz, poi la W che è la prima Full HD, e poi la X che è il top di gamma.

Tutto chiaro? No, vero? Difatti la morale è questa: ormai comprare un elettrodomestico capendo se vale il suo prezzo o no è praticamente impossibile, in una giungla di offerte, rinnovi di modelli ogni tre mesi, e marchettari creativi. Tocca affidarsi un po’ alla fiducia nella marca – io sono un fedele di Sony e tutto sommato non mi posso lamentare – e un po’ a qualche sana botta di fortuna.

C’è però una cosa che potete fare: una volta scelto un modello, pagarlo il meno possibile. Il prezzo del mio Sony, durante i giri esplorativi, è risultato il seguente:

  • Mediaworld delle Gru: non disponibile;
  • Saturn di 8Gallery: “offerta speciale” a 749 euro;
  • Carrefour delle Gru: 709 euro;
  • ComputercityHW: 699 euro.

Bene, io non mi sono accontentato: sono andato sul mai abbastanza ringraziato Trovaprezzi – in alternativa c’è il più nuovo Twenga, che vi fa anche i filtri per parametro e un sacco di altre cose carine – e ho inserito la sigla del modello. Ho così scoperto almeno una decina di negozi che offrivano un prezzo migliore; verificando l’effettiva disponibilità, tempi e spese di spedizione (con cui alcuni vi fregano…), alla fine l’ho ordinato da Fotodigit per 637 euro spedizione compresa, cioè 60 euro in meno del prezzo offline più basso, e 110 euro in meno – quasi il 20%! – di quello più alto. Siamo nelle feste, quindi pur avendolo ordinato venerdì pomeriggio arriverà giovedì prossimo, ma non ho fretta.

Ora sto cercando di ritentare il colpo con il frigorifero, dove ho un difficile incrocio tra un limite massimo di profondità di 60-61 cm – e ormai i frigoriferi combinati sono quasi tutti da 65 – e i miei requisiti su colore (argento) e classe energetica (A+), più un desiderata di non avere maniglie sporgenti ma ad incasso. Ho visto un Bosch che mi piace, e anche lì il prezzo online, poco sopra i 500 euro, è di quasi 100 euro inferiore al miglior prezzo offline; anche se son quasi certo che mi stiano rifilando il bianco da 350 euro di tre anni fa, semplicemente ridipinto di argento; ché di questi tempi basta dipingere di argento o ricoprire di acciaio un frigorifero per aumentare il valore percepito di 200 euro.

Certo, c’è sempre il rischio che qualcosa vada storto: ordini un frigorifero da un negozio di Treviso o di Napoli, e se poi arriva e non funziona? Quanto ti costa rimandarlo? Se poi devi litigare? Ciò detto, nel momento in cui uno trova un certo numero di fornitori affidabili e li mette in competizione tra loro per trovare ogni volta il prezzo migliore, è certo di risparmiare.

Sempre sapendo che se poi l’azienda cambia una lettera nella sigla del modello e ti rifila la tecnologia di cinque anni fa dentro un nuovo case alla moda, c’è poco da fare…

P.S. A proposito di frigo: se qualcuno nei commenti prova a pronunciare la parola Smeg, si prende una sberla dietro le orecchie!

[tags]e-commerce, elettrodomestici, sony, bravia, tv, lcd, frigoriferi[/tags]

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sabato 22 Dicembre 2007, 18:31

Reazioni da strega

Di norma, qui non si parla di scandali di cronaca nera, nonostante essi diano ampi spunti per riflettere sulla società italiana. Eppure, leggendo degli ultimi sviluppi del caso di Garlasco, qualche pensiero mi è venuto subito alla mente.

Secondo la nuova ricostruzione, infatti, pare che la ragazza sia stata uccisa dal fidanzato dopo che lei aveva scoperto sul suo computer delle presunte immagini pedofile. L’articolo della Stampa di ieri – in quest’era post-C.S.I. – si dilunga con racconti minuziosi e anche un po’ ridicoli su tutto questo dispiego di tecnologia, vantando le tecniche prodigiose e i mezzi avanzatissimi utilizzati dal Ris di Parma per scoprire le immagini sul computer del ragazzo (Esplora Risorse?). Si dice che, secondo le “tracce” ritrovate, egli avrebbe addirittura condiviso ben due di queste immagini tramite Emule (brivido).

Ammesso che questa situazione sia vera, io ho provato a immaginarmela: pensate di essere una ventenne lombarda come tante altre, cresciuta in una famiglia media, certo con un paio di cugine gemelle che farebbero qualsiasi stupidaggine pur di apparire in televisione, ma insomma normale. Avete un fidanzato con cui – almeno stando a quel che si diceva in questi mesi – state tutto sommato bene; magari ogni tanto litigate, ma senza una relazione particolarmente tesa. Un giorno, mentre usate il suo computer per guardarvi la posta, con il tipico farsi i fatti degli altri intuito delle donne scoprite che ci sono alcune immagini di minori “a sfondo sessuale”.

