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Archivio per la categoria 'NewGlobal'


venerdì 20 Gennaio 2012, 17:51

Il Movimento e la cittadinanza ai figli degli immigrati

L’immigrazione, si sa, è un tema che accende gli animi, e che io ho sempre cercato di affrontare senza pregiudizi e concentrandomi sui problemi concreti, a costo di beccarmi del razzista o del comunista da chi ragiona per dogmi ideologici (vedi una dottissima discussione da 585 commenti con me e il collettivo Wu Ming).

Lunedì, dunque, io e Chiara dovremo votare su un ordine del giorno del centrosinistra che esprime adesione all’appello di Napolitano e alla campagna L’Italia sono anch’io, che chiede la cittadinanza italiana automatica per chiunque nasca qui, anche se figlio di immigrati, e il diritto di voto alle elezioni amministrative per gli stranieri che risiedono qui da almeno cinque anni. Non stiamo dunque parlando di modificare i requisiti per poter immigrare in Italia, ma della situazione di bambini che attualmente, pur nascendo e crescendo in Italia con la cultura e la lingua degli italiani, devono fare tutte le scuole da “diversi” e attendere i 18 anni per diventare cittadini italiani, con l’obbligo di risiedere qui “ininterrottamente”: se a quattro anni vai a passare qualche mese dalla nonna che sta morendo, rischi che poi a 18 non ti diano la cittadinanza (è un caso che conosco personalmente) e che tu debba scegliere se vivere da straniero in Italia o tornare in un Paese di origine che praticamente non conosci.

Sapete che io non sono certo favorevole all’immigrazione senza regole o al buonismo verso gli immigrati delinquenti (o gli italiani delinquenti, o i politici delinquenti, o i rom delinquenti… il punto è il delinquere e non l’origine). Personalmente, rispetto alle proposte della campagna, avrei preferito qualche cautela in più per la concessione automatica della cittadinanza ai bambini; ad esempio che almeno un genitore sia residente in Italia da almeno qualche anno (come in Germania, dove gli anni di residenza sono 8) oppure che il bambino svolga in Italia almeno le scuole elementari, concedendogli la cittadinanza a 11 anni. Tuttavia, il problema è reale e improcrastinabile e tra la situazione attuale e quella proposta preferisco decisamente quella proposta; la soluzione alle difficoltà di integrazione dei figli degli immigrati non è escluderli ma è farli sentire orgogliosamente e pienamente italiani. Per questo motivo, personalmente io vorrei votare a favore dell’ordine del giorno e aderire alla campagna.

Io, però, rappresento il Movimento 5 Stelle e i cittadini torinesi che l’hanno votato, e dunque mi ritengo in dovere di portare una posizione collettiva e non personale. Per questo motivo, già martedì scorso ho iniziato un piccolo sondaggio su Facebook, da cui emerge una prevalente opinione favorevole, ma anche una serie di dubbi non da poco. La situazione si è complicata discutendone con gli altri gruppi e consiglieri del Movimento; da una parte vari gruppi locali hanno aderito anche formalmente alla campagna, dall’altra alcuni esponenti di punta sono contrari ad essa (potete leggere qui il ragionamento di Davide Bono). In Emilia-Romagna i due consiglieri regionali hanno votato a favore dell’adesione alla campagna (nonostante Repubblica abbia subito scritto il contrario…) ma non hanno partecipato al voto sull’adesione alle parole di Napolitano; linea concordata con i consiglieri regionali piemontesi.

I contrari all’adesione, pochi ma agguerriti, sottolineano anche questi punti di metodo: il problema è nazionale e non locale, dunque i consiglieri comunali non sono titolati a prendere posizione; un sondaggio su Facebook non è certo attendibile; nel programma comunale non si dice niente in merito (ovviamente, perché non è competenza comunale); nel programma nazionale idem (e questa è una mancanza da colmare). Qualcuno ha suggerito una votazione tra attivisti o tra eletti, ma questa è una soluzione “da partito” che è stata più volte (secondo me giustamente) sconfessata da Grillo. Insomma, detto che io devo pur votare qualcosa e che abbandonare l’aula mi sembra un triste mezzuccio politico, so che qualsiasi cosa io faccia ci sarà qualcuno pronto a gridare che ho tradito il Movimento e il mandato elettorale.

Credo di non poter fare diversamente da come sto facendo, e dunque, come sempre, usare Facebook e blog per sentire il maggior numero possibile di pareri da parte delle persone che mi hanno votato, e poi valutare e decidere secondo coscienza. Questo post vuole dunque sollecitare i vostri commenti sia sulla campagna, sia sul comportamento da tenere in quanto portavoce del Movimento 5 Stelle di Torino; lunedì prenderemo una decisione definitiva.

[tags]immigrazione, cittadinanza, diritti, movimento 5 stelle, politica, democrazia[/tags]

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mercoledì 11 Gennaio 2012, 11:47

Invidiamoli

Attenzione: quello che state per vedere non è la solita parodia di uno spot famoso, fatta per ridere e allo stesso tempo per promuoverlo ulteriormente. Natalino Balasso decostruisce il messaggio in modo divertente ma profondo… da far vedere a tutti quelli che invidiano le Mercedes dei billionaire.

