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lunedì 3 Agosto 2009, 16:14

Fischia il vento

Agosto è sempre un periodo politicamente interessante: proprio perché gli italiani sono già al mare, distratti e spensierati più del solito, è il momento in cui i politici si dedicano alle proprie faccende. Abbiamo così visto come la semplice minaccia della nascita del partito del magna-magna meridionale, con la fuoriuscita dal PDL della maggior parte dei suoi parlamentari del Sud, sia stata sufficiente a far calare le brache a Tremonti: e così via di altri faraonici stanziamenti per opere inutili (che in gran parte andranno nelle tasche di mafia e camorra) e per assistenza di vario genere, senza capire che l’esistenza di un terzo abbondante del Paese che vive in una economia di tipo africano, basata essenzialmente sugli aiuti a fondo perduto che provengono da fuori, non è più fisicamente sostenibile.

Un’altra notizia interessante è la rottura dell’accordo tra Rai e Sky per la trasmissione satellitare dei canali Raisat: l’ente pubblico ha preferito rinunciare a 350 milioni di euro (tanto mica sono suoi, sono nostri) pur di privare Sky di un po’ di contenuti e di spostarli sulla piattaforma satellitare Rai-Mediaset. Ormai le due aziende sono definitivamente una cosa unica; e il controllo sull’informazione è totale.

Giusto per fare un possibile esempio, ieri sera il TG5 apriva con un fantastico servizio sulla commemorazione della strage di Bologna con annessi fischi al ministro Bondi (peraltro le parole “ministro” e “Bondi” fianco a fianco fanno sempre un certo effetto), che conteneva due perle: la prima era quella in cui il giornalista dichiarava che la contestazione al governo è “una consuetudine che si ripete di anno in anno”, cercando di minimizzare il fatto che ormai i berluscones, in qualsiasi piazza vadano, vengono presi a fischi e pomodori da quella che sarà pure una minoranza ma è sempre più evidente ed agguerrita, anche se non ne vedrete mai mezza immagine in un telegiornale Raiset. La seconda invece era quella in cui un altro giornalista abbracciava le dichiarazioni di Capezzone (nel senso che riportava solo quelle o altre similari) e accusava i contestatori di intolleranza verso chiunque osi criticare il “dogma politico-giudiziario secondo cui la strage fu fascista”.

Ovviamente non è un dogma, ma una sentenza, giunta dopo lustri di indagini; la strage di Bologna fu commessa da terroristi di estrema destra, e se è vero che vi sono dubbi su chi fossero i loro mandanti, la loro responsabilità come esecutori materiali è stata accertata dalla legge. Qui, però, qualsiasi verità scomoda viene fatta passare come un complotto contro il regime, mentre qualsiasi falsità utile viene presentata come verità. Il dramma comunque non è tanto che loro ci provino, ma che milioni di italiani ancora vadano loro dietro; che quando qualcuno prova ad aprire loro gli occhi, anche presentando prove, filmati, immagini, testi che sono ormai ampiamente reperibili su Internet, ti rispondano docilmente con la verità del TG123456, cioè che è tutto un complotto, che i problemi sono ben altri, che anche chi protesta ha i propri scheletri nell’armadio, che protestare danneggia l’economia e il brillante futuro dell’Italia.

Concludiamo con l’ultima notizia: da domani La Stampa aumenta il prezzo del 20%, da 1 a 1,20 euro. Il neo direttore Calabresi in tre mesi è riuscito a fare un giornale pessimo, senza dignità nè indipendenza, sdraiato a sostegno di qualsiasi potere forte si possa immaginare (da Berlusconi al Vaticano), e pronto a raccontare mezze verità e intere bugie senza alcun ritegno. Io ne riporto solo una ogni tanto, quando mi capita, eppure finisce che ne smaschero in media un paio a settimana… Inserite tutto questo nello scenario di crisi senza ritorno dei quotidiani di carta, fate le somme (si dice qualche decina di milioni di euro l’anno in negativo, a seconda delle fonti) e capirete perché alla Stampa di carta io dia al massimo due o tre anni di vita, salvo radicali ripensamenti del suo ruolo, costo, stile e formato, o salvo che diventi completamente uno strumento di regime, mantenuto in vita dalle regalie dirette o indirette dello Stato (che già oggi ammontano a svariati milioni di euro annui per ciascun quotidiano) allo scopo di indottrinare i propri lettori.

Calabresi presenta la cosa con un editoriale strappalacrime: sotto il titolo “per difendere la qualità” (involontariamente umoristico), ci dice “noi non taglieremo la redazione di Verbania, però voi fate la vostra parte”, come se dovessimo pagare noi la loro propaganda o i loro vecchi giornalisti, quelli che in qualche caso non vogliono nemmeno imparare a usare un computer e pretendono l’assunzione di appositi stagisti digitatori al loro servizio; figuriamoci poi dialogare per e-mail… A noi torinesi (me compreso) ci frega l’affezione, il restare attaccati a una Torino capitale culturale e industriale che fu e che oggi esiste solo nel nostro immaginario nostalgico e nella propaganda di Chiamparino & C.; e di questo la lettura regolare de La Stampa è una componente essenziale. Eppure, essendo razionali, da domani c’è un buon motivo in più per non comprare La Stampa.

