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Archivio per la categoria 'NewGlobal'


domenica 24 Giugno 2007, 13:01

Incendi

Negli aeroporti inglesi e americani, sul vetro che protegge l’estintore di emergenza appeso alla parete c’è scritto “BREAK IN THE EVENT OF FIRE”, ossia “Rompi in caso di incendio”. Si tratta, insomma, di un imperativo categorico: se tu ti trovi lì, e si verifica un incendio, è tuo dovere rompere il vetro ed intervenire.

Negli aeroporti italiani, sul vetro c’è scritto “ROMPERE IN CASO DI INCENDIO”. Ossia, non c’è più un imperativo, ma una indicazione d’uso: se tu ti trovi lì, e vuoi intervenire, puoi rompere il vetro. Il soggetto dell’azione, comunque, non è specificato: pertanto, tu puoi decidere autonomamente se ti ritieni coinvolto o se preferisci far finta di niente.

Negli aeroporti spagnoli e sudamericani, infine, sul vetro c’è scritto “ROMPASE EN CASO DE INCENDIO”, ossia “Si rompa in caso di incendio”. Il verbo, quindi, è al passivo, e non può esserci un soggetto; è esclusa qualsiasi implicazione di responsabilità o suggerimento di possibile azione per chiunque passi di là. In caso di incendio, il vetro si dovrà rompere da solo, presumibilmente per intervento di Dio, della Madonna, di Maradona o di qualsiasi altra autorità superiore; e se non si rompe, non sarà colpa di nessuno.

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sabato 23 Giugno 2007, 00:14

Report dallo IULM

La giornata organizzata da Fiorello Cortiana presso lo IULM è stata, come al solito, molto interessante (per quanto afflitta da alcuni dei vizi cronici dei convegni italiani, cioè il permanente e pesante ritardo sulla tabella di marcia, il numero troppo elevato di persone che vogliono parlare, e il numero molto più ridotto di persone che hanno da dire qualcosa che sia allo stesso tempo interessante, espresso in modo chiaro e conciso, e diverso da ciò che hanno detto gli oratori precedenti).

Troverete il materiale sul sito; dovrebbero esserci anche le registrazioni dei vari interventi. Il mio, che è avvenuto circa alle 19 e a sala ormai vuota, è stato concentrato sulle difficoltà dei giovani lavoratori dell’ICT, partendo dalla triste notazione di come circa l’80% degli interventi precedenti, pur interessanti e motivati, si fosse concretizzato in una serie di lamentele regolarmente seguite dalle magiche parole “finanziamento pubblico”; e invece, se non c’è una economia privata che funziona, non ci sono neanche le risorse da recuperare con le tasse e redistribuire in qualche modo. Ho poi citato questa lettera apparsa qualche giorno fa su Punto Informatico – leggetela, se non l’avete ancora fatto – e poi ho tratto un paio di conclusioni giusto prima che finissero i miei cinque minuti.

I miei personali highlight della giornata sono stati questi: per primo l’intervento dell’oncologo/genetista Pier Mario Biava, che ha spiegato come dalla prima idea secondo cui il nostro corpo è regolato solo dal software (i geni) si è ora riusciti a capire che il software è inutile se non gira su un determinato hardware (il DNA regolatore e tutti i meccanismi che leggono i geni per replicare proteine), e quindi si sta cominciando a studiare l’hardware stesso. Poi quello di Mauro Pagani, che ha portato alla luce il mondo semisconosciuto di chi vive al servizio della musica – dai fonici ai produttori artistici – e tutti i trighi del mondo musicale sia vecchio che nuovo, non immediati al laico. E poi quello finale di Stefano Quintarelli, che però non è stato registrato e non si può riportare. Menzione anche per i giuristi – Buttarelli e Corasaniti, ad esempio – e per l’intervento “anti” di un Enzo Mazza in magliettina per i discografici. Molti altri hanno comunque posto questioni interessanti, mi scuso per non menzionarli tutti.

E’ stato un grande happening, che ha un merito altrettanto grande: quello di far parlare persone diversissime tra loro, contaminando reciprocamente un po’ tutti. Tutto sommato, meglio questo che quei convegni organizzatissimi e sponsorizzatissimi, dove però le opinioni sono selezionate in partenza.