[tags]pubblicità, consumismo, balasso, ricchezza[/tags]

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sabato 7 Gennaio 2012, 12:59

M’iscrivo ai terroristi

C’è un motivo per cui la politica tutta, da destra a sinistra, ha montato in questi primi giorni dell’anno una imponente e unanime campagna mediatica contro la rivolta anti-Equitalia e contro qualsiasi tentativo di capirla; e non è certo per via della violenza, che i vertici dello Stato italiano, dagli anni di piombo alla Valsusa, non si sono mai fatti problemi ad usare quando gli conveniva.

Da che mondo è mondo, difatti, esiste una sola cosa veramente in grado di rovesciare regimi e di scatenare genuine e inarrestabili rivoluzioni di massa (non colpi di stato organizzati dall’esercito e/o dalla CIA, come le “rivoluzioni colorate”). Non è il terrorismo, che anzi è solitamente usato come scusa per rinsaldare il potere, non sono le manifestazioni di piazza, che il giorno dopo sono già dimenticate, e non è la politica, i cui tempi di azione sono molto più lunghi. E’ il rifiuto di pagare le tasse.

I regimi, più o meno democratici che siano, mantengono i propri privilegi e il proprio stesso potere grazie al flusso ininterrotto di denaro che milioni di persone alimentano ogni giorno, e che permette di pagare i servi e i militari. Quando l’economia va in crisi, il flusso si riduce di suo; i servi cominciano a lamentarsi e i militari a restare senza benzina. A quel punto al regime non resta che spremere al massimo i contribuenti; se la spremitura diventa insostenibile, i contribuenti dicono basta e il regime, anche se spesso a costo di caos, violenze e guerre civili, finisce.

In Italia questo in sostanza non è mai successo. Quella parte del Paese che paga le tasse e mantiene tutti gli altri è stata allevata per essere contemporaneamente imbelle, egocentrica e piena di sensi di colpa: incapace di ribellarsi, incapace di unirsi su un obiettivo comune senza farsi comprare dopo cinque minuti, e incapace di capire che servire lo Stato è un dovere solo se lo Stato è lì per servire i cittadini. Chi evade per scelta in Italia lo fa generalmente per rubare, non per protestare, anche se è pronto a sostenere l’opposto. Gli onesti, invece, oltre ad essere spesso messi in condizione di non poter fisicamente evadere, sono stati educati a stare zitti e subire qualsiasi cosa.

E’ per questo che i pacchi bomba e i proiettili inviati ad Equitalia, per quanto sbagliati siano, fanno davvero, per la prima volta, paura alla casta. Perché sono troppi per essere mandati solo dai soliti “anarchici”, e perché un vero evasore non minaccia, ma cerca di venire a patti o di ungere qualche ruota. Chi manda quei proiettili è con tutta probabilità un cittadino incensurato, reso furioso dalla frustrazione di dover scegliere tra il rinunciare al proprio onore e al rispetto per la legge e il morire di fame per pagare una banda di incapaci e disonesti che ha catturato lo Stato. E così, come il leggendario Magnotta, si iscrive ai terroristi.

E ora dite anche a me che sono un terrorista: presto saremo milioni.

[tags]equitalia, terrorismo, tasse, stato, rivoluzione, politica[/tags]

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lunedì 19 Dicembre 2011, 19:17

Il dibattito sui rom in Consiglio Comunale

L’articolo della scorsa settimana, come prevedibile, ha fatto molto discutere; e se mi ha fatto dispiacere ricevere qualche accusa di razzismo, mi ha fatto piacere notare come, su un tema così difficile, con molte persone si sia riusciti a impostare una discussione razionale sui fatti, indipendentemente dalle loro opinioni di partenza.

Mercoledì scorso ne ha parlato anche il consiglio comunale; il sindaco Fassino ha sorpreso tutti con una dichiarazione che un tempo sarebbe stata etichettata “di destra”, ovvero – pur parlando anche di pregiudizi e di accoglienza – dicendo che i rom che rifiutano l’integrazione devono essere allontanati dall’Italia. A me sembra esagerata; io mi sarei limitato a dire che i rom che commettono reati devono essere puniti e incarcerati secondo la legge, dato che sono quasi tutti cittadini italiani o comunitari.

Comunque, sono stato positivamente sorpreso che Fassino non abbia scelto la linea poi tenuta dal ministro Riccardi, che è andato giustamente a promettere aiuto e integrazione ai rom della Continassa, ma non ha trovato nemmeno cinque minuti per parlare con gli abitanti delle Vallette e preoccuparsi anche dei loro problemi.

Ad ogni modo, questo è il video del mio intervento nella discussione.

P.S. Stamattina ho fatto un piccolo esperimento, pubblicando su Facebook questa notizia: ignoti criminali, pur di rubare il rame e i sanitari, hanno devastato un asilo di Moncalieri, temporaneamente chiuso per ristrutturazione, causando danni ingenti che probabilmente ritarderanno di chissà quanto la riapertura e lasceranno molte famiglie senza un posto asilo. Né io né il giornalista abbiamo parlato di rom, eppure già al secondo commento si era finiti sul tema.

