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lunedì 3 Ottobre 2011, 19:02

Immaginare un’altra economia

Per quanto non faccia esattamente parte del mio mandato di consigliere comunale, in queste settimane è impossibile non parlare di economia: la situazione è sempre più drammatica e tutti ci interroghiamo su come uscirne. Anche nel Movimento le visioni sono variegate, e per questo è stato molto interessante leggere i risultati del sondaggio svolto da Beppe Grillo sul suo blog a proposito del futuro sviluppo dell’Italia.

E’ vero che il sondaggio non ha basi scientifiche, è vero che impegnandosi probabilmente si poteva votare più volte, è vero che non è detto che i votanti coincidano con un insieme rappresentativo della base del Movimento, è vero che si votava per slogan e non per analisi approfondite dei singoli punti, eppure il risultato secondo me più interessante è questo: la proposta “Nazionalizzazione delle banche”, invocata a gran voce da molti ideologi dentro e fuori il Movimento, è stata una delle meno votate, ottenendo solo il 48,57% di favorevoli.

Ora, sarebbe semplice dire “la proposta è stata bocciata e non se ne parli più”, ma in realtà il punto è un altro: convivono presumibilmente nel Movimento, con pesi quasi uguali, due visioni dell’economia radicalmente opposte e difficilmente conciliabili, una che vorrebbe aggiustare il capitalismo e l’altra che vorrebbe rovesciarlo; e nello scioglimento di questa contraddizione sta gran parte del futuro politico delle cinque stelle.

E allora, che facciamo? Quando nacque il Movimento, Grillo fece una promessa chiara: che esso non si sarebbe schierato a fianco di nessuna delle grandi ideologie del Novecento – né a destra, né a sinistra; né col capitalismo, né col comunismo – e che invece si sarebbe concentrato sulla risoluzione dei problemi concreti e sull’unica, vera, grande rivoluzione socioeconomica del terzo millennio: l’avvento della rete.

Io credo che la degenerazione dell’economia, la negazione dei nostri diritti e del nostro benessere, non derivino tanto dalla scelta tra pubblico e privato – parole che hanno ormai perso di significato – ma dall’accumulo di potere e denaro nelle mani di pochi, che lo usano per controllare sia il pubblico che il privato. In quest’ottica, nazionalizzare banche ed aziende non serve a niente, perché trasferire il potere di controllo delle nostre vite dalle mani di Marchionne e Tronchetti Provera a quelle di Berlusconi e Bersani non cambia sostanzialmente nulla.

Se mai, ci servirebbe un’economia fondata sulla cooperazione e sulla distribuzione a tutti delle risorse; non su una fittizia proprietà collettiva che diventa dominio dittatoriale della politica, ma su una effettiva proprietà privata distribuita nelle mani di tutti, in cui le differenze di censo siano limitate e comunque derivino dal merito e non dall’abuso del potere. Ci servono banche cooperative, come Banca Etica, e aziende co-gestite dagli azionisti e dai lavoratori. Ci serve una informazione libera offerta tramite una rete priva di punti di controllo, che permetta a tutti di far circolare anche i fatti più scomodi. E ci serve una politica senza piramidi di partito, dove i cittadini possano veramente svolgere un periodo di “servizio civile” nelle istituzioni senza inchiodarsi alle poltrone.

Questa, credo, sarebbe una vera rivoluzione: una forma di società tutta da inventare, che guardi al futuro e non al passato!

[tags]economia, politica, rivoluzione, sviluppo, movimento 5 stelle, capitalismo, comunismo, nazionalizzazione[/tags]

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domenica 2 Ottobre 2011, 23:17

La settimana del consigliere

È domenica sera e mi devo scusare, perché è una settimana che non scrivo più niente… e non è che non sia successo nulla in Consiglio Comunale, anzi: è stata una settimana davvero intensa e per questo non ho avuto il tempo di scrivere. Quel che posso raccomandare è di seguire la mia bacheca Facebook, e so perfettamente che Facebook non è uno strumento ideale, che non garantisce la privacy, che non tutti lo vogliono usare, ma al momento è l’unico strumento abbastanza flessibile per raccontarvi in tempo reale cosa succede dentro le istituzioni e chiedere il vostro parere.