Aprendo una parentesi, qui non è per ora dato sapere cosa fossero veramente queste immagini, cioè se raffigurassero veramente atti sessuali con bambini o bambini e basta o magari semplicemente una diciassettenne ripresa col telefonino, e se veramente il ragazzo avesse delle tendenze pedofile o se invece quelle foto fossero arrivate lì per tutt’altro motivo e magari cancellate alla prima occasione. Comunque, conoscete bene la persona in questione e non penso che, di punto in bianco, vi venga da pensare che è un mostro. Quindi, cosa fareste?

Probabilmente gli chiedereste spiegazioni. Magari cerchereste di capire se ha dei problemi relativi al sesso, cosa che peraltro, se state insieme da un po’, dovreste già sapere. Ma ecco, non mi viene in mente nessuno scenario che possa far sì che l’altro reagisca ammazzandovi seduta stante avendo questo come motivo fondamentale. Potrebbe al massimo succedere che voi abbiate già delle serie liti in corso, tali da aver maturato rabbia omicida, e questo sia soltanto un fattore scatenante.

Se invece è veramente questo ciò che è successo, cioè se una persona che ti vuol bene e che prima non aveva alcuna intenzione di farti del male ti ammazza improvvisamente solo perchè tu scopri che ha delle foto di bambini sull’hard disk, vuol dire che la semplice scoperta di una immagine di quel genere può essere percepita da una persona sostanzialmente normale come una minaccia mortale, tale da uccidere in risposta.

La pedofilia è un problema serio, ma non si può mettere tutto insieme e sullo stesso piano, l’azione, il sostegno all’azione, il guardare l’azione, il parlare dell’azione; nè si può dimenticare che le tendenze sessuali di ogni genere derivano da schemi psicologici profondi, spesso coercitivi, e non sempre sono frutto di libera scelta o di piena fermità mentale. Si tratta di un campo dove i confini sono sottili e le valutazioni sfumate, tanto che la stessa definizione di “immagine pedopornografica” varia moltissimo da persona a persona, e che secondo certe definizioni, per esempio, buona parte dei fumetti giapponesi sarebbe pedofilia.

Per questo io spero che si scopra che avevano già litigato per altri motivi, o che lui è pazzo, o qualche altro motivo. Perché se una reazione così inconsulta, per paura bestiale, fosse stata provocata dalla caccia alle streghe e dal polverone che sono stati montati in questi anni sulla pedofilia via Internet, vorrebbe dire che l’omicidio si sarebbe potuto evitare, se solo l’argomento fosse stato approcciato da tutti – media e politici in primis – con più cautela e più serietà.

[tags]omicidio, pedofilia, pedopornografia, garlasco, stasi[/tags]

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venerdì 14 Dicembre 2007, 14:40

Wikibufale

Oggi, per una volta, parliamo di Internet!

Avrete sentito che il popolo di Luttazzi si rotola sempre più nella cacca: l’ultima l’ha fatta un blogger che, linkato da Repubblica a proposito di Decameron, ha rediretto l’URL del post a un sito porno, per poi fare un filmatino e dimostrare di aver piazzato un porno a un click dalla home page di un quotidiano; dopodiché il blogger e i suoi amichetti hanno cominciato a gridare “cazzi! Repubblica! ah ah ah!” e a scambiarsi figurine per la soddisfazione, mentre gli astanti già puberi sono rimasti basiti.

Io però non volevo parlare di questo, ma del “trionfo di dilettanti in crosta”: Wikipedia. Saprete che io mi pongo rispetto al simbolo dell’user-generated content come un sostenitore critico; la trovo una bellissima iniziativa, purtroppo spesso affollata di persone che, un po’ troppo positivamente, sembrano non vederne né i difetti né i limiti; un po’ come il tipico sostenitore del software libero, per capirci. Dopodiché, Wikipedia è in realtà una somma di fattori ed attori molto diversi, e ne fanno parte sia il wannabe che – pur non avendo la benché minima competenza in termini di storia di Internet – voleva assolutamente cancellare la mia voce su it.arti.cartoni perché gli stava sulle scatole, sia la gentilissima persona che è venuta qualche settimana fa a intervistarmi per Wikinotizie (prima o poi l’intervista uscirà e saprete cosa ho detto).

In tutto questo, arriva via Slashdot la scoperta che sulla Wikipedia inglese la voce “2003 invasion of Iraq”, dedicata allo scoppio della seconda guerra del Golfo, è stata taroccata pesantemente nell’agosto 2005 da qualcuno che lavora presso il Congresso americano, che ha aggiunto varie “weasel word” per trasformare i fatti (“i servizi segreti non avevano trovato tracce di armi di distruzione di massa”) in supposizioni (“alcuni sostengono che i servizi segreti non avevano trovato tracce di armi di distruzione di massa”).