[tags]rom, integrazione, torino, vallette, fassino, consiglio comunale[/tags]

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giovedì 1 Dicembre 2011, 13:06

I criceti del debito

Come ormai dovreste sapere, la scorsa settimana la giunta Fassino, ignorando il referendum di giugno e col voto favorevole di tutti i partiti (PD, SEL, IDV, Moderati), ha dato il via alla privatizzazione di Amiat, TRM e GTT, ovvero dei rifiuti e dei trasporti torinesi… dico “dovreste sapere” perché la cosa è stata fatta passare il più possibile sotto silenzio, e ancora oggi mi arrivano messaggi di persone che dicono “ma è vero che…?”. Noi abbiamo fatto il possibile: presentando 400 emendamenti ostruzionistici (alcuni anche un po’ goliardici) abbiamo perlomeno ottenuto che si rinviasse il voto di due giorni e che i giornali dovessero dire che c’era anche qualcuno che non era d’accordo. Anche i cittadini hanno fatto la loro parte, inviando centinaia di mail… ma Fassino & c. se ne sono fregati.

Io e Chiara ci siamo divisi le cose: lei ha fatto un grande lavoro per settimane, andando a discutere la delibera nel merito tecnico, nei meccanismi di gestione delle aziende e nei metodi di valutazione dei valori; a me è toccato, in aula, fare l’intervento più generale spiegando perché siamo contrari a questa privatizzazione.

Ho smontato una per una le ragioni portate a sostegno della proposta, e poi ho cercato di dire la cosa più importante: che i politici si sono ridotti a criceti in una ruota, costretti a correre all’infinito vendendo il patrimonio pubblico, tagliando posti di lavoro, riducendo i servizi, senza in realtà arrivare un centimetro più vicino a ripagare il debito che hanno contratto in decenni di sprechi, regali e cattiva gestione. La politica dovrebbe avere il coraggio di dire basta, di ridiscutere le basi della moneta e della finanza, di ripensare il meccanismo con cui la collettività finanzia le spese necessarie a vantaggio di tutti; continuare a svendere vuol dire soltanto distruggere i beni comuni per incassare soldi che evaporeranno in pochissimo tempo nei pagamenti alle banche, arrivando lo stesso al fallimento.

Mi spiace che nessun giornale voglia riportare mai questi argomenti; la rete resta l’unico ambito dove si riesce a farli circolare. Spero che questi pochi minuti possano convincere anche qualche scettico!

[tags]debito, privatizzazioni, torino, fassino, amiat, gtt, moneta, finanza, crisi[/tags]

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mercoledì 2 Novembre 2011, 20:05

Europa o morte

Alla fine il momento è arrivato: anche chi per anni (non noi) ha sostenuto che la crisi di questi anni fosse tutto sommato normale e passeggera, che la si potesse risolvere con le solite ricette dell’economia occidentale, ha dovuto gettare la spugna. E’ successo ieri, quando il governo greco si è ribellato alle medicine della finanza internazionale e ha deciso di chiedere ai cittadini se tutto sommato non sia meglio fallire, piuttosto che morire di fame per ripagare i debiti del passato. La risposta è scontata: se si arriva al referendum, la Grecia fallirà e uscirà dall’Euro e dal mondo occidentale, e a catena potrebbe crollare l’intera unità europea.

Ma non esultate; intanto, la decisione di Papandreu non è tanto uno scatto di orgogliosa rivolta contro il nuovo ordine mondiale, ma semplicemente la mossa ignava di un politico che non vuole prendersi la responsabilità di azioni impopolari; non vuole rovesciare il capitalismo, ma solo salvare la propria carriera politica, e magari spuntare condizioni migliori con un bel ricattino.

E poi, come già scrissi due mesi fa, lo scenario del fallimento con uscita dall’euro è senz’altro possibile, magari anche il meno peggio, ma non è affatto una strada lastricata di petali di rosa come molti illusi vorrebbero credere. Comporterebbe comunque la cancellazione dei nostri risparmi, un ridimensionamento permanente del nostro tenore di vita, difficoltà di approvvigionamento energetico, e ci permetterebbe di vivere per altro tempo in una società vecchia, inefficiente e corrotta, senza più spinte esterne al rinnovamento, scavandoci ancora di più la fossa… senza contare il fatto che un qualsiasi primo ministro italiano che tentasse la via di una bancarotta non concordata probabilmente farebbe la fine di Gheddafi o perlomeno di Aldo Moro, e magari apparirebbero maree colorate nelle piazze a provocarne la pronta sostituzione con un primo ministro più “ragionevole”. Non è certo un caso che Papandreu abbia appena rimosso i vertici dell’esercito

In ogni modo, mi sembra che pochi colgano la vera posta in palio di questi mesi. L’Euro, nella sua giovane esistenza, è riuscito là dove il comunismo aveva fallito: a mettere in crisi la supremazia economica mondiale degli Stati Uniti. Sta progressivamente sostituendo il dollaro come moneta delle riserve e degli scambi internazionali, a partire dal petrolio, e sta permettendo la nascita di un’unica grande nazione europea, più forte e più solida del rivale americano. D’altra parte, tutta questa attenzione delle agenzie di rating (americane) e della stampa economica (anglosassone) sulla crisi italiana e spagnola non è un caso; nasconde il fatto che i due Paesi con i maggiori problemi di debito estero complessivo (pubblico e privato) non sono Italia e Spagna, ma Stati Uniti e Inghilterra.

L’Italia, rispecchiando l’attitudine dei suoi abitanti, ha una sfera pubblica fortemente indebitata, ma una sfera privata ancora piena di risparmi, che mandano avanti la baracca. Al contrario, nel mondo anglosassone sono indebitati tutti: lo Stato che piazza i propri titoli ai cinesi, le aziende che attraggono i capitali di tutto il mondo, i privati che comprano qualsiasi cosa a credito. Sono giganti dai piedi d’argilla il cui dominio planetario volge al termine… a meno che non riescano a riprodurre la situazione che già, un secolo fa, trasformò gli Stati Uniti da nazione emergente a dominatore planetario: frantumare l’Europa e metterla in ginocchio con una serie di rivalità e di guerre.