Sto pensando ad esempio se cominciare a fare dei video settimanali, come fanno già i consiglieri regionali; può essere un buon metodo per raccontarvi le cose più velocemente… potrei farli il venerdì pomeriggio, se non fosse che il venerdì pomeriggio è uno dei pochi “buchi” in cui ho il tempo di ricevere i cittadini che chiedono un incontro e questo venerdì sono uscito dal Municipio alle 19:30 – e vi garantisco che il venerdì pomeriggio alle 19:30 il Municipio, come molti uffici pubblici, è deserto come un deserto, a quell’ora in genere ci siamo solo più io e Fassino (che ha tanti difetti ma è uno sgobbone) e io mi faccio anche il giro a spegnere le luci nei corridoi, dato che gli uscieri sono a casa da tre ore.

Questa settimana dunque sono successe varie cose; c’è stato un consiglio comunale straordinario, mercoledì pomeriggio, che è stata una delle esperienze più indegne della mia giovane vita politica, in quanto si discuteva del nulla e si perdevano le ore tra giochini procedurali da bambini (tipo aspettare che uno della maggioranza andasse in bagno e poi chiedere la verifica del numero legale) e discorsi retorici sulla situazione dell’Italia, che per il PDL è colpa del comunismo, per Fassino è colpa di Berlusconi, e poi via a citare Cota, Bresso e insomma nessuno che parlasse della delibera in oggetto e di come salvare le casse della Città; solo una gara di scaricabarile. Alla fine volevano tirarla in lungo fino a riconvocare un altro consiglio comunale alle 21, con conseguenti spese di burocrazia, personale, energia eccetera, e lì abbiamo detto basta, piuttosto garantiamo noi il numero legale – visto che nella maggioranza molti hanno l’abitudine di andare al bar o chissà dove e poi correre di corsa in aula quando li chiamano per votare – ma chiudiamo qui la vicenda.

Tra le faccende della settimana, oltre all’infinita vicenda CSEA, segnalo l’imminente concessione ai privati della casa di cura Buon Riposo, per un prezzo che io trovo davvero stracciato; la nostra interpellanza sull’inquinamento da cromo esavalente a Parco Dora, una delle tante battaglie che portiamo avanti; il fatto che abbiamo finalmente ottenuto, a forza di insistere, che la commissione competente si occupi del caso del signore che da due settimane presidia il Municipio e che abbiamo intervistato la settimana scorsa; una interessante visita all’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo, che si fa carico della crescente povertà cittadina in sinergia col Comune; e la presentazione del progetto Torino Smart City, che è stata piuttosto deludente perché si è limitata agli aspetti di riqualificazione energetica degli edifici, mentre il concetto di smart city è molto più ampio. Ognuna di queste cose meriterebbe un post approfondito e una discussione dedicata, ma dove trovo il tempo? Già così, devo scrivere le interpellanze e le interrogazioni il sabato pomeriggio…

Mi spiace, però, perché molto del lavoro che facciamo io e Chiara non appare perché non abbiamo il tempo di raccontarlo; vedremo di inventarci qualcosa.
[tags]torino, movimento 5 stelle, consiglio comunale[/tags]

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lunedì 26 Settembre 2011, 10:18

Debito e paranoia

Gira da qualche tempo in rete un cartone animato che in mezz’ora spiega i meccanismi finanziari e storici dietro alla crisi globale.

La prima metà è effettivamente interessante per chi ancora non avesse capito concetti come la riserva frazionaria e la proprietà della moneta, mentre la seconda sfocia in un delirio paranoico misto al tipico anti-statalismo americano (scommetto che gli autori votano Ron Paul). I fatti raccontati nella seconda parte vanno dal parecchio abbellito (come la leggenda dei Rothschild a Waterloo) al totalmente male interpretato (come la creazione della prima banca centrale federale americana, che fu osteggiata semplicemente perché avrebbe ridotto la sovranità dei singoli Stati americani e scaricato i debiti di quelli spendaccioni su quelli virtuosi, proprio come sta avvenendo ora nell’Unione Europea).

