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Archivio per la categoria 'StillLife'


mercoledì 22 Agosto 2007, 00:07

Meteoromanzia

In questi due giorni sono uscito di casa varie volte.

Una volta, ieri a pranzo, ho inforcato la bici; ho fatto appena in tempo ad arrivare al mio appuntamento che ha cominciato a piovere, e ho dovuto ritornare indietro sotto la pioggia e poi per strade allagate dal temporale (in piazza Rivoli l’acqua arrivava a mezza ruota).

Un’altra volta, oggi a pranzo, sono uscito a piedi – visto che non pioveva – per andare a un appuntamento in piazza Massaua, a due minuti di distanza. Sono salito sull’auto del mio corrispondente mentre cadevano le prime gocce. Al ritorno, sono stato accompagnato proprio davanti a casa, ma mi sono lo stesso lavato nei venti metri fino al cancelletto di casa mia (intelligentemente collocato all’aperto e senza protezione).

Così stasera, quando sono uscito per andare al pub, ho deciso che non mi sarei fidato: aveva smesso di piovere da un po’, ma ho ugualmente preso l’auto che avevo previdentemente messo in garage. Naturalmente, negli otto minuti netti di macchina da casa mia a piazza Arbarello si è scatenato una specie di tifone caraibico che ha rovesciato ondate d’acqua su tutti i presenti. E io mi sono bagnato un po’ scendendo dalla macchina; ma poco, perché avevo l’ombrello. Tiè, Giove Pluvio!

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martedì 21 Agosto 2007, 12:23

Zanzare

Stanotte ho avuto a che fare con un modello di zanzara assassina.

Per prima cosa, non si sa da dove sia entrata, visto che tutte le finestre erano chiuse da ben prima che calasse il sole e dovessi accendere le luci.

Ma soprattutto, adottava una tattica da killer: in pratica, finché la luce era accesa e stavo leggendo non si faceva vedere; spenta la luce, dopo qualche minuto, mentre ero già praticamente addormentato, improvvisamente la sentivo planare su di me. Essendo ancora piuttosto sveglio, accendevo di colpo la luce, e… la zanzara spariva: si nascondeva da qualche parte e non si muoveva più. Ma dopo aver spento la luce, ed essermi quasi addormentato, riappariva di colpo per attaccare.

Dopo un po’ di ripetizioni della scena, stavo quasi per lasciar stare e farmi mordere, in premio per l’astuzia; poi però ho pensato che se questa zanzara l’avesse avuta vinta, si sarebbe riprodotta e avrebbe dato vita a una mutazione di zanzare che evitano di esporsi alla luce, e sono quindi molto più difficili da eliminare per noi umani. Così mi sono messo d’impegno, e alla fine, senza accendere la luce, sono riuscito a beccarla quando ho sentito che mi stava pungendo su una mano. L’umanità è salva!

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giovedì 16 Agosto 2007, 19:54

Security (2)

Dunque, dicevamo come le procedure di sicurezza per entrare negli Stati Uniti siano disumane; anche quelle per uscire, però, non sono male.

In particolare, dopo aver effettuato il check-in a LAX, mi è stato detto che dovevo riprendermi la valigia e portarla personalmente al controllo di sicurezza. Fatta la coda, ho consegnato la valigia e mi è stato chiesto se la serratura fosse aperta; ovviamente non lo era, visto che le valigie aperte vengono spesso saccheggiate durante il trasporto.

Il poliziotto mi ha guardato come se fossi uno spacciatore, e mi ha mostrato un cartello che offriva ai viaggiatori le tre seguenti opzioni:
1) Lasciare la valigia aperta;
2) Utilizzare una serratura “approvata dal governo americano”, che presumibilmente vuol dire che ha un sistema di passepartout che permette ai poliziotti di qualsiasi aeroporto americano di aprirla a tua insaputa;
3) Accettare il fatto che la serratura potrebbe essere spaccata dai poliziotti per controllare cosa c’è dentro.

Io ho cominciato a protestare, e dopo un po’ di discussione la risposta è stata: va bene, allora aspetta dall’altro lato del passaggio, così puoi vedere se la valigia passa il controllo o se la devi aprire.