D’altra parte, il progetto di unità europea ha, sin dal principio, un grande punto debole: quello di essere basato sull’economia invece che sulla politica. Non c’è più, da tempo, l’afflato europeista del dopoguerra; il desiderio di stare insieme perché siamo simili, non vogliamo più combatterci e vogliamo unirci per vivere meglio. C’è, al contrario, una visione meramente utilitaristica; stiamo uniti se ci conviene, altrimenti ciao. Questo è invece il momento di guardarsi negli occhi e capire se siamo italiani, francesi e tedeschi, divisi da rivalità millenarie e pronti a scannarsi di nuovo, o se siamo infine e per sempre europei.

Può essere che i sacrifici necessari all’Italia per restare in Europa si rivelino nei prossimi mesi – a differenza di quelli del 1992 e del 1996 – troppo pesanti, fisicamente insostenibili. Eppure, sono fermamente convinto che nel lungo termine la fine dell’integrazione europea, o l’esclusione dell’Italia da essa, sarebbero per noi un biglietto di sola andata per il Terzo Mondo, economico e culturale. Pretendiamo pure dall’Europa più democrazia, a partire da un governo eletto direttamente e una banca centrale che risponde al pubblico interesse; chiediamo l’Europa dei cittadini, anziché quella dei banchieri. Ma non rassegniamoci tanto facilmente all’idea che i debiti del nostro passato ci impediscano di arrivare al futuro.

[tags]europa, unione europea, euro, crisi, finanza, grecia, papandreu, stati uniti[/tags]

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lunedì 3 Ottobre 2011, 19:02

Immaginare un’altra economia

Per quanto non faccia esattamente parte del mio mandato di consigliere comunale, in queste settimane è impossibile non parlare di economia: la situazione è sempre più drammatica e tutti ci interroghiamo su come uscirne. Anche nel Movimento le visioni sono variegate, e per questo è stato molto interessante leggere i risultati del sondaggio svolto da Beppe Grillo sul suo blog a proposito del futuro sviluppo dell’Italia.

E’ vero che il sondaggio non ha basi scientifiche, è vero che impegnandosi probabilmente si poteva votare più volte, è vero che non è detto che i votanti coincidano con un insieme rappresentativo della base del Movimento, è vero che si votava per slogan e non per analisi approfondite dei singoli punti, eppure il risultato secondo me più interessante è questo: la proposta “Nazionalizzazione delle banche”, invocata a gran voce da molti ideologi dentro e fuori il Movimento, è stata una delle meno votate, ottenendo solo il 48,57% di favorevoli.

Ora, sarebbe semplice dire “la proposta è stata bocciata e non se ne parli più”, ma in realtà il punto è un altro: convivono presumibilmente nel Movimento, con pesi quasi uguali, due visioni dell’economia radicalmente opposte e difficilmente conciliabili, una che vorrebbe aggiustare il capitalismo e l’altra che vorrebbe rovesciarlo; e nello scioglimento di questa contraddizione sta gran parte del futuro politico delle cinque stelle.

E allora, che facciamo? Quando nacque il Movimento, Grillo fece una promessa chiara: che esso non si sarebbe schierato a fianco di nessuna delle grandi ideologie del Novecento – né a destra, né a sinistra; né col capitalismo, né col comunismo – e che invece si sarebbe concentrato sulla risoluzione dei problemi concreti e sull’unica, vera, grande rivoluzione socioeconomica del terzo millennio: l’avvento della rete.

Io credo che la degenerazione dell’economia, la negazione dei nostri diritti e del nostro benessere, non derivino tanto dalla scelta tra pubblico e privato – parole che hanno ormai perso di significato – ma dall’accumulo di potere e denaro nelle mani di pochi, che lo usano per controllare sia il pubblico che il privato. In quest’ottica, nazionalizzare banche ed aziende non serve a niente, perché trasferire il potere di controllo delle nostre vite dalle mani di Marchionne e Tronchetti Provera a quelle di Berlusconi e Bersani non cambia sostanzialmente nulla.

Se mai, ci servirebbe un’economia fondata sulla cooperazione e sulla distribuzione a tutti delle risorse; non su una fittizia proprietà collettiva che diventa dominio dittatoriale della politica, ma su una effettiva proprietà privata distribuita nelle mani di tutti, in cui le differenze di censo siano limitate e comunque derivino dal merito e non dall’abuso del potere. Ci servono banche cooperative, come Banca Etica, e aziende co-gestite dagli azionisti e dai lavoratori. Ci serve una informazione libera offerta tramite una rete priva di punti di controllo, che permetta a tutti di far circolare anche i fatti più scomodi. E ci serve una politica senza piramidi di partito, dove i cittadini possano veramente svolgere un periodo di “servizio civile” nelle istituzioni senza inchiodarsi alle poltrone.

Questa, credo, sarebbe una vera rivoluzione: una forma di società tutta da inventare, che guardi al futuro e non al passato!

[tags]economia, politica, rivoluzione, sviluppo, movimento 5 stelle, capitalismo, comunismo, nazionalizzazione[/tags]

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lunedì 26 Settembre 2011, 10:18

Debito e paranoia

Gira da qualche tempo in rete un cartone animato che in mezz’ora spiega i meccanismi finanziari e storici dietro alla crisi globale.