Per il resto, io ho appena chiuso la valigia: domani (cioè oggi) sveglia alle cinque e mezza e volo per Portorico, dove sta cominciando il meeting di ICANN. Non mancherò di riferire.

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mercoledì 20 Giugno 2007, 11:27

Collaborazioni

Chi di voi ha un Mac conosce senz’altro NeoOffice, ossia la versione per Mac OS X di OpenOffice, l’alternativa free a Microsoft Office. Difatti, la comunità di OpenOffice.org – il gruppo di sviluppatori del programma, pesantemente sponsorizzato da Sun – non aveva mai provveduto a realizzare una vera versione per Macintosh, ma soltanto per Windows e per Linux; il buco era stato quindi coperto dal progetto NeoOffice.

I due signori alla base di NeoOffice, Peterlin e Luby, si erano allontanati da OpenOffice per divergenze sulle licenze e per la scarsa voglia della Sun di interessarsi alla piattaforma Apple; essendo NeoOffice l’unica suite per ufficio liberamente disponibile per Mac e vagamente integrata col sistema – specie da quando era stata eliminata la necessità di utilizzare l’emulatore di ambiente X11 – essa era velocemente diventata lo standard.

Insomma, i due, intorno al progetto, hanno costruito un piccolo Mac-impero; e dato che oltre al progetto offrono consulenze ben pagate, che raccolgono donazioni per finanziare il lavoro (non si sa di che entità, ma visto il successo dei Mac in questi anni non penso siano poche), e che NeoOffice ogni due per tre ti apre il browser sulla pagina per contribuire, dove viene offerta persino una opzione per la “donazione mensile”, ho il sospetto che la remunerazione economica dello sforzo fosse tutt’altro che marginale. Peccato però che il software lasciasse molto a desiderare, e fosse lento, pesante, poco ottimizzato (per avere i menu in italiano bisogna scaricare un language pack di 20 megabyte…) e sempre in ritardo di molti mesi sui nuovi rilasci di OpenOffice.

Dev’essere per questo che, pochi mesi fa, la Sun ha annunciato, con mossa a sorpresa, di voler sponsorizzare la produzione e il rilascio di versioni ufficiali di OpenOffice anche per Mac OS X, direttamente integrate con il framework Aqua del sistema operativo, e quindi più efficienti. Per gli utenti, una manna; ma i due signori non l’hanno presa molto bene. Per prima cosa, hanno messo su una petizione per la raccolta di firme sotto una ironica lettera aperta alla Sun, chiedendo implicitamente che, invece di sviluppare una versione concorrente, venisse finanziato il loro sforzo. La cosa non ha avuto effetto, tanto è vero che la prima versione alfa di OpenOffice per Mac OS X è già stata rilasciata. E allora, che fare?

Semplicemente, si sono rimboccati le maniche. Et voilà: miracolosamente, in questi due mesi, sono comparse raffiche di avvisi del rilascio di nuove patch, tutte accompagnate da annunci trionfanti sull’aumento di prestazioni: ora ci vuole un quarto del tempo ad aprire un documento! Finalmente non dovete più aspettare due minuti per leggere venti pagine! E così via.

Ora, sono contento – e non dimentico che, alla fine, tutto questo mi è offerto gratis – ma viene il dubbio che forse potessero pensarci prima, a fare un prodotto un po’ più performante, senza farmi soffrire per un paio d’anni ad aspettare fasi di caricamento e ridisegno grafico per interi minuti.

In questi anni, specialmente da noi, si sentono continue e sperticate lodi al concetto dello sviluppo collaborativo del software mediante il modello libero. Esso offre sicuramente grandi vantaggi in molte situazioni; per molti versi, ha cambiato il mondo. Eppure, alla fin fine, tocca sempre constatare che non c’è nulla come la concorrenza – quella che mette in pericolo la tua fama, la tua gloria, e soprattutto il flusso di dollari che scorre pigramente verso le tue casse – per far muovere le chiappe ai produttori, e permettere agli utenti di disporre di prodotti migliori.

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martedì 19 Giugno 2007, 14:06

Rivoluzionari

Come ci informa La Stampa addirittura in prima pagina, il sempre mascherato subcomandante Marcos, leader zapatista ed eroe di Bertinotti – insomma, la versione no global di Zorro – ha pubblicato un nuovo libro. A differenza dei precedenti, però, non è un saggio politico, ma un pornazzo senza ritegno.