Indubbiamente vi sono grandi poteri economici globali che hanno fatto di tutto per indebitare gli Stati, per speculare sui loro titoli e per controllarli economicamente, e il tema del controllo sulla moneta è reale; ma per non essere schiavi dei debiti sarebbe stato sufficiente non farne.

[tags]american dream, debito, finanza, moneta, signoraggio, rothschild[/tags]

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sabato 24 Settembre 2011, 12:55

Il tunnel nel cervello

Un politico, si sa, non è un tuttologo; ma almeno delle materie di cui deve occuparsi qualcosa dovrebbe capirne. Il nostro ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca Mariastella Gelmini, invece, si distingue oggi per una gaffe leggendaria; un comunicato stampa che, per mettere il cappello sulla strabiliante scoperta di neutrini che viaggiano più veloci della luce, si vanta di aver speso 45 milioni di euro per realizzare “il tunnel tra il Cern e i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l’esperimento”.

gelmini-neutrini_544px.png

Capisco che non tutti siano avvezzi agli esperimenti e alle caratteristiche delle particelle subatomiche, argomento di cui comunque si è parlato normalmente in un qualsiasi corso di fisica al liceo o, per la nostra generazione, in mediamente una puntata di Quark su tre (riassumendo, le particelle vengono generate in un apparato che sta effettivamente in un tunnel, ma poi vengono “sparate” attraverso la crosta terrestre, che attraversano senza alcun problema). Ma che un ministro della Repubblica possa credere all’esistenza di un tunnel lungo lungo alto alto che collega direttamente due punti che distano in linea d’aria quasi un migliaio di chilometri, passando sotto Alpi, Appennini e mezza Italia, fa dubitare delle sue facoltà intellettive.

La cosa preoccupante è che a questo punto potrebbero dirle che servono 45 milioni di euro per una macchina del moto perpetuo, o per un sintetizzatore di pietre filosofali, o per uno stritolatore subnucleare con scappellamento a destra, e lei firmerebbe allegramente l’assegno.

[tags]scienza, ministro, gelmini, neutrini, fisica, gonzi[/tags]

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venerdì 23 Settembre 2011, 18:26

Fango, fumo e tanta m…

Forse non tutti sanno che – tecnicamente a Castiglione Torinese, ma dal lato del Po di Settimo – c’è una spianata grande come un aeroporto piena di vasche, pannelli fotovoltaici, pompe e gasometri. E’ il depuratore Smat di Torino, il più grande d’Italia, e serve a una cosa sola: filtrare il mare di m… che i cittadini di Torino e cintura producono giorno e notte. Tutte le fognature della città convergono su un grande condotto parallelo al Po, che riversa un fiume di liquami nell’impianto; lì ci sono dei filtri, poi delle vasche di decantazione, poi una serie di processi chimici et voilà, quello che avanza è sufficientemente pulito da finire nel Po.

Dove finisce la schifezza? Finisce in fango; e metà dell’immenso complesso è destinato a lavorarlo, recuperando calore ed energia e producendo 130.000 tonnellate l’anno di melma. Di queste, 20.000 vengono essiccate e portate alla discarica di Cassagna, mentre il resto viene riusato, rendendolo liquido al punto giusto e cedendolo all’agricoltura e/o al compostaggio. Il processo è altamente efficiente, e la stessa dirigenza Smat, durante un sopralluogo ufficiale, ci ha dichiarato che il sistema attuale è già ottimizzato, dato che praticamente tutto il fango viene riutilizzato anziché smaltito.

Perché vi racconto questo? Dovete anche sapere che il dinamico sindaco di Settimo Aldo Corgiat prova da anni ad attirare un inceneritore nel proprio Comune, perché bruciare la m… porta un sacco di soldi a chi gestisce l’impianto (e il cancro a chi ci vive accanto, ma questo pare non essere un problema). Peccato che alla fine si sia scelto di costruire l’inceneritore a Torino (ubi maior), accantonando il progetto di Settimo. Che fare? Basta aspettare un po’ e poi, in società coi privati, chiedere il permesso alla Provincia, il cui assessore all’Ambiente è dello stesso partito di Corgiat.