La prima metà è effettivamente interessante per chi ancora non avesse capito concetti come la riserva frazionaria e la proprietà della moneta, mentre la seconda sfocia in un delirio paranoico misto al tipico anti-statalismo americano (scommetto che gli autori votano Ron Paul). I fatti raccontati nella seconda parte vanno dal parecchio abbellito (come la leggenda dei Rothschild a Waterloo) al totalmente male interpretato (come la creazione della prima banca centrale federale americana, che fu osteggiata semplicemente perché avrebbe ridotto la sovranità dei singoli Stati americani e scaricato i debiti di quelli spendaccioni su quelli virtuosi, proprio come sta avvenendo ora nell’Unione Europea).

Indubbiamente vi sono grandi poteri economici globali che hanno fatto di tutto per indebitare gli Stati, per speculare sui loro titoli e per controllarli economicamente, e il tema del controllo sulla moneta è reale; ma per non essere schiavi dei debiti sarebbe stato sufficiente non farne.

[tags]american dream, debito, finanza, moneta, signoraggio, rothschild[/tags]

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mercoledì 31 Agosto 2011, 18:37

La verità sulla situazione economica dell’Italia

Non volendo piangere, è inevitabile mettersi a ridere per le continue giravolte del governo Berlusconi in materia di manovra finanziaria. Prima volevano tassare i ricchi e tagliare i fondi ai Comuni, poi i ricchi si sono incazzati e i sindaci sono scesi in piazza e allora hanno deciso di eliminare invece il riconoscimento degli studi ai fini pensionistici, ma in due giorni si è creata una tale ondata di lamentele che si sono rimangiati pure quello. E’ chiaro che non sanno dove sbattere la testa per trovare 40 miliardi di euro, non volendo mettere mano seriamente all’unico capitolo dove ci sarebbe ancora qualcosa da tagliare – i costi della politica e delle sue clientele, sia in termini di regalie che in termini di posti di lavoro.

A ben vedere, però, è proprio il caso di mettersi a piangere; è giusto criticare il governo, ma onestamente quali alternative ci sono sul piatto? La contromanovra del PD è evanescente, ed è stata già distrutta persino sul giornale di famiglia, Repubblica, dal buon Tito Boeri; se va bene il PD recupererebbe 4 miliardi, non 40, e perdipiù a forza di nuove tasse.

Il primo passo è ovviamente quello di cacciare tutti questi cialtroni e tagliare il costo della politica; dimezzare i parlamentari, eliminare le province… fanno alcuni miliardi di euro, non di più. Rinegoziare le privatizzazioni, i sussidi e le concessioni pubbliche date a condizioni di favore, cacciare i dirigenti incompetenti e mettercene di capaci, e poi tassare i capitali evasi rimasti all’estero e lanciare una campagna contro l’evasione fiscale, fermare le grandi opere inutili, far pagare le tasse alla Chiesa, e tutte le altre cose elencate nel (più che condivisibile) post di Grillo… ok, dai, così 40 miliardi li troviamo… magari ne troviamo anche 100.

Peccato che il nostro debito pubblico sia di circa 2000 miliardi di euro; peccato che solo l’aumento degli interessi che dovremo pagare sui nostri titoli di Stato, nelle ultime aste, si sia già mangiato in pochi giorni i 40 miliardi che stiamo ammazzandoci per recuperare. Mi spiace dovervi dare una cattiva notizia, ma qui siamo messi straordinariamente male.

Io sono preoccupato non solo per la situazione, ma perché si sta diffondendo per la rete e per le strade una furiosa euforia irreale, un piano d’azione che dice “attiviamoci, occupiamo le piazze a oltranza, cacciamo tutti i politici con i forconi, poi andiamo al potere, togliamo i soldi ai ricchi che li hanno rubati, cambiamo le regole dell’economia e potremo tutti tornare allo stile di vita di vent’anni fa”. Scusatemi per la lunghezza, ma voglio proprio fare una analisi approfondita di questo piano d’azione.

Innanzi tutto, in Italia non si sono mai viste rivoluzioni di piazza che abbiano avuto successo. Al contrario, nelle situazioni di disordine c’è sempre stata una reazione dell’italiano medio che ha portato al potere regimi autoritari e corrotti; agli scioperi dei primi anni Venti è seguito il fascismo, agli anni ’70 Craxi e agli anni ’90 Berlusconi. Tutto fa pensare che quel che sta succedendo ora sia solo un altro cambio della guardia, programmato colà dove si puote e legato non solo alla nostra spesa pubblica fuori controllo, ma al tentativo di Berlusconi di smarcarsi dal guinzaglio euroatlantico e di coltivare amicizie pericolose tra Mosca e Tripoli. Ve lo dico, così state accuorti.

Comunque, supponiamo invece che l’indomito popolo italiano prenda le piazze e riesca a mandare al potere un nuovo gruppo dirigente (nuovo davvero, non il figlioccio e sodale dei maggiori esponenti italiani del club Bilderberg). Ok, adesso abbiamo 2000 miliardi di euro da pagare e che non ci fanno più credito se non ne restituiamo almeno una bella fetta, che facciamo? Niente paura, il piano dice “togliamo i soldi ai ricchi che li hanno rubati”.