Insomma, alla fin fine Marcos ha rivelato quel che tutti hanno sempre saputo a proposito dei rivoluzionari di mezzo mondo: che la principale molla che spinge ad assumere il fascinoso ruolo di leader delle rivolte popolari è il desiderio di rimorchiare meglio, e trombare di più…

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sabato 16 Giugno 2007, 12:48

Rifiuti

È parecchie settimane che voglio commentare sull’infinita vicenda dei napoli che vivono nella propria merda. E, come potete notare, intenderei farlo senza ipocrisie: per cui, non parlare di “cittadini della Campania che si oppongono alla localizzazione di nuove discariche per il conferimento dei rifiuti solidi urbani”, ma di “napoli che vivono nella propria merda”, esattamente come è.

Premetto chiaramente che la generalizzazione è sbagliata e che le categorie di cui parlerò sono geografiche solo in modo tendenziale: sicuramente a Napoli esistono moltissimi individui onesti, lavoratori e con il senso della collettività, così come anche a Torino esistono moltissimi napoli – il termine dialettale per indicare un immigrato campano privo di istruzione e poco avvezzo all’igiene personale – dalle origini più varie, Piemonte incluso.

Eppure, quel che è successo a Napoli, a Torino sarebbe inconcepibile. Anche qui ci sono proteste di piazza, anche estremamente intense, contro discariche e inceneritori, così come contro altre opere che nessuno vuole nel cortile, a partire dalla TAV. Tuttavia, non è mai successo che le proteste arrivassero a bloccare le discariche per più di qualche simbolico pomeriggio; e non è mai successo che le proteste continuassero in modo violento e menefreghista anche di fronte a mesi e mesi di monnezza accumulata per le vie, ai topi che montano, alla puzza che manda le persone all’ospedale, ai roghi improvvisati che generano ogni specie di fumo tossico e poi magari si attaccano alle auto, alle scuole chiuse per pericolo di epidemie.

Perchè, sempre per dirlo chiaramente, nessuno di noi vuole vivere nella propria merda: da persone educate, abbiamo un rigetto istintivo verso l’idea, e persino la discarica nel cortile, alla fine, ci appare per quel che è, ovvero un male molto minore rispetto all’avere l’immondizia per le vie.

Ma anche perchè, avendo raggiunto la maggiore età, siamo tutti in grado di capire che i rifiuti esistono, che qualcosa bisognerà pur farne, e che questo è un problema collettivo, da cui nessuno può chiamarsi fuori; e quindi, si protesta finchè si può, anche duramente, ma una volta che la decisione viene presa, tramite le procedure più o meno democratiche che come Paese ci siamo dati, la rispettiamo perchè è la decisione di tutti.

A Napoli, invece, regna il menefreghismo più totale: l’immondizia è un problema di qualcun altro, e la collettività non esiste, esiste solo l’io, confidando che prima o poi appaia San Gennaro, o più probabilmente qualcuno più fesso di noi, a farsi carico del problema; o festeggiando il ritorno della squadra di calcio in serie A colorando di biancoazzurro i batteri del colera. Vi è, insomma, il rifiuto della società, del vivere insieme, della legge e dello Stato: il rifiuto della civiltà.

Davanti al rifiuto della società, la società ha due gradi di reazione possibile: l’educazione prima, e la repressione poi. Tuttavia, l’educazione è lavoro difficile e di lungo termine; nel momento in cui la società viene attaccata frontalmente, essa può soltanto cedere, o imporre l’interesse collettivo con la forza.

E così, in un paese civile, ad Ariano Irpino come in tutti quei posti con la monnezza per strada e la gente in rivolta, avrebbero già mandato da tempo i carri armati. Si è deciso che la discarica deve riaprire? E la discarica riapra, a qualsiasi costo; perchè se non lo si fa, è segno che lo Stato non esiste. I politici che invece impediscono questa risposta – dal sindaco del paese a Bassolino e Pecoraro Scanio – sono quindi doppiamente responsabili: perchè come amministratori pubblici hanno il dovere di imporre il rispetto della legge e dell’interesse collettivo, e invece sono i primi a sabotarlo.

