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Archivio per la categoria 'NewGlobal'


sabato 31 Marzo 2007, 08:12

Paura

Volo Lisbona-Madrid; atterriamo all’aeroporto di Barajas. Mentre la folla si accalca per uscire, un signore prende una borsa dalla cappelliera, la posa sul sedile, poi prende la sua, che era bloccata dietro, e se ne va.

Esco, e quando arriviamo alla porta il signore davanti a me si ferma, e, con un distinguibile accento italiano, spiega agitatissimo alla hostess che qualcuno ha lasciato una borsa sul sedile e poi se ne è andato, e che quindi bisogna controllare perchè potrebbe essere un attentato.

Ovviamente, dieci persone dopo arriva la borsa con il suo legittimo proprietario, che era semplicemente più indietro nella fila. Comunque, se voi voleste davvero fare un attentato, dopo essere riusciti a far passare una borsa con una bomba attraverso i vari controlli, invece di farla esplodere in volo la terreste lì fino all’atterraggio, per poi usarla contro gli ultimi venti passeggeri?

E’ deprimente come molta gente, quando si parli di sicurezza, dimostri di aver ceduto supinamente al lavaggio del cervello che ci è stato propinato negli ultimi cinque anni.

E’ altrettanto indicativo che la morte, che è un evento naturale tendenzialmente imprevedibile che prima o poi tocca a tutti, faccia così paura: viviamo in una società talmente attaccata alle cose materiali che la realtà fisica ci sembra imprescindibile.

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sabato 24 Marzo 2007, 15:39

Cose che capitano

Oggi è una giornata storica per l’At-Large di ICANN. Qui a Lisbona, in due stanze vicine, i gruppi degli utenti europei e quelli degli utenti africani stanno concludendo i lavori per la creazione delle loro organizzazioni regionali.

Io sono nella riunione europea, ma sono passato a salutare un po’ persone della stanza a fianco. Non ho visto Didier, un simpatico signore della sezione congolese della Internet Society, che è stato anche nostro rappresentante nel comitato nomine, e così ho chiesto, e mi hanno detto che è qui ma ha avuto un problema: difatti, dopo che è partito, la classica guerra civile post-elettorale che è attualmente in corso in Congo ha avuto una recrudescenza, e così una bomba è piombata sulla casa a fianco alla sua, dando il via a un incendio che ha distrutto anche la sua. Sua moglie ha fatto appena in tempo a scappare portandosi via i bambini, e adesso sono sistemati da parenti, e stanno cercando se possibile una sistemazione all’estero; lui invece non può tornare indietro, visto che gli aeroporti sono chiusi.

Ovviamente anche questo genere di cose fa parte di ciò che i nostri giornali non raccontano quasi più, o che menzionano solo perchè c’è coinvolto di striscio un italiano. Ora pare che il capo dell’opposizione si rifugerà in Angola, dove è molto amico del locale presidente, e così la situazione si calmerà; e nel frattempo, noi possiamo continuare a preoccuparci dei nostri cellulari.

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martedì 20 Marzo 2007, 22:37

Sulla pelle degli altri

In fondo è bene quel che finisce bene: il giornalista è stato liberato, La Stampa oggi lo chiama già Daniele, per nome, persino nel titolo a nove colonne, come fosse un amico o una rockstar. Prodi e D’Alema si bullano del risultato, Gino Strada ha fatto un figurone, l’Italia ha riconfermato la propria fama di nazione di brava gente a cui nessuno in fondo vorrebbe far del male.

Certo, ci sono alcuni dettagliucci che sono passati un po’ in secondo piano. L’autista del giornalista è morto, decapitato sul posto. Il suo interprete è ancora nelle mani dei rapitori, ma essendo afgano, non è che ce ne freghi più di tanto. Per permettere al nostro giornalista di tornare a casa da eroe, sono stati liberati cinque guerriglieri talebani, colpevoli di numerosi omicidi, che presumibilmente torneranno ad ammazzare (afgani). E il mediatore (afgano), il direttore di uno degli ospedali di Emergency, è stato prontamente arrestato dal governo (americanafgano) di Karzai, e interrogato perchè riveli i nomi dei suoi contatti con i rapitori.

Ma appunto, cos’è tutto questo di fronte al brivido che potrà di nuovo provare la casalinga di Voghera, aprendo Repubblica e trovando altri servizi sul massacrprocesso di pace in Afghanistan?