[tags]notizie, informazione, politica, assistenzialismo, rai, sky, mediaset, strage di bologna, contestazione, la stampa, quotidiani[/tags]

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domenica 2 Agosto 2009, 19:04

Giocando coi tubi

Supponete di avere un tubo verticale pieno d’acqua che a un certo punto verso il basso si restringe, dimezzando la propria sezione. La capacità massima di smaltimento del tubo è quella del punto più stretto; se dall’alto viene immessa tanta acqua molto velocemente, non solo si riempirà completamente la parte più stretta del tubo, ma anche la parte più larga comincerà progressivamente a riempirsi “risalendo” verso l’alto. La quantità di acqua che esce dal fondo del tubo in ogni secondo sarà costante; tuttavia, la velocità con cui l’acqua si sposta nella parte più larga sarà la metà rispetto a quella con cui si sposta nella parte più stretta, proprio per mantenere la portata costante.

Ora supponete di frapporre tra il tubo più largo e quello più stretto, proprio nel punto dove vi è la strettoia che agisce da imbuto, un bel bidone, molto più largo di entrambi i tubi. Che cosa succederà? Poco o nulla: la quantità di acqua che esce dal tubo in basso continuerà ad essere la stessa, perché il limite è ancora dato dal tubo più stretto. In compenso, in un momento di grande afflusso, l’acqua, invece di risalire velocemente riempiendo il tubo più stretto, si accumulerà nel bidone; ed essendo il bidone molto largo, l’acqua al suo interno si muoverà molto più lentamente che in entrambi i tubi.

Con questi elementari esperimenti idraulici alla portata di un bambino si può facilmente prevedere quale sia l’effetto a pieno carico di interporre un mastodontico sistema autostradale a cinque corsie – tre del nuovo passante di Mestre e due della vecchia tangenziale – tra le tre corsie che portano da Padova a Venezia e le due che portano da Venezia verso Trieste, Udine, l’Austria, la Slovenia e la Croazia. La portata del tutto, da Padova al Friuli, non è affatto cambiata, perché continua ad essere limitata dal punto più stretto; in compenso, invece di avere traffico più lento ma ancora scorrevole per tutto il tratto da Verona e Bologna fino a Mestre, si è formato un gigantesco blocco di auto nei trenta chilometri subito prima della strozzatura, proprio perché il nuovo passante ha fornito alle auto lo spazio per accumularsi tutte lì invece di rimanere rallentate già molto prima: un bidone da un miliardo di euro.

In più c’è una aggravante: che mentre le molecole d’acqua sono in grado di sfruttare perfettamente ed efficientemente ogni spazio disponibile per scorrere, le auto e gli umani che le guidano non lo sono, e si perde ulteriore portata in attriti dovuti alla propagazione dei tempi per fermarsi e ripartire, alle auto che restano indietro lasciando spazio inutilizzato, a quelli che entrano, escono, litigano, scendono per osservare la coda e via così. Quando una strada si ingorga la capacità non scende linearmente, ma esponenzialmente: il traffico nel bidone largo oltre il doppio di prima non scorre alla metà della velocità, ma a molto meno. Eppure concetti come “in molti casi creare nuove strade e nuovi parcheggi è una spesa inutile, perché si sposterà soltanto più in là l’ingorgo o si indurrà nuovo traffico” sono noti a chiunque si occupi del settore e cominciano ad essere masticati persino dal grande pubblico.

Peccato che, in Italia, le grandi opere non si facciano in base agli studi degli esperti di settore sull’effettiva loro utilità, ma solo in base alla convenienza per chi le deve costruire. Tanto è vero che il prossimo passo del progetto è già stato deciso: costruire sotto la vecchia tangenziale di Mestre altre quattro corsie sotterranee, con una spesa folle di denaro pubblico, in modo da ingrandire ancora il bidone. Ma non temete: la vera colpa del disastro, come dice il governatore Galan, sono “gli ambientalisti ministeriali e gli ambientalisti locali” che hanno impedito di dotare il nuovo tratto degli ottimi Autogrill dei suoi amici Benetton: così si sarebbe potuto restare in coda anche per la toilette!

[tags]autostrade, mestre, idraulica, grandi opere[/tags]

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sabato 1 Agosto 2009, 17:06

Cose buone dal mondo

Come sapete, io compro solo olio Lidl; tuttavia, uno dei passati ospiti della mia casa di montagna ha lasciato in eredità una bottiglia di olio Sasso, e così ho pensato che per condire l’insalata fosse meglio usare l’olio ligure per eccellenza, marchio noto e di qualità.

Peccato che, mentre la bottiglia era in tavola, io abbia notato sull’etichetta la seguente scritta:

“Confezionato per SASSO(R) Via L. Da Vinci, 31 – Tavarnelle Val di Pesa (FI)”

e già questo mi torna poco: il fantastico olio ligure con sede in provincia di Firenze? Poi prosegue:

“nello stabilimento indicato dalla lettera tra parentesi vicino alla data di scadenza”.

Guardo la lettera, e lo stabilimento è il seguente:

“Via Amendola, 56 – Voghera (PV)”.

Beh, fantastico: l’olio ligure con sede a Firenze prodotto a Voghera dev’essere certamente garanzia di qualità. L’etichetta non lo dice, dunque chissà da dove arrivano le olive: magari non sono nemmeno italiane.