Tutto questo, naturalmente, verrà prontamente bollato da alcuni come fascismo, leghismo o razzismo; e invece è il discorso più di sinistra che c’è, perchè quelli che perdono, nell’assenza di regole, sono i più deboli e non i più forti; lo Stato esiste proprio a garanzia dei deboli. In questa come in tante altre cose (dall’evasione fiscale alla microcriminalità cittadina), lo Stato italiano ha provato di non esistere più: di essere soltanto uno zombie che cammina per inerzia.
E quindi, cosa ci stiamo a fare noi, persone oneste e con il senso dello Stato, in uno Stato che non esiste, che chiede tasse sempre maggiori per finanziare la corruzione, le clientele e le libagioni dei potenti – come in un qualsiasi feudo medievale – e non garantisce nemmeno il rispetto della legge?

Si è parlato tanto, quindici anni fa, di secessione. All’epoca, era una proposta da burla, con un pirla in canottiera che delirava di ampolle magiche. In questi anni, però, i politici di entrambi gli schieramenti hanno lavorato duro per renderla realistica; la situazione è degenerata silenziosamente, e non so se siamo prima o dopo il punto di non ritorno. Perchè il mio sospetto è che la secessione già ci sia: perchè io, con quei “cittadini” che vivono nella propria merda e con quei politici che li assecondano, non ho nulla da spartire. Non è questione di divergenza di vedute, ma proprio della mancanza delle basi minime per poter impostare una convivenza civile. Io, da questa Italia, dentro di me ho già seceduto, e sono certo che non sono l’unico.

Cosa succederà, non lo sa nessuno; o finiremo per emigrare tutti, e lasciare che gli altri completino la trasformazione dell’Italia in un immondezzaio; o finirà di consumarsi lo Stato, in mezzo a bancarotte e proteste di piazza, dando luogo all’anarchia; o scatterà una guerra civile (anche se, vista la narcolessia da Grande Fratello, credo non ci siano le premesse culturali).

In tutto questo, è dura dover constatare che, forse forse, il progetto leghista era ancora la cosa meno drammatica.

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giovedì 14 Giugno 2007, 18:03

Russi

Per equità, faccio seguire al post precedente – sulla tipica ignoranza della propria lingua che affligge gli americani – un post sullo stile retorico dei russi.

Qualche giorno fa, mi è stato forwardato questo articolo di una newsletter russa. Non starò a tediarvi con la traduzione in italiano della traduzione in inglese che un bulgaro ha fatto per me; in sostanza, si tratta di un pezzo sull’imperialismo americano che si estende alla rete. Intitolato “Gli americani vogliono governare la rete russa” (ossia, i domini in cirillico), presto inizia con le domande retoriche come “Non sarebbe ora che la Russia stessa controlli l’Internet in russo?”, supportato dall’inoppugnabile argomento che i cinesi già fanno così.

Ma la cosa più bella è che, in uno stile che ricorda i comunicati del vecchio PCI, il pezzo viene chiuso con un richiamo ad una famosa frase dell’immortale compagno Lenin Stalin Kruscev Breznev Gorbaciov Eltsin Putin, e precisamente «Мы проявили слабость, а слабых бьют», ovvero, se la sfilza di traduzioni non inganna, “Abbiamo mostrato debolezza, e i deboli vengono battuti!”.

Se la ripetete pensando al ghigno malefico di Vladimir, non potranno che venirvi i brividi; anche se non sono del tutto sicuro che siano preferibili le citazioni dei comunisti nostrani, “Attento alle comunicazioni” e “Facci sognare”.

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mercoledì 13 Giugno 2007, 15:04

Pazzolivo

È cominciata come una di quelle stupidaggini che fanno subito il giro del Web: le due giovani promesse della Fiorentina, l’attaccante Pazzini e il centrocampista Montolivo, si assomigliano talmente tanto che, per scherzo, qualcuno ha cominciato a sostenere che fossero la stessa persona, un mitico Pazzolivo pedatore. E così, un paio di settimane fa, ha aperto un blog su Splinder, uno dei tanti blog qualsiasi della piattaforma, e ha cominciato a pubblicare post assurdi e divertenti cercando di provare la propria teoria.