RICCHI_544px.jpg

La prima opzione è fare un bel collettone – ma chi ha soldi da tirar fuori? Tassiamo i patrimoni immobiliari? In teoria gli italiani possiedono 6000 miliardi di euro in case: facciamo che ognuno di noi paga allo Stato una cifra pari al 20% del valore delle proprie case? Ok, tu che possiedi un appartamentino in città (che comunque vale, a seconda della città, dai 100 ai 300 mila euro), ereditato dai tuoi o magari comprato con un mutuo che ti stai strozzando per pagare, domani mattina mi devi versare sull’unghia 20-60 mila euro, ok? Tanto li hai lì, no? No?

Ok, la facciamo pagare solo ai ricchi, però – in un paese in cui quasi tutti possiedono almeno una casa se non due – a questo punto l’aliquota sui ricchi deve salire al… 90%? Facciamo che requisire le ville ai ricchi? E anche se lo facessimo, poi dobbiamo trasformarle in soldi… chi le compra, e quanto riusciremmo veramente a realizzare, in un mercato immobiliare già saturo e improvvisamente inondato di case?

Va bene, realisticamente dalle case non si può tirar fuori che qualche decina di miliardi una tantum; allora tassiamo i conti in banca… ops, il totale dei depositi bancari in Italia è solo di 750 miliardi di euro, nemmeno azzerandoli tutti ripagheremmo il debito; e poi, per via del meccanismo della riserva frazionaria, le banche mica hanno lì 750 miliardi pronti da dare allo Stato.

Gli italiani dispongono se mai di un significativo patrimonio mobiliare in titoli, ma è investito soprattutto in… ops, titoli di Stato? Magari titoli di Stato di paesi messi poco meglio di noi o magari anche peggio? E anche qui, per poter chiedere agli italiani una fetta di questi soldi bisogna che prima gli italiani li vendano, e quanto riuscirebbero a incassare in una situazione del genere, costretti a svenderli di corsa ad investitori stranieri?

Incidentalmente, in tutto questo c’è comunque un assunto che disturba, cioè che non ci debbano essere remore nel tassare pesantemente i grandi patrimoni perché tanto “li hanno sicuramente rubati”. E’ ovvio che in una situazione di crisi la tassazione debba essere progressiva, colpendo di più chi non ha problemi ad arrivare a fine mese, ma l’Italia è piena di persone che si sono arricchite onestamente col proprio lavoro, spesso dando anche lavoro agli altri. Uno di questi peraltro è Beppe Grillo, dunque se pensate che tutti i ricchi siano ladri forse avete sbagliato movimento.

A questo punto è chiaro che non è realisticamente possibile per noi ripagare il nostro debito. Veniamo dunque alle maniere forti, ovvero “cambiamo le regole dell’economia”: una combinazione di 1) non ripagare i debiti e 2) ripudiare in tutto o in parte le regole dell’economia occidentale.

Un buon modo per non ripagare i debiti è farli pagare agli altri, ad esempio facendoci sovvenzionare da tedeschi e francesi (o dal Fondo Monetario Internazionale) o trasformando il nostro debito in Eurobond garantiti da loro, contando sul ricatto di “se no falliamo e vi va ancora peggio”, o rinegoziando il credito verso di loro, stile Argentina. Può darsi che funzioni, ma scordatevi che Merkel e soci lo facciano col sorriso sulle labbra e senza chiedere niente in cambio. Chiederanno appunto tutte quelle misure per cui critichiamo Berlusconi: licenziamento di dipendenti pubblici, taglio alle pensioni passate e future, chiusura di servizi pubblici. D’altra parte, se a voi chiedessero di tirar fuori 500 euro per permettere a greci o portoghesi di continuare a vivere a debito, cosa rispondereste?

Un altro modo per non ripagare i debiti è fallire e basta, dire ai creditori “sai che c’è? non ti pago” – magari pure in modo selettivo, cioè prima ripago i cittadini italiani che avevano in mano i miei BOT, e poi se avanza qualcosa per banche e governi stranieri vediamo. In questo si inserisce il filone “nazionalizziamo le banche e non paghiamo i debiti esteri come ha fatto l’Islanda”, che francamente continuo a non capire.

L’Islanda non ha certo nazionalizzato le banche perché vuole passare ad una economia socialista in stile Venezuela, ma perché l’alternativa era che fallissero portandosi con se i risparmi di tutta la nazione. Non c’è niente di sovversivo in questo: l’ha fatto pure, anche se parzialmente, Obama con Bank of America (la più grande banca americana). Anche la maggior parte delle banche italiane sono in rosso: nazionalizzare queste banche vorrebbe dire accollarsi altri debiti, non certo arricchirsi.

L’altro punto, però, è che l’Islanda non ha pagato i debiti esteri DELLE BANCHE, non i propri. E a buon diritto: ha detto ai creditori stranieri “voi avete investito in una azienda privata che è andata gambe all’aria e come è normale avete perso il vostro investimento, ci spiace ma il rischio d’impresa era vostro”. L’Islanda oltretutto non è né dentro l’Euro né dentro l’Unione Europea, quindi non è nemmeno soggetta alle garanzie del mercato unico intra-europeo; infine, l’Islanda è duecento volte più piccola dell’Italia e dunque le cifre in gioco erano relativamente irrisorie (4 miliardi di euro in tutto). Per questo motivo alla fine l’Islanda ne è uscita relativamente bene… ma il debito pubblico dello Stato italiano è cosa molto diversa.