Del resto basta fare una ricerchina con Google partendo dagli indirizzi per scoprire che l’olio ligure è prodotto dal gruppo Carapelli, che negli stessi stabilimenti produce anche l’olio Dante e l’olio Bertolli – già della megamultinazionale Unilever – e che è di proprietà di una multinazionale spagnola attualmente sotto inchiesta per speculazioni di Borsa sul proprio stesso titolo. E’ la Fiat dell’olio italiano, dato che negli stessi stabilimenti, cambiando di volta in volta l’etichetta, produce oltre la metà dell’olio nazionale (pardon, confezionato in Italia).

A sto punto, forse è davvero meglio l’onesto olio extravergine Primadonna del Lidl – 2,89 euro al litro, talvolta in offerta a 2,39 – prodotto dall’Oleificio Rocchi di Lucca: sarà davvero peggio dell’olio SassoBertolliDanteCarapelli?

[tags]olio, marchi, sasso, carapelli, lidl, etichette[/tags]

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venerdì 31 Luglio 2009, 20:16

Estate in val d’Aosta (MI)

Le vacanze in Val d’Aosta sono interessanti: stando ben lontano dai centri abitati si è tranquillissimi, ma là dove si raggruppano gli umani ci si ritrova un po’ come nel centro di Milano.

Oddio, in realtà dipende: per esempio ieri siamo scesi giù nella valle (che da giorni è coperta da una cappa di calore inquietante) e siamo andati a visitare il castello di Fenis e poi la mostra The Art Of Games in centro ad Aosta. (Per chi viene da una città, parlare di “centro” ad Aosta sembra superfluo, in quanto l’intera città è racchiusa tra la ferrovia e la montagna e ha un raggio di un chilometro a dir tanto, anche se l’edizione locale della Stampa poi parla di “cintura” per indicare le borgate sparse a mezza costa su per i monti o la zona di capannoni e medi supermercati che ti accoglie tra i prati arrivando dall’autostrada: una terminologia interessante.)

Il castello di Fenis colpisce sempre, con un bellissimo cortile affrescato e il complesso ancora integro (nel senso di ricostruito ma non troppo); e lì, oltre al milanese, senti parlare anche altre lingue italiche e persino francese e spagnolo. La mostra ad Aosta è interessante; in pratica è una esposizione di stampe su tela di concept art di videogiochi e copertine di libri fantasy, tutte molto belle; si vede in mezz’oretta e costa solo tre euro, che per noi sono diventati due perché avevano “finito i biglietti interi”, che non so se sia un segnale di grande successo o di scarso successo, ma all’interno c’eravamo solo noi, dunque niente milanesi. E un giro a piedi per la via principale di Aosta è piacevole, poi ora ho scoperto anche dov’è la fumetteria (l’unica di tutta la val d’Aosta)… dunque suggeritemi fumetti interessanti per l’estate…

Stamattina invece siamo andati al mercato a Champoluc, e lì invece l’invasione bauscia era inesorabile: tanto è vero che il mercato del venerdì di Champoluc è costituito da una dozzina di banchi di alimentari tipici (quasi tutti dalle province di Cuneo, Torino e Biella) e da una cinquantina di banchi di abbigliamento (tra cui andavano alla grandissima i maglioncini di cashmere) e di souvenir, attorno ai quali ronzano decine di SUV alla ricerca di un parcheggio a non più di cinquanta metri dall’inizio dei banchi. Ci hanno praticamente regalato una cassetta di pomodori, dato che la gente sembrava interessata solo ai maglioncini!

Torneremo dunque a Champoluc, ma solo martedì sera quando al cinema Sant’Anna (aka chiesa del seicento dismessa per spostare la parrocchia in un cubo di cemento moderno) danno Gran Torino; per il resto della settimana danno Harry Potter 77 e la sala sarà indubbiamente monopolizzata da torme di ragazzini meravigliati al grido di “uè, figaaaa”

[tags]val d’aosta, turismo, champoluc, aosta, milano, fenis, the art of games, fumetti[/tags]

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giovedì 30 Luglio 2009, 13:08

La gaia Stampa

Già vi ho parlato di come La Stampa stia facendo una campagna tremenda contro la vita notturna in città: a forza di articoli scandalistici è riuscita a far passare la privatizzazione notturna di piazza Vittorio, dove da qualche tempo l’intera piazza e tutto il quartiere circostante, per tutte le notti del weekend, è adibita a parcheggio gratuito e riservato per il sindaco (che lì abita) e i suoi vicini di casa. Gli indiscutibili eccessi e la pronta cafonaggine di molti ventenni sono stati sfruttati per creare un ulteriore privilegio per chi già, abitando in quella parte della città, non ha di certo problemi ad affittarsi un garage; il tutto grazie a vigili e telecamere pagati con i soldi di chi, abitando in periferia, magari ha gli stessi problemi di rumore o affollamento notturno, ma evidentemente non è un pupillo dell’amministrazione.