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venerdì 16 Marzo 2007, 11:24

Vergogne

L’altra sera ho visto in replica una puntata di Ballarò sulle pensioni.

Ora, l’argomento è complesso e meritevole di approfondimenti e distinzioni, ma c’è una cosa di tutte queste trasmissioni che non sopporto e insieme trovo insensata: che a discutere del tema si trovino regolarmente un gruppo di politici sessantenni, un sindacalista sessantenne e un industriale cinquantenne, ad analizzare le interviste agli operai cinquantenni di quello zoo per animali in via di estinzione (con tutto il rispetto per una vita di lavoro duro) che sono oggi le officine a Mirafiori. E’ logico che la conclusione è che non bisogna toccare niente, che gli attuali cinquantenni italiani si sono meritati baci abbracci e complimenti, e che anzi chi parla di allungare la vita lavorativa (da 57 a 60 anni di età; in Germania l’hanno appena portata da 65 a 67 anni) e ridurre le pensioni è un porco sfruttatore.

Forse, se in queste trasmissioni ogni tanto ci fosse anche qualche trentenne, potrebbe dirgli la verità: che il fatto che una generazione che ha indebitato figli e nipoti per avere tutto gratis o quasi dallo Stato, che ha malgestito l’Italia fino allo sfascio che vediamo, e che condanna i giovani al precariato eterno pur di mantenere le proprie posizioni di potere, ora abbia ancora la faccia tosta di pretendere di andare in pensione dieci anni prima del resto dell’Europa e con una pensione ben superiore ai contributi versati, è una vergogna nazionale.

Pari soltanto alla vergogna che provo per il fatto che i giovani di oggi accettino tutto questo senza fiatare.

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venerdì 2 Marzo 2007, 11:03

Virtual flash mob

Ieri pomeriggio, Kataweb ospitava una “videochat” con il presidente del CONI Petrucci; uno di quegli eventi in cui i lettori possono mandare domande da casa, e l’intervistato risponde online. Di solito si fanno per sembrare moderni, ma la partecipazione è piuttosto ridotta, tanto che la redazione prepara finte domande per riempire il tempo.

Naturalmente, quelli di Kataweb non avevano fatto i conti con la potenza della rete: pronti via, thread su Toronews, e Petrucci finisce letteralmente sommerso di domande sul regalo del Delle Alpi alla gobba. “Sommerso” vuol dire che ieri, nel forum su cui si postavano le domande, circa il 97% erano sul Delle Alpi. Al che Petrucci, con la faccia scocciata (pensa te ‘sto popolo, che si permette di far domande scomode invece che limitarsi ad applaudire), ha dovuto dichiarare che “Non ci sarà nessun finanziamento del Credito Sportivo, che io sappia non ci sarà nessun uso privato dei soldi dei contribuenti.” (non che qualcuno ci creda, eh).

D’accordo, talvolta questo potere è usato a fini meno nobili, come ad esempio portare in un giorno solo Angiolino Ogbonna da fuori classifica a primo in uno dei più prestigiosi premi italiani per giovani calciatori, dopo averlo fatto vincere l’anno scorso a Ricky Vailatti. Insomma, ogni volta che leggete un sondaggio sportivo della Gazzetta (talvolta anche di Repubblica), sappiate che dietro ai risultati potremmo esserci noi :-P

Però, è bello sapere che Internet non porta con sè soltanto occasioni per farci sorvegliare, ma anche occasioni per riprendere in mano il controllo della nostra società, far sapere ciò che i potenti non vogliono far circolare, organizzare manifestazioni anche significative (ultimamente Chiamparino si ritrova domande sul Delle Alpi persino all’inaugurazione delle biblioteche di quartiere, e par proprio nervosetto). Basta organizzarsi e mettere in piedi gli spazi opportuni, autogestiti, per incontrarsi.

Forse è proprio per questo che Internet – specie quella dei forum, dei newsgroup, dei blog – dà spesso tanto fastidio a chi comanda.

[tags]calcio, toro, delle alpi, petrucci, coni, internet, forum[/tags]

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lunedì 12 Febbraio 2007, 18:16

Conti

Gran parte della mia giornata di oggi è andata perduta in uno di quei buchi neri che assorbono le vite degli esseri umani adulti, specie se liberi professionisti: l’attività di “archiviazione documenti e contabilità”.