E’ sufficiente fare due conti per capire che un secondo inceneritore è inutile: la Provincia di Torino produce circa un milione di tonnellate di rifiuti l’anno, in calo per via della crisi e delle politiche anti-spreco. Più o meno metà viene riciclata, per cui avanzano 500.000 tonnellate; l’impianto del Gerbido ne può bruciare 420.000. Ne restano 80.000 che potrebbero tranquillamente andare in discarica, senza contare che in teoria – nonostante Torino abbia ottenuto una moratoria, dichiarandosi talmente piena di turisti da non poter reggere la spaventosa massa di rifiuti da essi generata – la legge, l’Europa e il buon senso planetario ci chiederebbero di arrivare subito a differenziare almeno il 65% dei rifiuti, il che ridurrebbe l’avanzo indifferenziato a 350.000 tonnellate in tutto.

Ma soprattutto, 80.000 tonnellate sono troppo poco per rendere un inceneritore economicamente sostenibile… cioé, l’inceneritore è per definizione economicamente insostenibile, dato che vive grazie alle tariffe che noi cittadini gli paghiamo per bruciare i rifiuti (circa 100 euro a tonnellata) più le sovvenzioni che noi cittadini gli diamo, come i certificati verdi (altri 100 euro per ogni megawattora prodotto); è una attività intrinsecamente in perdita per noi e in guadagno per loro. Ma se la quantità di rifiuti trattati scende sotto le 200.000 tonnellate l’anno, nemmeno le nostre laute sovvenzioni sono sufficienti a tenere in piedi la baracca; e questo ce lo confermò anche l’amministratore delegato di Amiat, Magnabosco.

Qual è stato allora il colpo di genio del “sistema Settimo” (la definizione non è mia ma dei dirigenti Smat)? Beh, se insieme alle 80.000 tonnellate di rifiuti avanzati bruciassimo anche una buona parte delle 130.000 tonnellate di fanghi del depuratore, opportunamente essiccate, allora si potrebbe giustificare sulla carta un secondo inceneritore e un secondo business. Peccato che nessuno l’abbia chiesto alla Smat, che stamattina ha decisamente negato che questa sia un’ipotesi per loro interessante.

E’ chiaro a tutti che in futuro, in un modo o nell’altro, ci saranno sempre meno rifiuti indifferenziati; e che Torino, regolarmente al top dell’inquinamento in Europa, avrebbe una grossa opportunità ambientale ed economica puntando sulle tecnologie e sulle pratiche del futuro, e costruendosi un know-how innovativo che potremmo poi andare a vendere in giro per il mondo. E invece no, siamo qui bloccati nel passato dalle scelte miopi e interessate della nostra classe dirigente, che ai cittadini sa proporre solo tanto fumo, spingendolo grazie all’informazione compiacente. E noi restiamo in un mare di merda.

[tags]inceneritore, settimo, corgiat, smat, depuratore, rifiuti, business[/tags]

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martedì 20 Settembre 2011, 18:35

Un palazzo dietro l’altro

Una delle parti più interessanti dell’attività comunale è la commissione urbanistica, le cui competenze sono molto vaste: deve occuparsi non solo della pianificazione del territorio cittadino, ma nel dettaglio dell’edilizia pubblica e privata, delle grandi opere, di tutta la viabilità e dei trasporti pubblici.

Almeno, questa è la teoria; la pratica è che la commissione si riunisce praticamente solo per discutere e approvare varianti al piano regolatore, ovvero operazioni immobiliari a vantaggio di enti privati e pubblici. Voi leggete sui giornali che Porta Nuova chiuderà, o che vogliono togliere questa o quell’altra linea di pullman, o che hanno deciso di fare una nuova pista ciclabile? Di tutto questo dovrebbe occuparsi la commissione, ma (almeno finora) non ce n’è sostanzialmente stato il tempo, perché all’ordine del giorno ci sono sempre nuovi palazzi da costruire o nuovi appartamenti da ristrutturare; il trasporto pubblico verrà quando ci sarà tempo, mentre nel frattempo si accumulano le esternazioni in libertà da parte di sindaco e assessori.