A scanso di equivoci, la campagna continua: per esempio, questa era l’apertura della pagina di cronaca cittadina ieri pomeriggio sul Web:

screenshot-lastampa-movidakiller.png

Da notare come molti degli investimenti da guida ubriaca non siano certo causati da ragazzini in uscita dal disco-pub, ma da quarantenni alcolizzati con la vita distrutta o da immigrati senza nemmeno la patente; eppure il titolo sugli investitori ubriachi viene subdolamente associato alla foto di un locale notturno, in modo da scolpire tale associazione nella mente. E subito sotto, naturalmente, un altro articolo contro i locali notturni di piazza Vittorio…

Ieri, però, mi sono veramente scandalizzato per un’altra cosa: in questo furore anti vita notturna il giornale ha pubblicato su Specchio dei Tempi una lettera (la seconda in pochi giorni), a firma della signora Clara Manfredi, che si lamentava del locale notturno installato nel Parco Michelotti; e passi (ribadisco che anche a me piace dormire, e che sia le violazioni degli orari di chiusura che l’abbandono di sporcizia in giro vanno combattuti a suon di multe). Ma il passaggio centrale della lettera è il seguente:

“Qua e là, in una atmosfera e un rumore assordante da discoteca, (in un parco!!!!!) coppie di travestiti o omosessuali festeggiava spensierata e incurante di famiglie con bambini e anziani che nell’area limitrofa hanno da anni la loro pista da ballo.”

In altre parole, il problema della signora Clara è che ci sono “coppie di travestiti o omosessuali” all’aperto, in un parco, vicino ai bambini e agli anziani.

Io trovo sinceramente vergognoso che un giornale di un paese che pretende di essere civile pubblichi una cosa del genere – una lettera apertamente razzista, che invoca la chiusura degli omosessuali in “locali più adatti” a mo’ di galera, come dei reietti – con la massima tranquillità, senza almeno dissociarsene in qualche modo. L’ho subito scritto nei commenti, e per fortuna sono poi arrivate tante persone ad associarsi. Eppure, c’è stato anche uno che mi ha invitato a “tornare in Africa” (non ho ben capito, ha scritto solo quello) e un altro che ha tirato fuori un argomento vecchissimo: non dovrebbe essere permesso a tutti di esprimere sul giornale le proprie idee, anche quelle apertamente razziste?

Chiunque si occupi un minimo di diritti umani, di leggi e convenzioni internazionali, sa che la risposta è no: nei paesi occidentali non esiste la libertà di professare idee razziste e anzi gli Stati si impegnano a vietarne la circolazione. Persino negli Stati Uniti, il paese tradizionalmente più liberale in questo senso, esprimere in pubblico idee discriminatorie può costare il posto di lavoro e la credibilità personale. Naturalmente varia da Paese a Paese la sensibilità, per cui negli Stati Uniti è soprattutto il razzismo verso i neri ad essere represso, mentre da noi c’è più attenzione a fermare la circolazione del nazismo e del razzismo verso gli immigrati. Ma nessun giornale di nessun paese civile avrebbe mai pubblicato con tanta nonchalance una lettera del genere.

Noi, purtroppo, ci stiamo sempre più distinguendo: abbiamo politici che invocano apertamente il divieto di professare la religione islamica o che intonano cori contro i napoletani. Non stupisce quindi che La Stampa del nuovo direttore Calabresi abbracci il perbenismo ipocrita e baciapile di ispirazione vaticana; del resto si sa che La Stampa è in odore di cessione dagli Elkann a Caltagirone, dunque a Casini, il prototipo dei vizi privati e pubbliche virtù. E’ però terribile notare come il nostro sia sempre più un Paese alla deriva, destinato a chiudersi, a ritornare agli anni ’50, alla caccia agli omosessuali e agli immigrati, alla repressione (in pubblico, poi i ricchi continueranno a farlo in privato) dell’aborto, dell’eutanasia e della fecondazione artificiale: un Iran cattolico, sempre più marginale e sempre più arretrato rispetto al resto del mondo. Naturalmente l’isolamento culturale porta anche la povertà materiale: poveri, razzisti e bacchettoni. Che bella prospettiva.

[tags]la stampa, torino, vita notturna, piazza vittorio, razzismo, discriminazione, omofobia, omosessuali, diritti umani, arretratezza, crisi, casini, calabresi[/tags]

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mercoledì 29 Luglio 2009, 11:51

Motivi poco noti per contestare Urbano Cairo

In questi giorni, nel mondo dei tifosi, è successo un fatto piccolo ma storico. Da sempre, i tifosi di calcio sono divisi in tre grandi categorie: gli ultras, i club e i tifosi non organizzati. Da sempre, la politica delle curve è fatta dagli ultras, e al massimo dal coordinamento dei club; sono loro a decidere quando si festeggia e quando si contesta, e spesso anche a fare e disfare i presidenti; al Toro, Sergio Rossi fu cacciato dagli ultras, mentre Urbano Cairo arrivò soprattutto grazie a loro. Le tre categorie non si mescolano quasi mai; gli ultras vivono nel loro mondo di “mentalità” e di rivalità anche fisica; i club vivono di feste, di amicizia, di trasferte insieme; per i tifosi sciolti il tifo si accende con il fischio d’inizio e finisce a fine partita.

Che tutto questo stia cambiando è evidente da un po’; gli ultras sono sempre di meno, decimati dalle leggi e dai divieti, ma anche da una società sempre più controllata e sempre meno “di strada”, e la Maratona non è certo più quella degli anni d’oro dal ’75 al ’95. In compenso, grazie a Internet sono nati “i forum”: se prima i tifosi non organizzati non avevano alcun mezzo per farsi sentire, ora sono diventati un nucleo di migliaia di persone che agiscono indipendentemente ma che sono in grado di organizzare e di esprimere una opinione in modo mediaticamente rilevante.