Io penso che in una situazione del genere ci troveremmo gli aerei della NATO in casa, ma se anche così non fosse, il minimo è un embargo commerciale, che per un paese che vorrebbe vivere di turismo ed esportazioni è il bacio della morte; e poi, ovviamente, saremmo buttati fuori dall’Unione Europea e dall’Euro. Questo, per alcuni, fa parte del piano: ci liberiamo dell’Euro, così riconquistiamo la nostra “sovranità monetaria” e possiamo fare come abbiamo sempre fatto fino a vent’anni fa, cioè stampare moneta per continuare a pagare stipendi e pensioni, e svalutare la nostra valuta per migliorare la nostra competitività. Sai che boom nelle esportazioni, finalmente avremmo la ripresa!

Permettetemi di avere qualche dubbio anche su questo: una ipotetica “pizza de fango de Roma”, come sarebbe la nostra nuova valuta, varrebbe poco e continuerebbe a valere ancora meno man mano che il governo la svaluta o ne stampa per far fronte ai propri impegni, con il serio rischio di una iperinflazione stile Zimbabwe o Germania di Weimar. Tutti quelli che vivono dei risparmi o delle pensioni del nonno sarebbero velocemente in mezzo a una strada.

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Inoltre, l’Italia è tanto un bel Paese ma è praticamente privo di risorse naturali. Il gas che ci serve per scaldarci, il petrolio che ci serve per produrre la nostra elettricità, per spostarci e per non trovare gli scaffali dei supermercati vuoti, devono essere comprati all’estero – in dollari o in euro. Più la pizza de fango si svaluta, più i prezzi di tutto aumenteranno, a maggior ragione se ci siamo fatti troppi nemici in giro per il pianeta. Perché vedete, Chavez può fare il cacchio che gli pare perché ha il petrolio pure nella tazza del cesso… noi no.

A questo punto, comunque, potremmo riuscire a sopravvivere, come sopravvisse l’Italia del periodo autarchico fascista. Per esempio, potremmo completare l’opera e nazionalizzare le aziende straniere; saremo poveri ma saremo liberi e giusti, bloccando le delocalizzazioni e gestendo quel po’ che c’è nell’interesse di tutti e senza più essere costretti a tagliare i servizi sociali o ad allungare l’età pensionabile solo per ripagare i banchieri della City… no?

Ecco, tutto quello che avete letto finora in realtà dimenticatelo, sono problemi minori. Perché anche se potessimo ricominciare domani mattina da capo, senza debiti e senza sfruttatori, resterebbe una piccola questione da risolvere – quella che ci ha portato fin qui. Basta andare sul sito Istat, sezione “Lavoro”, per scoprire che in Italia ci sono circa 60 milioni di residenti, in parte stranieri, ma solo 23 milioni di occupati, di cui 18 milioni di lavoratori privati, in buona parte ormai precari e sfruttati. Questi 18 milioni producono la ricchezza che mantiene non solo gli odiati padroni, ma anche tutti gli altri, e cioé: 5 milioni di dipendenti pubblici, che svolgono lavori spesso fondamentali (talvolta no) ma istituzionalmente in perdita; 7 milioni tra bambini, ragazzi e studenti universitari; 2 milioni di disoccupati “ufficiali”; 12 milioni di inattivi per altro motivo, ovvero disoccupati “non ufficiali” e casalinghe; e 17 milioni di pensionati, di cui 5 con meno di 65 anni di età. Il nostro tasso di occupazione è insomma il più basso dell’UE a parte Malta e Ungheria, e si aggiunge a uno Stato sprecone e spendaccione come nessuno.

Per questo, quando io sento che la luminosa via della rivoluzione di piazza prossima ventura permetterà non solo di mantenere tutte le attuali prerogative, ma anche di aggiungerne di nuove – ad esempio il tanto evocato “reddito di cittadinanza”, perché è giusto che chi non lavora abbia comunque dei soldi dalla collettività per mantenersi – ecco, mi vengono i brividi. Chi ve lo dice, o è ingenuo e non ha fatto i conti (se ha dei conti è pregato di tirarli fuori, magari mi convince), o vi sta prendendo per il culo, magari perché agitare la folla fa sempre bene alla propria immagine pubblica.

Una economia che parte su queste basi, evasione o no, corruzione o no, non può che generare istituzionalmente debito, e non reggersi in piedi (se non in particolari periodi . E dunque non se ne esce, prima o poi il problema di tagliare le pensioni, il pubblico impiego e in generale la spesa pubblica va affrontato, senza diritti acquisiti per nessuno, così come quello di far sì che gli italiani lavorino tutti e di più; per questo ho molto apprezzato che Grillo, anche se molti hanno fatto finta di non sentire, l’abbia detto chiaramente.

Questo vuol dire che l’economia internazionale va bene così, e che dobbiamo cavarci il sangue e buttarci tra le braccia del Fondo Monetario Internazionale? Assolutamente no, anzi più riusciamo a tener lontana quella gente meglio è. Vuol dire però che dobbiamo essere realistici, e che nessuno potrà chiamarsi fuori dai sacrifici che andranno fatti; potremo pretendere equità e solidarietà – e per averle è necessario cacciare l’attuale classe politica – ma non potremo dire “noi la crisi non la paghiamo”… anche perché abbiamo goduto tutti di trent’anni di società drogata dal debito, e se abbiamo permesso, col voto e con l’acquiescenza, che alcune parti della società ne godessero molto più di altre, è anche colpa nostra.