Vado dall’altro lato del posto di controllo e mi metto a guardare gli inservienti, per vedere quand’è che arriva la mia valigia. Errore mortale: mi si precipitano addosso due altri poliziotti, e mi intimano sgarbatamente di andare via, e stare oltre il nastro. Io mi metto prontamente oltre il nastro… e scopro che da quella posizione si vede ancora meglio cosa fanno i controllori; però sono oltre il nastro e non possono dirmi nulla.

Dopo qualche minuto, vedo la mia valigia uscire dalla macchina a raggi X, e ovviamente viene selezionata per il controllo. In tre la poggiano su un tavolino, e cominciano a spingere sui pulsanti a scatto per aprirla. Non ci riescono… e non hanno alcuna intenzione di chiedere la chiave. Intuendo cosa sta per succedere, mentre uno dei tre si dirige a prendere un martellone dall’altro lato del tavolo, tiro fuori la chiave della valigia, la alzo sopra la mia testa e comincio a fare ampi cenni, gridando “Key! Key!”. Riesco appena in tempo a richiamare l’attenzione di uno degli inservienti, che viene fino al nastro a prendere la chiave.

Seguono cinque minuti in cui una gentile signorina mette le mani ovunque nella mia valigia. Temo che ci saranno problemi, visto che ho acquistato vari libri, di cui uno chiaramente sovversivo. Invece, alla fine richiude la valigia, e mi riporta persino la chiave. La valigia viene portata via per l’imbarco, mentre io vado ai controlli di sicurezza (mi tolgono anche le scarpe, ma ormai non ci faccio più caso).

Tra l’altro, cosa degna di nota, per la prima volta mi hanno fermato anche a Francoforte, alla dogana nel passaggio tra lato non-Schengen e lato Schengen: mi hanno fatto aprire il computer e si sono assicurati che fosse vecchio e italiano. Col dollaro debole, penso che comincino a stare attenti alla gente che compra elettronica durante i viaggi agli Stati Uniti.

Chiudo con un aneddoto carino: ancora a LAX, dopo i controlli, sono andato ad attendere l’imbarco in una splendida lounge, quella da cui ho postato la puntata precedente. Ero lì spaparanzato godendomi riso e gamberi e birra Kirin dal buffet giapponese, quando arriva una famigliola abbronzatissima, padre madre e due bambini. Dal loro comportamento, e non appena aprono bocca, li riconosco subito: sono un temutissimo esemplare di venditori di cessi della Brianza. Parlano a voce altissima disturbando tutti i presenti; commentano tra loro “Uè, cazzo, guarda quanti giapponesi” e “Figa, ma c’è la birra gratis!”, mentre il dodicenne viziato, con i suoi vestiti firmati, comincia a rompere le scatole a voce altissima, facendo osservazioni quasi più stupide di quelle di suo padre. Poi i quattro si avvicinano al banco e imboscano banane e lattine di coca-cola, che tanto gli sequestreranno all’imbarco.

Di fronte a tanta calamità, insensibili alle occhiate disgustate del mondo civile, il giunonico staff tedesco della lounge non può restare indifferente. E così, a un certo punto una hostess crucchissima passa dalla ragazza giapponese dietro di me, le chiede “Frankfurt?”, la ragazza risponde di sì, e la hostess le dice: “I would like to inform you that unfortunately we are slightly late, we will board ten minutes later.”. La giapponese annuisce; la hostess viene avanti, arriva da me, mi chiede “Frankfurt?”, io rispondo di sì, e dice anche a me la stessa frase. Va avanti così con tutti, finché non arriva dagli zotici, al che dice: “Frankfurt?”. Quelli, con un tono di voce che sveglierebbe un morto, rispondono “Yes!”, e lei: “I would like to inform you that we are boarding right now, please follow me immediately!”.

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mercoledì 15 Agosto 2007, 21:29

L’Italia si schiera

Il tassista che mi ha riportato a casa poco fa aveva sul cruscotto un adesivo di Valentino Rossi, e stava ascoltando un CD di Zucchero. L’Italia popolare si è schierata!

(Comunque, stavolta hanno ragione loro: sia Rossi che Zucchero…)

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mercoledì 15 Agosto 2007, 03:16

Security (1)

Ci sono vari motivi per non venire negli Stati Uniti, ma uno è particolarmente pressante: la difficoltà tremenda per entrare ed uscire da questo paese.