Anche dibattere le varianti urbanistiche non è molto facile. Di solito funziona così: il lunedì pomeriggio, in consiglio comunale, vengono annunciate una sfilza di nuove varianti al piano regolatore, proposte dagli uffici generalmente su richiesta del proprietario delle aree su cui bisogna intervenire. Le varianti vengono assegnate alla commissione, e spesso messe all’ordine del giorno del giovedì pomeriggio. Se va bene, il mercoledì pomeriggio ci viene mandato un PDF con una decina di slide che spiegano cosa si vuole fare; se va male, lo scopriamo sul momento il giovedì, e l’unica documentazione che abbiamo è il testo della delibera, e alle volte uno stampato dei progetti (una copia ogni tre consiglieri perché sono grosse tavole a colori).

Il giovedì, la proposta viene esposta dagli architetti e discussa; dopodiché, non di rado ci viene detto che è assolutamente urgente approvarla subito, perché le ruspe son già li pronte e il tempo è denaro, e non possiamo rallentare l’edilizia cittadina solo per le “lungaggini del consiglio comunale”. Se ci impuntiamo, ci viene concessa una settimana di riflessione; se chiediamo di avere la documentazione per discuterne con i cittadini, di solito dobbiamo insistere due o tre volte prima di ricevere in ufficio un bel CD, così comodo da condividere.

Di fatto, esistono varianti che vengono annunciate il lunedì, discusse il giovedì e riportate in consiglio comunale il lunedì dopo, dove vengono approvate definitivamente, di solito senza nemmeno leggerle (non capisco i consiglieri comunali che non fanno parte della commissione come facciano a sapere cosa stanno votando). E’ successo così, ad esempio, per la conversione in appartamenti di lusso dell’Hotel Jolly di piazza Carlo Felice angolo corso Vittorio, approvata ieri; la scusa è che quando aprirà il nuovo hotel nella Casa Gramsci di piazza Carlina (per il quale peraltro non sono nemmeno indiziati veramente i lavori) esso assorbirà il business alberghiero del Jolly (entrambi sono gestiti dal gruppo spagnolo NH). E’ un peccato che quando fu autorizzato l’hotel di piazza Carlina nessuno disse che esso avrebbe comportato la chiusura di quelli già esistenti: alla faccia di Torino città turistica. Addirittura, un emendamento dell’ultimo secondo mette nero su bianco che nella piazza c’è troppo rumore e dunque bisognerà considerare l’idea di calmare il traffico per non disturbare gli inquilini dei nuovi appartamenti…

Le magie dell’edilizia torinese non si fermano qui: ogni settimana se ne scopre qualcuna. Alcune sono frattaglie burocratiche – per esempio è necessaria una delibera di consiglio comunale per autorizzare un tizio a chiudere il suo terrazzo, una speculazione immobiliare da 27 metri quadri. Altre sono più interessanti: per esempio, con la stessa trafila lampo di una settimana si è autorizzata la Compagnia di San Paolo ad aprire gli abbaini nel tetto dell’ex edificio scolastico di piazza Bernini / via Duchessa Jolanda, permettendo un ulteriore piano di uffici – o di appartamenti, se mai l’edificio dovesse essere poi venduto. Per questo genere di operazioni la Città richiede di pagare un compenso pari al 50% dell’incremento del valore di mercato dell’edificio, tolti i costi di realizzazione; in questo caso la cifra stimata era di 5.000 euro, non proprio una grande stima, e gliel’abbiamo pure abbuonata perché poi loro finanziano ogni genere di servizio sociale e culturale in città (io comunque ho preteso un emendamento perché almeno questa cosa fosse messa per iscritto).

Un’altra variante interessante, sempre approvata in una settimana, è quella che permetterà alla società Stige di espandersi su un prato originariamente destinato a parco, che diventerà un bel capannone industriale. Ok, si tratta di un triangolo tra due stradoni, e ci hanno detto che o l’azienda si espande lì o va via da Torino, un aut aut che funziona sempre. Ma pensate che, per poter permettere all’azienda di installare nel nuovo capannone una rotativa grossa e rumorosa, abbiamo anche dovuto ridurre la fascia del silenzio attorno all’adiacente cimitero dell’Abbadia di Stura!