Cosa succederà veramente non lo sa nessuno; magari una crisi globale ci grazierà, assorbendo anche la nostra; magari l’Italia si spaccherà, il Nord nell’Euro e il resto nel fango; magari, dopotutto, la via dell’autarchia sarà l’unica possibile; sono convinto che ci sarà da soffrire ma che sarà anche una chance storica per costruire un’Italia stabilmente migliore. Per il momento, io vorrei soltanto pregarvi di non ridere troppo di Berlusconi, perché comunque neanche Superman saprebbe come ripagare il debito pubblico italiano; e perché presto, a sbattere la testa al posto di Berlusconi, ci saremo tutti noi.

[tags]manovra, economia, debito, berlusconi, grillo, finanza, bilderberg, signoraggio, moneta, euro, tasse[/tags]

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martedì 23 Agosto 2011, 18:46

L’era del baratto

Circola in questi giorni per la rete una parabola, riportata anche da Byoblu, che parla di economia. Sostiene che la crisi economica non esista, ma che sia indotta dall’esistenza degli intermediari, che in quanto speculatori e parassiti lucrano alle spalle dei lavoratori e che li affamano per guadagnare alle loro spalle, arricchendosi senza faticare; e che la soluzione della crisi sia eliminare le sovrastrutture – gli intermediari, il commercio, il mercato – e ritornare all’economia del baratto.

Indubbiamente la distanza tra finanza (moneta) ed economia (lavoro) è alla radice della crisi globale, con numerosi sotto-problemi: l’uso del debito per mantenere un livello di vita ingiustificato, la manipolazione dei prezzi di beni essenziali a fini speculativi, la gestione delle risorse e delle industrie con ottiche di breve anziché di lungo termine, l’accumularsi di rendite di posizione ingiustificate, la mancanza di democrazia e di garanzia del pubblico interesse nella finanza globale, compreso il tema della sovranità monetaria.

Tuttavia, io sono preoccupato dall’offerta di soluzioni semplici, stile “ci sono i cattivi, prendiamoli, cacciamoli, e tornerà l’età dell’oro”. L’odio per la finanza, equiparata per principio alla speculazione, non è nuovo e ritorna ciclicamente in ogni momento di crisi; fu per esempio la base per l’affermarsi del nazismo e dell’antisemitismo.

La parabola del baratto è seducente, perché prospetta una soluzione semplice e perché si riallaccia alla nostalgia per il passato, per la ricchezza di cui l’Italia godeva quando eravamo giovani e per una presunta età dell’oro in cui gli uomini vivevano liberi e felici in armonia con la natura – anche se, a ben vedere, l’Italia della dolce vita non era una civiltà agreste, ma una potenza industriale in pieno boom; nell’Italia agricola abbiamo trascorso secoli a scannarci e a morire di fame.

La verità è che la nostra è una società complessa e che può sopravvivere soltanto grazie a tale complessità, di cui la finanza è una componente imprescindibile. Fin che si parla di frutta, formaggio, mobili e indumenti si può pensare ad una economia fondata solo sul baratto, a patto naturalmente di vivere in una parte del pianeta dove coesistano naturalmente grano, frutta, pecore e legno, cosa che può essere vera per l’Italia ma non per tante altre parti del mondo. Ma io vorrei chiedere a Byoblu come ci si può procurare per baratto, ad esempio, una automobile, o un qualsiasi mezzo di trasporto più evoluto del cavallo; oppure un telefonino o il computer con cui ha scritto il suo post, o il pannello solare che dovrebbe rappresentare la nostra sorgente di energia rinnovabile per il futuro, o le grandi infrastrutture come ferrovie, autostrade e reti di telecomunicazione, o i farmaci di sintesi e le apparecchiature mediche avanzate che ci hanno permesso di raddoppiare la nostra aspettativa di vita.

La nostra società – prima ancora che la nostra economia – si basa infatti su oggetti estremamente complessi, che possono essere realizzati soltanto mettendo insieme risorse naturali sparse per il pianeta e competenze superspecializzate, e che spesso richiedono un investimento collettivo enorme, fuori della portata di qualsiasi singolo, che richiede a sua volta l’esistenza di strumenti per astrarre la ricchezza degli individui, metterla in comune e usarla per sostenere l’investimento, ripagandolo poi in qualche modo: appunto, la moneta e la finanza.

L’esistenza di storture e ingiustizie nella finanza mondiale è indubbia e va affrontata in modo nuovo, senza avere paura di cambiamenti anche profondi nelle regole della nostra economia. Strumenti (finanziari!) come la moneta complementare locale, ad esempio, possono ridurre il potere della finanza globale sulle nostre vite e sui nostri territori; dinsincentivi e limiti alle leve finanziarie, agli arbitraggi speculativi, alla delocalizzazione delle attività, all’arricchimento sul lavoro altrui, sono concepibili e opportuni. Lo stesso baratto è un’ottima cosa dove possibile, perché porta a riusare oggetti anziché produrne di nuovi e a ridurre le distanze percorse dai beni. Questo però non vuol dire che tutta l’economia possa funzionare così e che si possa tornare ad una società senza finanza, senza commercio e senza moneta – a meno che veramente non si voglia vivere in un mondo in cui un maglione di lana è l’oggetto più complesso di cui disponiamo.

[tags]economia, finanza, baratto, moneta[/tags]

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