All’andata, atterrati a LAX dopo tredici ore di volo, ci siamo prima dovuti subire venti minuti parcheggiati a terra, perché tutte le baie erano piene; dopodiché, una volta sbarcati, siamo stati scaricati in una specie di girone dantesco, ossia un enorme salone brulicante di gente, sbarrato da una fila di una cinquantina buona di sportelli, accoppiati a due a due su una doppia fila. Ogni quattro / sei sportelli c’è una coda, e già all’ingresso nel salone gli inservienti in divisa ti invitano con voce monotona ad andare avanti e ad infilarti in questa o quella massa umana.

Le code per i cittadini americani non sono brevi, ma quelle per il resto del mondo sono inumane: noi, giovedì, abbiamo fatto un’ora e mezza di coda, in piedi, lungo una serpentina di nastri che pareva non andare mai avanti, in un salone sovraffollato dove ci saranno stati quaranta gradi. Io stavo svenendo dal sonno, visto che ero completamente laggato; per fortuna ero in coda con il mio collega portoghese Francisco, che è un gran parlatore e ha mandato avanti la conversazione da solo.

Una volta giunti allo sportello, poi, il poliziotto – che non alza quasi mai gli occhi dal terminale – ti chiede come ti chiami, e perché vuoi entrare negli Stati Uniti, detto con un tono che significa “Perché vieni qui a rompere le scatole?”; e poi, “When are you getting back home?”, cioè “Quando te ne vai?”. Francisco – un pazzo – gli ha fatto la battuta, rispondendo “As soon as possible”; pensavo lo portassero via, ma il poliziotto si è limitato a guardarlo male e a rispondere “Sure, everyone should stay at home.”.

Insomma, si tratta di un sistema al limite dell’inumanità, che talvolta viene bellamente superata; come quando domenica pomeriggio si è piantato il server dell’immigrazione, e circa seimila persone sono rimaste in coda nel salone, ferme, per tre ore, o addirittura non sono state nemmeno lasciate scendere dagli aerei (perché una volta che sei a terra, in teoria, puoi chiedere asilo).

Va detto, tuttavia, che non si tratta tanto di cattiveria, quanto di una cultura in cui l’aspetto personale viene completamente cancellato, e le persone non vivono: funzionano. Ci sarebbe molto da dire su questo aspetto, e il racconto dei controlli di sicurezza non finisce certo qui, ma ora stanno imbarcando il mio volo, per cui devo andare!

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domenica 12 Agosto 2007, 02:53

Sembra facile

Come vi dicevo, sono a Los Angeles per due giorni di meeting del Board di ICANN, visto che nessuno è riuscito a convincere gli americani che a Ferragosto il pianeta deve chiudere per ferie. Il meeting finisce stasera (mentre scrivo, qui è sabato pomeriggio), e, avendo fatto tutto il viaggio fin quaggiù, mi sono preso la domenica libera prima di tornare… poi ho preso anche il lunedì, perchè martedì ci sono due conference call che farò da qui e che altrimenti avrei mancato. (Prima che maligniate, le due notti di Travelodge le pago io, e anche la macchina che tocca affittare per muoversi in codesta città.)

Dunque, essendo per due giorni in una delle città più famose, eleganti e brutte del pianeta, mi son detto: fosse che c’è qualche evento interessante? C’era: perchè domani sera, a cinquanta chilometri da qui (quindi sempre dentro la città), suonano i Deep Purple; li ho mancati quando sono venuti in Italia in primavera, e non è male l’idea di vederli ancora una volta prima che vadano in pensione.

L’unico problema è stato comprare il biglietto.

Difatti, gli efficientissimi americani fanno tutto via Web: e così, ancora in Italia, vado sul sito di Ticketmaster e faccio tutta la trafila. Il sito di Ticketmaster è una buffa imitazione di una coda vera; in pieno delirio efficientista, ogni singola pagina del processo di vendita ha un tempo che scorre, partendo da uno o due minuti. Se non completi l’inserimento dei dati prima che scada il tempo, la prenotazione viene interrotta e ti tocca ricominciare da capo; questo anche se sono le due di notte e sei l’unico su tutto il pianeta che sta cercando di prendere un biglietto per quell’evento. In più, a seconda del momento, il sito ti dà disponibilità a caso: una volta trovi la quarta fila, tre minuti dopo c’è solo la trentesima, cinque minuti dopo ti dice che sono esauriti e poi ti rioffre la quarta fila.