In breve tempo, con il passaparola, l’idea è piaciuta. Si è cominciato a sentirne parlare in giro, sui forum, nei newsgroup. Il sito si è ingrandito, si è spostato a un dominio tutto suo, www.pazzolivo.com. Poi sono iniziate le citazioni in trasmissioni demenziali come quella del Trio Medusa, o sui giornali sportivi. E’ diventato velocemente un fenomeno, una sana presa in giro della valanga di stupidaggini e assurdità che i media calcistici sputano fuori ogni giorno per vendere ed appagare la fame di notizie dei calciofili italiani.

Poi, però, è spuntato lo spot. Per caso, guardando la TV. Trenta secondi su Italia 1, in ora di grande ascolto… e non costano due lire. Lo spot, dopo una serie di immagini, rimanda anch’esso al sito. Lo scrive bello grosso, WWW.PAZZOLIVO.COM. E, alla fine, il logo. Nike.

Naturalmente, ora i forum di tutta Italia ne parlano ancora di più, cercando di capire se la Nike ha cavalcato il fenomeno, o se era tutto organizzato dal principio. Io sono piuttosto sicuro della seconda, più che altro per una serie di dettagli, come il fatto che i due, nello “scatto amatoriale di Giuli75” pubblicato sul sito, abbiano le stesse magliette fighette viste nello spot.

La cosa inquietante è la sensazione di non potersi fidare di nessuno. Chi era in buona fede, chi sapeva, e chi ha preso per il culo il pubblico? I giornali che hanno parlato della questione come un fenomeno della rete, sapevano tutto? Il Trio Medusa ha preso soldi dalla Nike? I giornalisti di Sky? Perchè da una parte è sempre stato ovvio, che su Internet non ci si può fidare di niente; dall’altra, la blogosfera è il simbolo della alternativa dal basso ai giornali corrotti e alle logiche commerciali, e il fatto che venga invasa così, con l’esplicito obiettivo di ingannare il pubblico per un paio di scarpe made in bambino pakistano, lascia proprio l’amaro in bocca.

Anche perchè, ovviamente, io stesso sto contribuendo al successo di questa campagna pubblicitaria; e voi non saprete mai se lo faccio in buona fede, o se la Nike mi ha dato cinquanta euro per il disturbo.

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martedì 12 Giugno 2007, 11:21

Ritratto tutto

Ho capito il perchè dell’entusiasmo con cui gli albanesi hanno accolto Bush: guardate qui

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domenica 10 Giugno 2007, 12:31

Alleanze

Stamattina ho acceso il televisore e, per caso, ho visto il notiziario della CNN; parlava della visita odierna di Bush in Albania e la commentava così: “E’ davvero impressionante confrontare le migliaia e migliaia di persone che ieri hanno marciato per le strade di Roma per protestare contro la visita di Bush con l’entusiasmo con cui è stato ricevuto qui in Albania, dove le persone sono scese in strada agitando bandiere americane e festeggiando in massa.” Ed effettivamente le immagini di folle festanti lasciavano pochi dubbi.

Il filoamericanismo è comune a tutti i paesi dell’Est Europa, che vedono gli americani come i liberatori dall’oppressore russo, un po’ come doveva essere da noi sessant’anni fa, e in più li identificano con potere, ricchezza e benessere. Per l’Albania c’è anche un motivo contingente, visto che i russi – per conto dei serbi – stanno per vetare una risoluzione del Consiglio di sicurezza a favore di ulteriori concessioni al Kosovo, il che provocherà (come sanno tutti) la dichiarazione di indipendenza da parte degli albanesi del Kosovo, e l’immediato riconoscimento del nuovo stato da parte degli Stati Uniti, che lo imporranno al resto del mondo.

Certo, però, è interessante chiedersi cosa significhi tutto questo: di fronte a un blocco storico dell’Unione Europea sempre più indipendente politicamente e indifferente, se non ostile, culturalmente, è ragionevole pensare che gli Stati Uniti spostino le loro alleanze e i loro aiuti sui paesi dell’espansione; pare un fenomeno storico potenzialmente senza ritorno, e chissà quali saranno le conseguenze di lungo termine per noi.

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giovedì 7 Giugno 2007, 15:36

G8

“G8, fallimento sul clima: piove, barbecue annullato.” (Titolo del Dottor Lo Sapio per FlashNews24)

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