Dopo aver contestato la variante in commissione, ho preso la parola anche in consiglio comunale – interrompendo il pigia-pigia a ritmo da catena di montaggio con cui i consiglieri della maggioranza approvano le delibere che gli vengono sottoposte – per segnalare un problema concettuale: la sostanza è che il piano regolatore è in buona misura inutile, perché tanto, ovunque ci sia un vincolo che non va bene a chi vuole costruire, viene prontamente presentata una variante che il consiglio comunale finisce sempre per approvare. A questo punto tanto varrebbe non avere il piano regolatore…

Uno dei massimi dell’ultima settimana è stata una chicca che ho scovato nel testo della variante che permette la realizzazione di appartamenti per anziani a Porta Palazzo, un progetto che risale addirittura a dieci anni fa. In pratica, un signore che abita nel palazzo adiacente ha tempo fa aperto abusivamente una finestra nel suo bagno; la finestra ora deve essere chiusa, perché dà sulla parete che confinerà col nuovo palazzo. Nel 2007, però, lo stesso Comune ha condonato la finestra, nonostante essa fosse incompatibile col progetto già allora programmato; come risultato, adesso il Comune dovrà sborsare 30.000 euro per compensare il signore per la perdita della sua (ormai perfettamente legale) finestra. Tanto paghiamo noi…

A me piacerebbe molto poter discutere nel dettaglio le varianti urbanistiche, condividere in rete la documentazione, chiedere su ognuna il parere di chi abita in zona, ricevere i commenti di tutti. Come capite, non ce ne danno il tempo. Proporremo di cambiare le tempistiche e di prevedere forme adeguate di consultazione pubblica (dovrebbero già farlo le circoscrizioni, a cui le varianti arrivano prima che a noi… vedi in Circoscrizione 5). Nel frattempo, quel che posso invitarvi a fare è seguire la mia bacheca Facebook il giovedì pomeriggio dalle 16: se ne vedono spesso delle belle.

[tags]edilizia, urbanistica, torino, piano regolatore, consiglio comunale[/tags]

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domenica 18 Settembre 2011, 22:13

Le vie del Signore sono infinite, ma sono anche scritte sbagliate

Come consigliere comunale, ricevo ogni genere di segnalazione – dai problemi più grandi a quelli più piccoli – e cerco comunque di stare dietro a ognuna. Quella che mi è arrivata in settimana su Facebook vince però il premio della più strana: sulle targhe della via che il quartiere Pozzo Strada dedica alla Sacra di San Michele, il nome del monumento è scritto sbagliato.

viasagradisanmichele.jpg

All’inizio non ci volevo credere, anche perché sono cresciuto proprio in questa zona. Oggi però passavo di lì e sono andato a controllare: è proprio vero! Sia le targhe vecchie – quelle in marmo degli anni ’60 – che le targhe nuove – quelle appese e con la superficie catarifrangente – recano l’indicazione sbagliata, per di più con varianti tra “via Sagra di San Michele”, “via Sagra San Michele” e “via Sagra S. Michele”.

Escluso che la città voglia celebrare non il monumento simbolo del Piemonte ma una qualche festa paesana dedicata al santo, mi sono chiesto chi fosse l’ignorante che aveva sbagliato le targhe, e come fargli pagare la correzione. Tuttavia, una simile uniformità – tra targhe comunque realizzate in momenti diversi nell’arco di cinquant’anni – è davvero strana, e allora ho fatto qualche ricerca via Web.

E ho scoperto che anche sul geoportale del Comune – che dovrebbe essere la fonte ufficiale – il nome della via è scritto con la “g”, così come su Tuttocittà; mentre risulta scritto con la “c” su Google Maps e anche sulle mappe dei trasporti pubblici pre-1982, dove la via era riportata in quanto ospitava l’anello di capolinea del tram numero 5 (incidentalmente, dopo trent’anni i binari sono ancora lì). In generale, nell’uso comune compaiono entrambe le forme.