Per la prima volta adesso, grazie a un paio di assemblee aperte a tutti i tifosi, è emerso un tentativo di esprimere una opinione collettiva della tifoseria che possa essere sottoscritto da tutti – dai club come dai tifosi singoli. Non più un comunicato di un direttivo, ma un lavoro di tutti che chiunque può sottoscrivere (testo e indicazioni qui o qui o qui)… e che nasce per molte valide ragioni.

Nasce come critica costruttiva a Urbano Cairo, perché Cairo è difficilmente sostituibile in questo momento, ma criticabile per tante ragioni; le più importanti però sono pressoché sconosciute al grande pubblico, ed è per questo che vale la pena di spiegare un attimo alcuni punti del comunicato.

La critica a Cairo non è particolarmente legata ai risultati; i risultati non sono esaltanti ma nemmeno tremendi, se paragonati al Toro degli ultimi quindici anni. I problemi veri del Toro però sono altri; del resto non è possibile che giocatori vecchi o giovani, di nome o promettenti, si imbrocchiscano improvvisamente tutti dal primo all’ultimo arrivando a Torino, dunque ci deve essere qualche problema sistematico.

Cominciamo dal più banale: l’organizzazione societaria. In quattro anni il Toro ha cambiato otto volte allenatore, e quattro o cinque volte direttore tecnico/sportivo. In pratica, Cairo è un accentratore che prende tutte le decisioni e poi usa i propri collaboratori come capro espiatorio alla bisogna – oppure sono loro che se ne vanno, dato che a nessuno piace quel ruolo. La gestione della società è improntata alla promozione personale del suo proprietario e all’incremento della sua popolarità, fino all’assurdità continuata degli SMS e delle telefonate amorose che decine di tifosi scambiano col presidente, che risponde a ogni ora del giorno e della notte come un quattordicenne per difendere ad oltranza qualsiasi sua decisione.

Tutte le società di A e B e la maggior parte di quelle di Lega Pro hanno un proprio centro sportivo di proprietà o comunque un luogo unico per gli allenamenti di tutte le squadre, generalmente completo di foresterie per le giovanili e punto vendita per gadget e biglietti. Tutte, tranne il Toro, le cui varie squadre si allenano un po’ dove capita – la prima squadra alla Sisport, un impianto dove non c’è nemmeno una bandiera granata su un palo, e se un tifoso vuole andare a vedere l’allenamento rischia seriamente di non capire dov’è. Il famoso progetto di ricostruzione dello stadio Filadelfia è tutt’altro che uno sfizio da nostalgici; il Toro è stata la prima società in Italia, forse al mondo, a inventare questo modello di “base sportiva” che adesso è considerato normale e adottato ovunque, e che permette un circolo virtuoso in cui i professionisti di oggi fanno da esempio a quelli del futuro; è stato quello che ha permesso al Toro di diventare la società italiana più vincente della storia a livello giovanile, e di restare ai vertici negli anni ’70 e ’80 anche con meno risorse degli altri. Ma Cairo è talmente interessato al futuro del Toro che (oltre a non fare mai nulla di concreto per il Filadelfia) quest’anno per risparmiare 40.000 euro di stipendio ha licenziato Pigino – uno dei migliori tecnici giovanili d’Italia – e ha eliminato l’intera squadra dell’annata 1989.

Veniamo ora al trattamento dei tifosi, cioè dei clienti. Cominciamo dagli aspetti economici: dai 230 euro di abbonamento in curva dell’anno scorso in A (prezzo superato solo da Juve, Inter e Milan) si è scesi in B a 160; è comunque un prezzo da media serie A. In più il Toro è quasi l’unica società che non applica riduzioni in curva ai minori; o meglio, a furor di popolo, il giorno dopo la pubblicazione dei prezzi sui giornali, è stata introdotta al volo una riduzione a 90 euro per la sola curva Primavera, tante erano le proteste; in Maratona niente. Infine, per legge i minori di 14 anni hanno diritto a entrare gratis allo stadio, insieme a un adulto abbonato o pagante, in almeno metà delle partite; generalmente le società pubblicizzano per bene questa possibilità, ma il Toro non lo scrive da nessuna parte (del resto il sito del Toro è abbastanza imbarazzante) e se si insiste al centralino si scopre che la possibilità è limitata al solo settore di tribuna bassa (un posto dove abbonati non ce ne sono e dove l’adulto pagante sarà spennato per una visibilità pessima) e solo chiamando un 199 e spendendo vari euro per fare il biglietto “gratuito”. Tutte le società di calcio investono sui giovani e sulle famiglie; per esempio a Genova, per vedere l’alta serie A, una famiglia di due adulti e un bambino si abbona con circa 500 euro nelle tribune (non in curva). Da noi l’anno scorso il conto in curva faceva 690 euro; quest’anno, in B, sono 480 in Maratona e 410 in Primavera. Evidentemente a Cairo non frega niente di costruirsi un pubblico per i prossimi vent’anni… ma nemmeno per quest’anno (negli anni molte società retrocesse dalla A hanno messo gli abbonamenti a 100 euro per riempire lo stadio e facilitare la risalita). E stiamo parlando in totale di sconti per poche centinaia di migliaia di euro, che nel bilancio di una società professionistica contano davvero poco – molto meno delle perdite da mancata promozione per scarso entusiasmo nell’ambiente.