Riuscito finalmente a digitare i dati abbastanza in fretta, arrivo in fondo e… il sito si pianta: scopro difatti che non è possibile vendere i biglietti a chi non ha una carta di credito con un indirizzo negli Stati Uniti o in Canada. Come ci si può fidare di carte di credito di paesi strani e misteriosi, tipo la Germania o l’Italia? E così, il sito comincia a rimbalzarmi all’infinito, finché mi arrendo.

Il posto dove si terrà il concerto, il Pacific Amphitheatre, non ha una propria biglietteria online; eppure, a forza di cercare, trovo un modulo di contatto per la Fiera di Orange County, che lo ospita. Poco prima di partire, senza troppa convinzione, lascio un messaggio spiegando il problema.

Capirete la mia sorpresa quando ieri mattina, arrivato qui, trovo una gentile mail che non solo risponde alla mia, ma non mi manda a stendere; e vi garantisco che per gli Stati Uniti, dove tutto è una procedura standardizzata, è davvero strano. La signorina Danielle mi invita a rispondere fornendo i miei dati, in modo che possa emettere un biglietto e lasciarmelo allo sportello del Will Call (nei paesi anglosassoni si usa tenere i biglietti in biglietteria, per farli ritirare il giorno dell’evento).

La mail è di giovedì mattina; sono passate ventiquattr’ore; io rispondo subito. Dopodiché, aspetto; e non arriva risposta. A pranzo, ancora niente. La sera, nulla di nulla. Sarà mica che Danielle ha preso il venerdì libero? Nella sua mail c’è un numero di telefono, e allora corro in camera per telefonare.

E qui, scopro che non posso: per qualche motivo, i due telefoni della mia camera d’albergo a cinque stelle non mi permettono di fare chiamate. Pigiato il 9 per uscire, pigiato l’1 per le interurbane, composta qualche cifra del numero, il telefono si mette a fare strani suoni. Paciocco un po’ con i tasti e la cosa peggiora ulteriormente, nel senso che il telefono addirittura si pianta. Arriva l’ora di cena (le 18) e devo andare.

Stamattina, ancora nessuna risposta; mando una gentile mail di sollecito, per sapere se il mio primo messaggio è arrivato; ancora nulla. Nella pausa pranzo, torno in camera e riprovo a telefonare; ancora casini telefonici. Pigio il pulsante della reception, parlo un po’ con l’impiegata, che alla fine resetta qualcosa: posso telefonare. Peccato che non risponda nessuno: Danielle sarà presumibilmente in vacanza, o addirittura ammalata, morta, traslocata su Marte. Vedo immagini di me aggrappato ai cancelli dell’arena che faccio gli occhioni come il gatto con gli stivali di Shrek, mentre tutti dentro si dimenano al ritmo di Highway Star.

Per fortuna, arriva il colpo di genio: scopro nelle pieghe del sito un altro numero di telefono. Chiamo, e risponde Ticketmaster; la vocina automatica mi chiede se voglio biglietti per Stevie Wonder. No, grazie, e allora mi metto in coda per l’operatore, subendomi una voce registrata che per vari minuti mi dice che “we will be with you in a moment”, e nel frattempo mi magnifica le varie cose che posso comprare da loro. Alla fine, risponde una signorina, che, fatidicamente, mi dice che al telefono (ma non dal web) accettano anche le carte di credito straniere. Alleluja: dopo dieci minuti di spelling (provate voi a far capire “Fenoglio” a un messicano che parla in inglese) mi confermano il biglietto. Rinfrancato e vincitore, torno nel meeting e, giusto per scrupolo, mando una terza mail a Danielle, che – se mai resuscita – non mi faccia il biglietto.

Trenta secondi dopo, mi arriva la risposta: “Ah, ok, allora non te lo faccio più!”. Ma porco cacchio! Ma allora sei stata un giorno e mezzo davanti alla mail senza rispondere! allora sei bastarda dentro!

Due ore dopo, arriva un’altra mail da Dave, sempre dello staff della fiera, che si offre di farmi un biglietto, e comunque mi dice che c’è ancora parecchio posto, certamente non faranno l’esaurito, e potrei fare senza problemi il biglietto la sera stessa. Ma non potevate dirmelo subito?

Bon, insomma: vediamo se riuscirò a vedere questo concerto; domani mattina prendo un’auto qui a Santa Monica, mi faccio il mio giretto del circondario – magari vado anche al Getty Museum, che sta in un posto impossibile lungo l’autostrada – poi faccio il check-in all’albergo e mi reco a Costa Mesa: incrociate le dita per me.