A questo punto il mistero s’infittisce, e le ipotesi possibili sono due: o qualcuno in Comune ha fatto un errore che si è poi trascinato da un documento all’altro, oppure la via, che compare per la prima volta nel piano regolatore del 1908, è stata effettivamente intitolata alla “Sagra di San Michele” con la “g”. Difatti, i termini “sacra” e “sagra” dell’italiano contemporaneo sono la specializzazione dello stesso termine, che nell’italiano ottocentesco veniva spesso scritto indifferentemente nei due modi anche in altre derivazioni (“sacrestia” e “sagrestia”, “sacrifizio” e “sagrifizio” e così via), ed è possibile che cent’anni fa considerassero corretta la versione con la “g”.

Certo, al giorno d’oggi la cosa fa un po’ ridere e dunque si potrebbe anche correggere la dicitura e poi, piano piano, anche le targhe… Girerò la segnalazione agli uffici e vediamo cosa ne viene fuori; comincio però a capire perché tra i consiglieri comunali “veterani” la toponomastica sia l’argomento che più viene considerato rognoso… Però ci sono anche dei vantaggi: chissà che, dopo quasi trent’anni di espressioni tipo “?” (era all’angolo della mia scuola media), non riesca a capire perché Torino abbia dedicato una via al poeta romeno Vasile Alecsandri!

[tags]toponomastica, torino, vie, sacra di san michele[/tags]

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mercoledì 14 Settembre 2011, 21:34

Lo stato del bike sharing torinese

Quella di oggi in commissione doveva essere infine l’occasione per iniziare un’ampia discussione sulla mobilità ciclabile torinese, coinvolgendo la giunta, il consiglio comunale e i ciclisti più attivi; la seduta era stata pubblicizzata in lungo e in largo, con tanto di intervista su Radio Flash al presidente Grimaldi.

Pensate dunque al disappunto quando nella sala, piena di una dozzina di consiglieri comunali e una ventina di cittadini e rappresentanti delle associazioni, è stato annunciato che l’assessore Lubatti aveva dato forfait all’ultimo minuto, e che sarebbe stato presente il solo assessore Lavolta, che occupandosi di ambiente ha la responsabilità delle zone verdi e del bike sharing, ma non delle piste ciclabili, della viabilità e della mobilità in generale.

Lubatti avrà sicuramente avuto un importantissimo impegno, però è recidivo; per esempio, lunedì scorso avrebbe dovuto venire in consiglio comunale a rispondere alla nostra interpellanza sull’assurdo caso delle strisce blu di piazza Emanuele Filiberto, ma anche lì non si è presentato, come già in altre occasioni. Eppure, all’inaugurazione di Porta Susa o alle interviste sui giornali è ben presente, e allora, francamente, far venire decine di persone per poi dare buca non mi sembra certo appropriato.

Se dunque, come me, avete segnalazioni e lamentele sulle piste ciclabili cittadine, ve le dovete tenere ancora un po’; in compenso, il gentilissimo assessore Lavolta ha approfondito il servizio di bike sharing, un successo clamoroso: sono stati raggiunti oggi, a un anno dal lancio del servizio, i volumi previsti per il 2018. Al momento infatti ci sono una sessantina di stalli con circa 600 bici, e sono chiaramente insufficienti; si sta lavorando per raddoppiare sia gli stalli che le bici, espandendosi verso ovest e sud, e cercando però di mantenere una rete in cui ogni stazione sia al massimo a 400 metri dalle altre, perché questo rende utile e flessibile il servizio. Anche i servizi di manutenzione e di “riordino” delle bici, spostandole da dove ce ne sono molte a dove ce ne sono poche, sono insufficienti; e il motivo è che alla fine mancano i fondi, nonostante la città abbia speso circa 700.000 €, a cui si aggiungono 1.300.000 € messi da Regione e Ministero.

I consiglieri comunali hanno fatto varie osservazioni, chiedendo perché non ci sono bici per i bambini e perché non si può portare la bici in metro almeno nel fine settimana (risposta: nei 12 secondi di fermata non la si riesce comunque a caricare in sicurezza). Io ho contestato un po’ il tono di certe osservazioni, perché mi pare di percepire in molti amministratori torinesi l’idea che la bici sia il mezzo con cui si va a fare una passeggiata la domenica nei parchi, idea peraltro che ha dominato la pianificazione delle piste ciclabili sin dagli inizi negli anni ’80 (non a caso la prima pista in città andava dalla Pellerina al parco Ruffini).