Anche sull’aspetto economico ci sarebbe da discutere; sicuramente Cairo ha speso parecchi soldi (male, pagando milionate di stipendio a giocatori bolsi e sul viale del tramonto), ma d’altra parte non ha speso un euro per l’acquisto della società; le sue campagne di mercato sono state tutte condotte al risparmio, puntando soprattutto a prestiti, acquisti a metà, ingaggi di quel che è rimasto libero all’ultimo secondo – e questo non è necessariamente un male, ma certo le spese non sono state stratosferiche. Ogni volta che va in televisione Cairo si bulla di quanti soldi ha speso, ma se uno va a vedere i bilanci del Toro scopre che l’ultimo finanziamento non è nemmeno stato messo come aumento di capitale, ma come finanziamento in conto soci – in pratica, un prestito da Cairo al Toro che il prossimo acquirente dovrà rimborsare. Le stesse sponsorizzazioni sono mal cercate e mal gestite; molti sponsor sono un regalo del caso (o meglio, di alcuni tifosi che costruiscono da soli le operazioni, per puro amore) e la società è pure riuscita a maltrattarli fino a farne scappare parecchi alla prima occasione.

Ma torniamo ai clienti: il Toro è una delle pochissime società che non si appoggia a una banca né per gli acquisti a rate né per la rete di vendita. In pratica, i biglietti del Toro sono acquistabili solo in poche tabaccherie; per dire, dalla val d’Aosta il punto più vicino è Aglié, e mezza Liguria deve andare fino a Genova; e non parliamo dei non pochi tifosi del Centro e Sud Italia (ci sono persone che, oltre a fare 1500 km ogni volta per vedere la partita, devono farne centinaia solo per comprare il biglietto). Anche a Torino, chi ha dovuto rinnovare l’abbonamento in questi giorni (scade oggi) ha avuto a disposizione solo una dozzina di tabaccherie, buona parte delle quali erano chiuse per ferie. Non parliamo delle partite fuori abbonamento: gli anni scorsi, per vedere la Coppa Italia o le amichevoli estive bisognava fare da un’ora a un’ora e mezza di coda alle biglietterie dello stadio. Quanto ai disabili, la società se ne è lavata le mani e ha affidato la gestione dei relativi posti al club dei Tori Seduti, che si smazza tutte le pratiche ogni volta (comprese quelle dei disabili ospiti), a fronte di posti in buona parte inagibili e della carenza di parcheggi riservati dentro l’impianto (vuoi mica far spostare le Porsche dei giocatori). Non è certo un segno di grande interesse per i propri clienti.

Tutto, insomma, fa pensare a una gestione abborracciata, mirata all’esposizione personale di Cairo, senza alcuna programmazione o investimento per il futuro; e non si capisce se è perché Cairo aspetta soltanto l’offerta buona per vendere, o se veramente questo è lo stile gestionale del personaggio.

Ma non è finita qui: ci sono cose più inquietanti. Da quest’anno la società, di sua iniziativa pare unica in Italia, ha messo un limite al numero di abbonamenti acquistabili per persona: quattro. Cosa vuol dire? Vuol dire che tutti i club, che da mezza Italia si organizzavano e mandavano una persona sola a fare gli abbonamenti per tutti, non possono più farlo. Di fatto, dato che questo era il motivo principale per cui molti si iscrivevano al club, vuol dire segare le gambe ai club. Perché?

Credo che la cosa sia collegata alla crisi della Maratona: come tutti hanno potuto osservare, per gran parte della scorse stagione la curva è rimasta spoglia, senza striscioni o quasi, senza coreografie, senza le insegne di molti gruppi storici, talvolta senza nemmeno andare ufficialmente in trasferta. E’ come se il tifo organizzato non esistesse più, ma cosa c’è al suo posto?

Io non lo so, perché non frequento quella curva, ma mi limito a registrare le bruttissime voci che ormai girano apertamente. Per tutta la stagione passata, di fronte alla Maratona, c’erano dei bagarini che vendevano a venti, trenta, cinquanta euro centinaia di biglietti marcati “omaggio” per una curva teoricamente esaurita dagli abbonamenti. Ora, gli omaggi esistono solo per gli sponsor e gli amici della società, ma sono in numero limitato e non certo per la curva… Tutto questo alla faccia del biglietto nominale e dei controlli dei documenti che dovrebbero essere fatti all’ingresso, dalla società e dalla polizia. Io non so come sia possibile, ma mi limito a fare un rapido conto: 250 biglietti per 20 euro (a tenersi stretti) per 19 partite sono 95.000 euro l’anno in contanti; ce n’è abbastanza per tutti senza nemmeno arrivare all’altro noto business delle curve, quello di “chiedere” una percentuale sulla vendita di magliette, cappellini, sciarpe e così via (in certe curve vige anche il dazio sull’esposizione di striscioni e sull’organizzazione di trasferte).

Da un po’, su Forzatoro.net, c’è una “running gag”: quando si comincia a parlare di questa cosa, qualcuno posta un panorama di una ridente località denominata Pizzo Calabro. Questo lo sa Cairo, lo sa la Digos, lo sanno assolutamente tutti; evidentemente gli va bene così.

Capite allora come una lettera come quella di oggi vada sottoscritta di corsa; e poi ci si chiede ancora perché non contestare Cairo…

[tags]serie a, calcio, toro, ultras, cairo, pizzo calabro[/tags]

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martedì 28 Luglio 2009, 17:38

Mele piccole e soffici

Oggi mi arrabbio con Apple; anche se il mio nuovo MacBook Pro è un bell’oggetto e ha un sacco di vantaggi, c’è una cosa che mi fa arrabbiare moltissimo.