In poche parole, in vista della chiusura dei miei conti del 2006, ho dovuto recuperare tutte le fatture arretrate (ad esempio, registrandomi sul sito di Libero per controllare tutti gli arretrati dell’ADSL) e controllare di averle inserite nel foglio Excel; il che ha richiesto di andare a spulciare tutte le varie pile di documenti che ho per casa, provvedendo nel contempo a classificarle. Le lettere della banca ora sono nella pila della banca; quelle dell’assicurazione, nell’apposito mucchio; e poi c’è la corrispondenza sparsa, quella delle linee aeree, quella del Conto Arancio, quella di ciascuno dei fondi d’investimento in cui ho messo denaro, quella del mutuo casa, quella dell’amministratore, quella dell’amministratore della montagna, persino la Rai che vuole il canone (ma lo paga già mia mamma!).

Montagne, mucchi e mucchietti di lettere, ognuna con la sua brava busta (e io già sono diligente e le riciclo per uso interno). Molte di esse contengono anche fogli aggiuntivi di pubblicità che non leggerò mai, di avvisi ai consumatori, di convocazioni e verbali di assemblee milanesi e lussemburghesi. Ogni tanto compare persino, magari dopo mesi di immersione, una tessera fedeltà, una raccolta punti, o un messaggio elettorale di un candidato di Forza Italia.

Ma è possibile che, nell’era di Internet, io non possa ricevere tutta questa roba in formato elettronico? Magari, per le questioni finanziarie, con un allegato in XML standard, che si possa importare automaticamente in Excel o in un software di contabilità di massa?

Comunque, incoraggiatemi, perchè non ho ancora messo mano all’attività più tediosa di tutte: quella di esaminare ogni singolo scontrino di ogni busta di ciascuno della ventina di viaggi grandi e piccoli che ho fatto nel 2006, e capire se può essere inserito in un rimborso spese di questa o quella organizzazione, o perlomeno scaricato dalle mie tasse…

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sabato 10 Febbraio 2007, 16:22

Sicurezza

Vi devo ancora raccontare quel che ci vuole per arrivare negli Stati Uniti, in termini di controlli.

A Parigi, i voli per gli Stati Uniti partono in un terminal apposito, costruito in fretta e furia fuori dai sei principali, in un angolo del piazzale; nominalmente è un pezzo del terminal 2E, ma in realtà è isolato dal resto dell’aeroporto e ci si arriva solo con una navetta. L’autobus ti scarica davanti a un ingresso, dove, per prima cosa, ti controllano biglietto e passaporto; quindi ti fanno uno screening di sicurezza, in cui, oltre a toglierti giacca e giaccone, cintura, orologio, e ad estrarre portatile e macchina fotografica dalle borse, ti fanno togliere anche le scarpe.

Si attraversa poi il terminal e si arriva al gate, dove, all’imbarco, c’è un ulteriore controllo di biglietto e passaporto; a quel punto, io sono stato “casualmente” selezionato per un ulteriore controllo, in cui mi hanno perquisito e scansionato con un metal detector a mano, mi hanno fatto riaprire minuziosamente tutte le borse, togliendo l’intero contenuto, e mi hanno fatto accendere la macchina fotografica per controllare che fosse vera.

In volo, ti vengono consegnati due moduli da riempire minuziosamente: uno, quello verde, è per il visto (o meglio, l’esenzione dal visto) ed è quello che contiene le famose domande come “sei mai stato nazista?” o “vieni negli USA per spacciare droga?”. Ti avvertono anche che, se barrerai anche solo un sì, potrebbe venirti negato l’ingresso nel paese. L’altro, quello azzurrino, è per la dogana, dove si devono dichiarare eventuali beni per importazione o grandi quantità di valuta.

Atterrati a Filadelfia, poi, per prima cosa si incontra un nuovo controllo passaporti, dove va consegnato il modulo verde; l’impiegato ti chiede perchè vuoi entrare negli USA (a quel punto, devo dire, cominci a chiedertelo anche tu), quanto resterai, dove starai e così via, oltre a richiederti di vedere il biglietto di ritorno (la stampa della ricevuta se elettronico: è bene non dimenticarsene una). Non capire le domande fa pessima impressione; comunque, non è previsto l’uso di altre lingue oltre all’inglese.