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sabato 11 Agosto 2007, 22:41

Get a Mac

La buona notizia ̬ che anche Vint ̬ appena passato al Mac Рun Powerbook da quindici pollici.

Quella cattiva è che persino per lui la curva di apprendimento si è rivelata un po’ troppo appuntita… in particolare, ha vinto contro il sistema di regolazione della risoluzione dello schermo, ma è stato sconfitto – come anche io – dalle imperscrutabili profondità di Adium.

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martedì 7 Agosto 2007, 16:12

Scorrerà il sangue

A margine della mia visita alle Gru, ho scoperto una cosa molto interessante: a brevissimo (già sono iniziati i lavori, ed è stata cambiata l’insegna esterna al complesso) la vecchia Rinascente verrà sostituita da un nuovissimo negozio Fnac.

MediaWorld, tradizionale bastione elettronico del centro commerciale, si sta già preparando: ha appena ristrutturato tutto il negozio spostando ogni cosa in modo da renderla introvabile.

Non appena Fnac aprirà, scorrerà il sangue; sperabilmente a vantaggio di noi consumatori.

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martedì 7 Agosto 2007, 14:58

Agosto a Torino

Oggi avrei potuto anche non uscire di casa: il tizio da cui dovevo ritirare gli abbonamenti del Toro per l’anno prossimo era già andato in ferie; la biglietteria del Comunale, senza preavviso, stamattina era chiusa e così non ho potuto fare il biglietto per la partita di stasera; e nessuno dei negozi delle Gru aveva Guitar Hero Rocks The 80’s (che invece l’altra settimana a Londra era già ovunque, e la data di uscita è la stessa).

In più, quando sono uscito dalle Gru si era messo a piovere: forse dovrei davvero scappare dal clima monsonico dell’estate italiana, e andare in luoghi dal clima più favorevole – tipo Londra, dove in tre giorni non s’è vista una nuvola, e c’erano venticinque gradi e brezza costante.

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venerdì 3 Agosto 2007, 03:09

Le chiavi della macchina

Dunque, supponete di aver passato tutta la serata a preparare il nuovo viaggio, mettendo la roba nella borsa, stampando le mappe per arrivare nei vari luoghi, caricando tre o quattro strumenti elettronici di vario genere, e nel frattempo rispondendo pure alle mail arretrate.

Dopodiché, sono le undici (in confronto alle nove, ora a cui volevate andare a dormire) e avete finito tutto: ultima cosa, preparare il marsupio. E così, dopo aver tolto una manciata di chiavi e antifurto di casa che non val la pena di portarsi dietro, fate il controllo finale e scoprite che mancano le chiavi della macchina.

Ora, si sa che perdere le chiavi delle Alfa 147 è uno sport molto diffuso tra i blogger: del resto, io ho perso il primo mazzo tre giorni dopo che me l’hanno consegnata, e in un anno e passa non sono mai andato a farmelo rifare, girando con l’unico rimasto: quello che appunto è sparito.

Controllati i posti più ovvi – tasche dei pantaloni, altre borse e così via – l’ipotesi più sensata è che il mazzo sia stato dimenticato dentro la macchina, in garage. Peccato che, come ormai da due settimane, il mio ascensore sia rotto; e che al mio arrivo io mi sia già dovuto fare per due volte (causa quantità di materiale) otto piani a piedi in salita con valigie e borse di vario genere.

Eppure, non posso certo scendere domani mattina alle tre con il rischio che poi le chiavi non ci siano; e quindi, mi tocca rivestirmi alla bell’e meglio e affrontare per la terza volta gli otto piani di scale, per andare fino in garage a recuperarle. Scendo, apro il garage, e… non ci sono: la macchina è chiusa, e non c’è traccia delle chiavi. Comincio a preoccuparmi seriamente.

Mugugnando piani alternativi, rifaccio otto piani in salita cercando di pensare a dove possano essere finite le chiavi. Per farla breve… alla fine, quel coso nero nel mazzo di chiavi tolte dal marsupio, che sembrava proprio l’antifurto di casa di mia mamma, era in realtà il mazzo di chiavi della 147. Sembra proprio che stanotte non ci sia verso di dormire più di quattro ore scarse…

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