Tutto è cominciato quando, usando OpenOffice col nuovo portatile, improvvisamente i miei documenti hanno cominciato ad allargarsi e rimpicciolirsi da soli. Sei lì che scrivi, poi magari cerchi di selezionare una frase col trackpad, o semplicemente muovi il puntatore, e il tuo documento in un millisecondo diventa enorme o minuscolo – e in quest’ultimo caso il cursore viene anche portato sulla prima pagina e devi poi scorrerlo tutto di nuovo.

Per un po’ di tempo mi sono adattato cercando di capire cosa succedeva, poi mi sono rotto le scatole e ho fatto qualche ricerchina. E ho scoperto questo, che è solo uno dei tanti: uno di tanti thread di utenti Mac furiosi per questa situazione.

Già, perché – come spiega bene questo blog – il problema è dovuto a una delle meravigliose caratteristiche del nuovo “trackpad senza bottone” introdotto dalla Apple: in pratica, con un gesto di due dita che si allontanano o si avvicinano, è possibile ingrandire o rimpicciolire l’immagine. E’ comodissimo (pare) in iPhoto: peccato che io, come altri milioni di clienti Apple, non usi il mio Mac da una capanna sulla spiaggia per apprezzare i più minimi dettagli delle mie foto di surfisti californiani, ma lo usi per lavorare – e scrivere documenti senza impazzire ne è una componente fondamentale. D’altra parte, chi di noi non ha mai sentito l’esigenza di zoomare il proprio documento da 100% a 1% in una frazione di secondo con un solo semplice gesto?

Beh, direte voi, che problema c’è? Basta disabilitarlo… e invece no: non si può. Se uno apre le preferenze di sistema e va alla gestione del trackpad, esiste l’opzione “Pinch Open & Close”… ma non esiste una checkbox per abilitarla o disabilitarla: c’è e te la tieni, perché Apple ha deciso per te. In particolare, dopo averti abituato per anni a usare il trackpad a due bottoni cliccando con l’indice, ha deciso di renderti la vita impossibile. E meno male che i prodotti Apple dovrebbero essere il massimo dell’intuitività: la situazione è talmente disperata e invalidante che Adobe ha rilasciato prontamente un plugin-antidoto per Photoshop. Qualcuno ha anche trovato una soluzione per Firefox e Safari – e nei commenti suggeriscono di incollare sul trackpad un pezzetto del tappo di un contenitore Tupperware. Eppure, nonostante mesi di furia degli utenti, Apple non è ancora stata capace di rilasciare una patch per disabilitare il gesto in tutte le applicazioni.

Mi sa che le mele di Cupertino, un tempo belle dure e robuste, con il successo sono diventate piccole e soffici: voleranno anche loro giù dalle finestre?

[tags]apple, mac os x, trackpad, zoom, bachi, interfaccia utente, steve jobs crepa, aziende che se la tirano troppo[/tags]

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lunedì 27 Luglio 2009, 13:06

Un aiuto ai viaggiatori

Sì, sono in montagna. Collegato col cellulare, che prende e non prende. Fermamente intenzionato a non essere troppo coinvolto dal gorgo del flusso informativo globale. Posterò, ma quando capita.

Però sono sempre disponibile ad aiutare gli altri, e così quando ho visto nella mail l’avviso di un messaggio privato su Tripadvisor ho dedicato ancora un po’ di connessione a 13 kbps per andarlo a leggere. Tripadvisor è il mio strumento preferito per trovare alberghi, ristoranti, attrazioni e altre indicazioni quando viaggio all’estero: mi sono sempre trovato bene, e per questo motivo cerco di contribuire pubblicando le recensioni degli alberghi in cui sto.

E così, riguardo al The Pod di New York (buffo ma moderno albergo in piena Midtown che raccomando se avete un budget limitato e non ve ne frega troppo della dimensione della stanza e del letto, altrimenti lasciate stare) mi è arrivata la seguente richiesta:

“Ciao vbertola,,perdonami del disturbo,,ma devo prenotare l’hotel x new yorke sn disperato
Ho visto che 6 stata al POD..vorrei prenotare anch’io, ma ancora riesco a capire se la DOUBLE POD ROOM(quella che voglio prenotare io x due adulti,cioè io + la mia donna)è con bagno privato.Sai non vorrei il bagno comune.
Un ultima domanda, tu da dove l’hai prenotato l’hotel POD?on-line dal sito dell’hotel?expedia,?agenzia, si può fare anche con la postepay?Grazie inifinite e scusa del disurbo ma sono disperato ed ho paura di sbagliare.
Buona serata”

Ora io son ben contento di dare due dritte a uno skonsct ke e disperato e ha la barra spaziatrice rotta, e posso anche sorvolare sul fatto che basterebbe leggere le descrizioni e le pagine dei vari siti (poi mica è obbligatorio sapere l’inglese per andare a New York). Ma il fatto che mi considerino una tipa sl perkè il mio nick finisce x “a”, questo proprio no!