Dopodichè, anche nel caso in cui, come me, abbiate un volo in coincidenza e la valigia sia già registrata fino alla destinazione finale, dovete lo stesso recarvi al ricevimento bagagli e prelevarla; difatti, dovete passare con essa la dogana. Lì incontrate prima uno sbarramento iniziale in cui vi chiedono da dove venite; apprendendo che siete italiano, l’ufficiale comincia a dirvi: “Pruvulù? Muusarell?” Dopodichè, stupendovi che non capiate, comincerà a dubitare che siate italiani sul serio. Se riuscite a passare, dovrete fare una coda fino al punto in cui un dipendente delle dogane annoiato vi prenderà di mano l’altro modulo, vi chiederà se siete proprio sicuri di non avere in valigia delle mozzarelle non autorizzate (il contrabbando internazionale di latticini è un reato terribile) e vi lascerà andare.

A questo punto, trovate un banco del check-in, dove vi chiederanno nuovamente biglietto e passaporto, e poi vi ritireranno la valigia per la destinazione finale, facendovi il check-in per il prossimo volo interno (dall’Europa, non sapendo se la dogana vi lascerà davvero passare, non ve lo fanno).

Dovendo poi prendere un altro volo, dovete poi passare un ulteriore controllo di sicurezza: persone di ogni colore – è la fila riservata all’arrivo degli internazionali e per i cittadini non americani – in una fila infinita e pigiata tra barriere metalliche, in cui un paio di omoni bianchi con il manganello in mano si mettono a urlare alla folla a intervalli regolari, sempre solo in inglese: “State in fila! Non spingete! Tirate fuori gli oggetti metallici! Non usate il telefonino! Non fate fotografie! Estraete i computer dalla borsa! Preparatevi a togliervi le scarpe!”. Dopo venti minuti di coda in un clima da lager, potete finalmente togliervi di nuovo cintura, orologio e scarpe, nonchè giacca e giaccone, e infilare tutto nella macchina a raggi X.

Insomma, passa veramente la voglia di andare in un posto dove chiaramente hanno proprio voglia di accoglierti. Ma per completare il quadretto vi devo ancora raccontare il mio controllo di sicurezza all’aeroporto di New Haven, quello grande come una fermata dell’autobus.

Il mio passaporto, come tutti quelli italiani, ha una data di scadenza nel 2005, ma è stato prorogato al 2010 mediante una scritta in terza pagina (l’Italia voleva risparmiare sui nuovi passaporti). Pretendere che una signora americana – di quelle signore americane di provincia, paciose e sopra i 150 chili – lo capisca è eccessivo; ma lei (la signora del banco check-in numero 1, cioè l’unico) almeno l’ha chiesto, e io gliel’ho fatto vedere.

Dopodichè, passo al controllo di sicurezza (due metri più in là), porgo il passaporto, e la signora – stavolta magra e in tiro – si irrigidisce. Non mi dice niente, ma fa la cosa peggiore possibile: prende il nastro mobile, di quelli che si tirano da una palina all’altra per delimitare le corsie, e me lo passa davanti per bloccarmi il passaggio. Poi se ne va più dentro, per parlottare con un collega. Ok, io ho capito di cosa parlano; per cui, quando torna e finalmente mi dice “devo controllare una cosa con la compagnia aerea” (cioè la signora grassa due metri dietro di me), io rispondo “ma guardi che è stato prorog…”. Lei, senza fermarsi a sentire tutta la risposta, mi fulmina con gli occhi, come a dire “CHI TI HA AUTORIZZATO A PARLARE?”.

Insomma, fa i due metri, la signora grassa e gentile le fa vedere col ditone dov’è che è segnata la proroga, lei torna e mi fa passare (al metal detector, dove tolgo cintura, orologio e scarpe ecc.). Mentre passo, il collega con cui aveva parlottato, come se io non ci fossi, le fa il seguente discorso, testuale: “Certo che non ci fanno abbastanza formazione: perchè noi come facciamo a sapere se uno è un terrorista? Voglio dire, se uno arriva da quei posti tipo Siria, Libano, allora capiamo subito che probabilmente è un terrorista; ma ci dovrebbero dire quali sono gli altri paesi da cui vengono i terroristi, perchè se vedo questi passaporti stranieri, tipo Italia o Germania, io come faccio a sapere se sono paesi di terroristi o no?”.

Rabbrividiamo.

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domenica 4 Febbraio 2007, 00:25

Standard aperti

Il mio discorso è stato ben ricevuto, anche se la platea era più interessata a sentire lo scambio tra il rappresentante del governo cinese – che sostiene che è necessario eliminare i diritti di proprietà intellettuale sugli standard internazionali e renderli aperti, altrimenti loro non possono utilizzarli nel libero commercio – e quello del governo americano – che sostiene che naturalmente loro sono a favore del libero mercato, specialmente quando si tratta di esportare, ma “le preoccupazioni dei nostri cittadini per lo spostamento di posti di lavoro tecnologici in India e Cina non possono essere prese alla leggera”.