Casi come questo su Wikipedia accadono tutti i giorni, ma qui, per qualche motivo, il magico sistema di revisione democratica di massa delle voci enciclopediche ha fatto cilecca, e la propaganda pro-Bush, pur essendo assolutamente priva di qualsiasi base oggettiva o fatto a supporto, è rimasta nel testo per un bel po’.

Commentando l’episodio, la newsletter The Inquirer definisce Wikipedia “the gospel of truth according to fake penis experts and nerds with chips on their shoulders”. Io non sono così drastico: buona parte di ciò che c’è su Wikipedia è di ottima qualità, uguale o superiore alle enciclopedie tradizionali; un’altra gran parte non è magari altrettanto di qualità in termini editoriali, ma è comunque onesta e informativa, quindi utile. Il problema però è che, crescendo, Wikipedia scopre di trovarsi di fronte a tutti i problemi tradizionali delle enciclopedie, incluso il più pressante: chi garantisce l’imparzialità?

La soluzione tradizionale, oltre ai codici deontologici, è l’accountability dell’editore: si sa chi pubblica qualcosa – non è un caso che la legge italiana obblighi ad indicare committente e stampatore sui volantini politici – e quindi si sa che idee ha e cosa promuove, e si può comunque denunciarlo se diffama o calunnia. Ma in Wikipedia, chi è l’editore? Tutti vuol dire nessuno; e se nessuno è responsabile, Wikipedia diventa un canale aperto e incontrollabile di diffamazione e manipolazione, tanto più pericoloso perché nascosto sotto un manto di pretesa autorevolezza. E si ha un bel dire che anche i droni di Bush (o di Saddam) hanno diritto di modificare Wikipedia: va bene, ma non se il risultato pretende di essere oggettivo e neutrale.

Questa è, secondo me, la vera sfida per Wikipedia: trovare il modo di garantire un editore che risponde di ogni virgola – esercitando un controllo magari basato su norme democratiche ma comunque effettivo – o finire vittima di scandali e casi legali a ripetizione. Senza però dimenticare che la verità non si decide a maggioranza: e che tutte le procedure di votazione avranno il risultato di riflettere in Wikipedia il pensiero della “sciura Maria” internettiana, senza garantire che esso sia anche la verità. Temo però che questo sia il massimo che si può fare.

[tags]internet, luttazzi, decameron, blog, wikipedia, slashdot, iraq, trionfo di dilettanti in crosta[/tags]

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mercoledì 12 Dicembre 2007, 08:45

L’Italia tribale

Della protesta dei camionisti parlano tutti i giornali (e io sono anche rimasto senza benzina). Che cosa ne pensi è ovvio: se è sacrosanto il diritto di sciopero – che pure deve avvenire all’interno di una regolamentazione, per rispettare anche la necessità di non fermare i servizi vitali alla collettività – è inaccettabile che questo venga accompagnato da blocchi stradali, pestaggi di chi non sciopera e danneggiamenti ai camion che tentano di circolare comunque.

In paesi come la Francia e l’Inghilterra, a scioperi ben meno violenti di questo si è opposta una semplice considerazione: non si tratta con chi usa la forza o ricatta la collettività al di fuori delle regole previste per lo sciopero. Ha sempre funzionato; magari dopo una settimana, ma alla fine quella settimana di resistenza ha evitato chissà quante settimane di futuro caos.

In Italia, però, invece di Brown o Sarkozy abbiamo nonno Prodi, uno che si fa prendere equamente a pesci in faccia dai tassisti, dalla Romania e persino dai propri alleati. E quindi, già immagino che il governo calerà le braghe anche stavolta.

La cosa veramente preoccupante, però, è – se vera – quella che emerge da un sondaggio di Repubblica, secondo il quale un italiano su tre approva questa forma di protesta. In parte è il risultato di trent’anni di degrado morale, che porta molti a credere che sia normale usare posizioni di forza per imporre i propri interessi individuali, e chi forza non ha è giusto che subisca e se la prenda in saccoccia. In parte però è il segnale di un malessere profondo, per cui una parte importante della società ha raggiunto un livello tale di sfiducia e disperazione da trovare giusto l’uso di qualsiasi mezzo, compresi il ricatto e la violenza, per portare a casa qualche euro in più per se stessi a danno degli altri. Disgregatosi dal resto, il gruppo a cui si appartiente non è più una componente della società, ma una tribù che vive per sé e lotta contro tutte le altre.

Se così è, ci aspetta a breve una guerra civile fredda, tutti contro tutti a colpi di chi danneggia di più il Paese, per strapparsi di bocca un tozzo di pane qui ed ora, senza preoccuparsi dell’interesse generale e del futuro; e senza rendersi conto che una società è un ecosistema integrato, una unica barca in cui gli squilibri e i privilegi sono certo possibili sul momento, ma alla lunga, nel mare più grande dell’economia globale, si vive o si perisce tutti insieme.

[tags]sciopero, camionisti, prodi, società, italia[/tags]

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