[tags]turismo, alberghi, new york, tripadvisor, italiano, kkkk, da dv dgt?[/tags]

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venerdì 24 Luglio 2009, 18:53

Malattie incurabili

Sì, è vero, noi tifosi del calcio – noi del Toro in particolare – siamo spesso lamentosi e complottisti. Quando scrissi che il Genoa (il cui presidente Preziosi è tuttora inibito per cinque anni per illecito sportivo) nel finale di campionato era stato tutt’altro che sportivo, e che nell’ambiente tutti parlavano di spintarelle di vario genere date al Bologna per restare in serie A, probabilmente sembravano soltanto dei vaneggiamenti da malato di tifo, non quello incurabile al 10% ma quello incurabile al 100%. Certo leggere dopo un mese l’annuncio di Moggi assunto come dirigente dal Bologna fece venire qualche perplessità anche ad altri, tanto è vero che la società fu costretta a fare rapida retromarcia e comunque a subire una inchiesta sportiva e persino l’onorevole ira dei propri tifosi.

Ma allora come si devono sentire ad Alessandria? Dopo aver dominato il campionato di seconda divisione (l’ex C2), persero la finale decisiva per salire di categoria contro il Como anche per un arbitraggio davvero strano, con una espulsione dopo pochissimi minuti e un’altra più tardi che segnarono la partita a svantaggio dei mandrogni. E in questi giorni cosa leggono sui giornali? Che il Como neopromosso sta per venire comprato da Marcello Dell’Utri, in società con Feltri e la Santanché.

Sicuramente non ci sarà nulla di strano sotto; tutto normale, tante belle partite segnate dalla massima sportività. Certo che la credibilità del nostro calcio ormai si avvia a raggiungere quella del nostro ciclismo (praticamente ogni ciclista italiano che abbia fatto qualcosa di decente a livello internazionale negli ultimi due anni è prontamente stato beccato per doping).

Ma allora, perché io in questi giorni sto guardando il Tour de France e domani andrò a rifare l’abbonamento al Toro? Per vedere sport truccati, non faremmo prima ad abbonarci al wrestling sulla pay-tv? Evidentemente c’è qualcosa di incurabile che ci tiene legati…

[tags]sport, calcio, ciclismo, toro, alessandria, bologna, genoa, como, dell’utri, doping[/tags]

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giovedì 23 Luglio 2009, 13:51

Tre case per un albergo

Dunque ricapitoliamo. Non più tardi di ieri La Stampa pubblica un articolo che spiega come i maggiori alberghi di lusso cittadini siano sull’orlo del fallimento, pronti a essere trasformati in alloggi; a cui si aggiunge poi la notizia della chiusura di un altro albergo. Oggi naturalmente la Pravda sabauda pubblica in bella evidenza un nuovo articolo in cui si rassicura la cittadinanza sul fatto che le notizie di ieri erano false e in realtà tutto va bene: non sia mai che a Torino ci sia qualcosa che non va meravigliosamente, addirittura ci dicono che “Reggia di Venaria” è fra le “cinque più gettonate in assoluto” (nel mondo!) tra le parole che i turisti “cliccano sul Web”, qualsiasi cosa ciò significhi.

Nel frattempo si scrive un altro bell’articolo per descrivere la nuova grande idea per il recupero del Palazzo del Lavoro (già di suo un obbrobrio che ricorda la miglior architettura comunista di Bucarest) cioè metterci dentro un centro commerciale – l’ennesimo, a un chilometro dall’8 Gallery, in un momento in cui soltanto sabato scorso metà dei centri commerciali cittadini erano paralizzati dagli scioperi contro i tagli derivanti dalla crisi. E in fondo all’articolo si aggiunge: già che ci siamo, sull’Alenia di corso Marche vogliamo fare un grattacielo alto cento metri (il quarto o quinto della città) e l’immancabile albergo; a questo punto davvero inutile se non come collettore di finanziamenti pubblici per il turismo, dato che gli altri stanno chiudendo e che a due isolati da lì c’è l’Holiday Inn di piazza Massaua permanentemente semivuoto.

E’ evidente che queste vicende sono collegate a speculazioni immobiliari, sfruttando spesso l’ampia disponibilità (per gli amici) di fondi pubblici di varia provenienza ed etichettatura; e questa crisi degli alberghi costruiti per le Olimpiadi, ampiamente sovvenzionati da noi, proprio non mi spezza il cuore se non per il destino dei dipendenti. La faccia tosta è tale che, buttata lì come fosse cosa da niente dentro l’articolo sulla chiusura del Jolly Hotel Ligure, c’è un “commento” proveniente da Palazzo Civico che anticipa l’idea che il costruendo albergo di lusso nella ex casa Gramsci di piazza Carlina – quella che fu assegnata dal Comune con un’asta contestata alla Immobiliare Galileo dei soliti De Giuli della De-Ga, invece che agli svedesi Radisson – venga tranquillamente trasformato in lucrosissimi appartamenti prima ancora di aprire (ammesso che ci stiano lavorando davvero, alla trasformazione in albergo, e che non stiano semplicemente aspettando la prevista variante d’uso in modo da non dover nemmeno fare i lavori due volte). Ma no! Chi l’avrebbe mai detto!

Peccato che, invece di avere dei giornalisti che chiedono conto a Chiamparino & c. di queste evidenti contraddizioni (per non dire di peggio), abbiamo dei giornalisti che le propagano scodinzolando…

[tags]torino, urbanistica, crisi, alberghi, turismo, reggia di venaria, speculazioni edilizie, centri commerciali, palazzo del lavoro, chiamparino[/tags]

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