In generale, il simposio è molto interessante, seguito da una cinquantina di persone ma tutte di altissimo livello, e con discussioni piuttosto avanzate: ho conosciuto una simpatica signora di Sun che mi ha ribadito come loro siano molto avanti sul liberare la loro proprietà intellettuale, a differenza del signore di Microsoft (il responsabile di tutte le politiche aziendali sulla proprietà intellettuale e sugli standard) che ha ribadito che tutto va bene, e non c’è bisogno di direttive in materia perchè il mercato decide da solo se gli standard devono essere aperti o chiusi. L’ambiente gotico e l’abbondanza di cibo gratis poi fanno il resto… Comunque, se volete sapere cosa sono andato a raccontare, trovate qui il testo del position paper, e qui le slide.

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venerdì 2 Febbraio 2007, 08:25

Tortillas

Il Messico è sul piede di guerra; migliaia di persone hanno marciato l’altra sera per le strade di Città del Messico, urlando slogan contro il governo e la globalizzazione. Già, ma qual è stata la causa? La guerra in Iraq? Il prezzo del petrolio? La repressione dei diritti umani?

Niente di tutto questo, perchè il motivo della prima grande crisi politica della presidenza Calderon è un altro: il rincaro del prezzo delle tortillas, che in pochi mesi è più che raddoppiato, c’è chi dice triplicato.

Se vi sembra strano, ancora più strano è il motivo: un vero fenomeno di globalizzazione dove un battito di ali in Cina genera un uragano in Africa. Difatti, il Messico è un grande consumatore di tortillas e di mais in genere, tanto che, pur producendone molto, ne deve importare quasi la metà del proprio fabbisogno, in buona misura dagli Stati Uniti. Purtroppo, il prezzo del mais sui mercati internazionali è in crescita verticale, e quindi, di conseguenza, lo è il prezzo dei cereali in Messico, e presumibilmente lo sarà presto in altri grandi paesi del secondo e terzo mondo che devono importare cereali per dar da mangiare ai propri cittadini, come l’Indonesia o la Nigeria.

Ma ancora più sorprendente è il motivo per cui il prezzo dei cereali è in aumento: lo è perchè i paesi sviluppati hanno cominciato la svolta ecologista sul mercato dei carburanti. In altre parole, alla ricerca di una alternativa al petrolio, i paesi sviluppati hanno cominciato ad incentivare la produzione e l’uso di biocarburante, ovvero di carburante derivante da vegetali come il mais o le barbabietole. Di conseguenza, anche grazie agli incentivi promossi dalle anime belle dell’ambientalismo nostrano, è diventato più conveniente usare il mais per alimentare lo stile di vita iperconsumistico del mondo sviluppato, invece che per sfamare i poveri del terzo mondo.

Fin qui, il racconto serio – qui, se volete, trovate anche un minimo di approfondimento. Mi sembrava una storia interessante da segnalare, perchè mostra come il sistema globalizzato e interconnesso sia molto difficile da governare, persino nel modo blando che ci è concesso dalla debolezza delle attuali istituzioni internazionali; è difficile anche solo capire quali saranno le conseguenze delle scelte politiche in certe parti del mondo, figuriamoci discuterle a livello globale.

Se volete, invece, ci si può divertire a buttarla sul faceto: già, perchè, manco a farlo apposta, questa settimana Lidl lancia la grande offerta di prodotti messicani: gli spot televisivi propagandano tortillas e fagioli a prezzo di lancio. Possiamo quindi divertirci ad immaginare scenari alternativi: ad esempio, non potremmo trasportare i messicani presso il Lidl più vicino? Oppure, non sarà che tutto questo è un complotto dei tedeschi contro il Messico? Magari per vendicarsi di quella finale dei mondiali di calcio perduta allo stadio Azteca nel 1986? E’ proprio vero che le vie del commercio mondiale sono infinite…

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lunedì 29 Gennaio 2007, 20:56

Calzini

Ammetto che quest’estate, essendo in giro da quelle parti, avevo anch’io paura che inavvertitamente mi potesse capitare. Però che succeda al superfalco e presidente della Banca Mondiale

[tags]wolfowitz, turchia, calzini[/tags]

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