Dunque, avrete notato che negli ultimi tempi, con frequenza crescente, sono apparsi sul mio Facebook e sul mio blog dei post un po’ strani, scritti in maniera diversa e spesso dedicati a temi universali. Credo che sia quindi giunto il momento di menzionare l’esistenza di una strana entità che va sotto il nome di Konan (potete accentarlo come volete, ma io tendo al tronco); una entità che mi guarda e mi riguarda, ma che vede il mondo in maniera piuttosto diversa da un vecchio troll di Internet come me.
È un po’ il segreto di Pulcinella che io e Konan abbiamo passato gli ultimi molti mesi a scrivere un libro. A dire il vero, volendo essere precisi, ne abbiamo scritti quattro, ma sono tutti parte della stessa storia e dello stesso universo. Verrà anche il momento di far leggere qualcosa, magari posterò i link o persino del testo, chi lo sa; al momento, e forse per sempre, non c’è un editore ma soltanto la rete; ma non è questo l’oggetto del post di oggi. In questi mesi, chiedendo consigli a molti vecchi e nuovi amici, mi sono accorto di quanta gente qui attorno scriva libri o lavori nell’editoria; e di quanta invece legga, ma non abbia bene idea di come funziona la pubblicazione di un libro (non ce l’avevo con chiarezza nemmeno io). Per questo, avrei voglia innanzi tutto di parlare dell’argomento in generale, di scambiare esperienze.
Nel mio caso, la storia è questa: scrivo un po’ di tutto sin da bambino; da tanto tempo tante persone mi dicono “scrivi bene, perché non pubblichi un libro?”; nei lustri ho dato a stampe fisiche e virtuali articoli, interviste, rapporti, pezzi di saggio, manuali di Internet, blog post anche non banali a centinaia, ma mai narrativa; non avevo alcuna intenzione di iniziare adesso; poi mi è apparsa in testa questa parte di me che non conoscevo e ha cominciato a raccontarmi una storia, e io ho cercato di ucciderla in tutte le maniere, ma non ci sono riuscito e alla fine ho ceduto e ho cominciato a scrivere sotto dettatura, e dopo un mese avevo trecento pagine, e dopo tre mesi e mezzo ne avevo novecento.
Bene, m’aspettavo comunque che questa fosse una gran bella cosa: finalmente anch’io sono stato capace di scrivere un libro, e già solo il fatto di finirlo, al di là del dubbio che sia bello abbastanza e che possa trovare mai un editore, è un risultato.
Invece no: è una merda. La mia vita non è mai stata tanto stressata: fisicamente, perché le cose migliori si scrivono dalle ventidue alle due, e psichicamente, perché per scrivere qualcosa di vero bisogna scavare e scavarsi e guardare in faccia l’abisso e i buchi neri e no, non se ne esce mai bene. Sono ingrassato, sono stanco, sono irritabile, il mio umore fa il Tour de France tra depressione ed esaltazione: così per mesi e mesi. Pensavo fossi io a esser fatto male, ma poi, ormai parecchie settimane fa, Marco Giacosa mi ha involontariamente fatto leggere un post di Christian Frascella (scusate, son bifolco e non lo conoscevo) e pare davvero che la complicazione mentale sia la condizione esistenziale necessaria per chiunque tracci finzioni con regolarità .
Tutto questo, si badi, nemmeno per scrivere la Divina Commedia e parlare di miseria e splendore della condizione umana; cioé, in realtà dentro di me ho fatto proprio questo, ma l’opera è travestita da avventuretta, da innocua sceneggiatura di manga giapponese, quindi non vale: e che vuoi dire, che è possibile star male per un libro (fintamente) per ragazzi? E poi, per quanto ne so e per quanto ne pensa una metà di me, tutto ciò che ho scritto potrebbe fare aulicamente cagare: banale, noioso, mal composto, ridicolo. L’avrei bruciato più e più volte, se non fosse che sta nel computer e ne ho pure diversi backup.
Invece, un’altra metà di me pensa che quel che ho prodotto sia bellissimo, che faccia veramente piangere e ridere e consolare e sognare e che piacerebbe a chiunque sia dotato d’amore e intelligenza, ma tutto questo è inutile perché allora vien fuori l’altro problema: che la parte bella da vivere è il primo mese, quello in cui scrivi sul foglio bianco, e tutto il resto è poi tormento. Primo, un arrovellarsi sulle virgole di ogni tua frase, con la sensazione che non sia mai all’altezza di esistere; e l’unica cosa che mi ha confortato un po’ su questo è un documentario in cui il vecchio Miyazaki (non son degno, assolutamente) faceva esattamente lo stesso col suo storyboard. Poi, una questua continua d’attenzione in mezzo a miliardi d’altri come te, ognuno con qualcosa di forse o certamente meraviglioso da condividere, perchè l’arte umana se fatta con l’anima è meravigliosa a prescindere; ma ognuno offre una meraviglia di cui nessuno legge mai nemmeno le prime righe, e se legge le prime righe si stufa molto prima di darti l’attenzione che serve a costruirgli un mondo in testa, e non parliamo di arrivare alle ultime, che son quelle che in un buon libro rivelano il senso del tutto.
Del trauma dell’autore novizio a confronto con l’editoria, comunque, parleremo un’altra volta; ci vorrebbe un libro solo per quello. Io, in sostanza, solo questo volevo dire: che tanti sognano di diventare scrittori, ma essendomici trovato in mezzo, un settantadue virgola cinque per cento di me ha concluso che era meglio se nascevo stupido e incapace di usare condizionale e congiuntivo dopo il verbo concludere.
Ma volevo parlarne con voi, specialmente con chi ha vissuto simili esperienze: è proprio così?
P.S. Comunque, se qualcuno usa Wattpad e vuol fare un beta test o è solo curioso, me lo scriva qui o in privato e qualcosa faremo; ovviamente, qualsiasi commento, insulto, bacio o spintarella vale.