Il bike sharing, in realtà, è un mezzo di trasporto pubblico come il treno, la metro e il bus; serve proprio a completare il viaggio per chi scende da uno di questi mezzi e si trova a media distanza dalla destinazione, troppo per andarci a piedi e troppo poco per giustificare un altro bus (che magari non c’è nemmeno). Non è un servizio di noleggio biciclette per turisti, anche se per carità, se i turisti lo usano va benissimo; tuttavia, prendere e posare la bici deve essere come salire e scendere dal tram.

In quest’ottica, ha senso che la Città inizi ad espandere il servizio presso le fermate della metro e dei principali tram, o che ne piazzi una alla stazione Lingotto e un’altra alla nuova sede del Politecnico a Mirafiori, come dovrebbe accadere a breve. (In realtà non le piazza la Città, ma l’appaltatore, che ha in gestione il servizio fino al 2021.) Tuttavia, per finanziare lo sviluppo l’idea della giunta è di chiedere un contributo alle grandi aziende private, che sono (si spera) interessate ad avere il bike sharing davanti all’ufficio… almeno, questo è quello che sperano.

Nel frattempo siamo in attesa di sostituire la tessera con il nuovo biglietto elettronico regionale, che dovrebbe permettere di pagare tutti i servizi di trasporto pubblico in stile Oyster card di Londra. Ma questa è un’altra storia, e per capirne di più ho chiesto alla commissione trasporti di dedicarci un’altra riunione.

[tags]bike sharing, bici, mobilità, trasporto pubblico, torino[/tags]

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lunedì 12 Settembre 2011, 09:05

Vittime della memoria corta

Non mi piace parlare dell’11 settembre 2001, perché la discussione diventa regolarmente un teatrino: c’è chi ricorda queste vittime considerandole un momento fondamentale della nostra storia patria, e chi risponde ricordando per un motivo o per l’altro tante altre vittime: le centinaia di migliaia di civili iracheni ed afgani uccisi (in buona parte da noi occidentali) nella guerra che ne è seguita, o le vittime dell’altro 11 settembre (1973) promosso dagli americani, o le vittime islamiche del fondamentalismo cristiano, a partire dai diecimila morti di Srebrenica, o le vittime del terrorismo e dei disastri nostrani, che spesso aspettano ancora giustizia.

Mi tocca però affrontare l’argomento perché il sindaco Fassino ha già deciso, annunciandolo su tutti i giornali, di intitolare alle “Vittime dell’11 settembre” una via cittadina; in realtà la competenza di questa decisione è della conferenza dei capigruppo del consiglio comunale, e anche se non dubito che i capigruppo della maggioranza alzeranno la manina con obbedienza e faranno ciò che gli viene detto, io sarò comunque chiamato ad esprimermi.

Io sono molto perplesso, intanto perché le strade cittadine dovrebbero essere intitolate a persone che abbiano diretta attinenza con la storia cittadina o nazionale – anche se ogni città interpreta il principio un po’ come vuole, vedasi Grugliasco che ha da poco istituito viale Battisti, dedicato però non al patriota Cesare ma all’indimenticato cantante Lucio.

Il terrorismo è indubbiamente un argomento rilevante e parecchie vittime a Torino già sono state ricordate nella toponomastica; altrettante, però, ancora mancano. In generale la lista d’attesa è lunghissima – contiene dozzine di nomi – e parecchi torinesi illustri, compreso un presidente della Repubblica (Saragat), non solo non hanno una via ma non sono nemmeno stati ancora messi in lista. La toponomastica, infatti, diventa spesso campo di battaglia per rivendicazioni politiche e per la ricerca di visibilità, seguendo l’emozione del momento (ho già percepito una intensa pressione a favore di via Mike Bongiorno), e in questa logica vengono premiati i soggetti che suscitano la maggiore attenzione mediatica.

Tornando però alle stragi, terroristiche e non, sono più quelle mancanti che quelle ricordate – anzi, l’unica “via Vittime” che la città abbia mai istituito è dedicata alle Vittime di Bologna. Niente Fosse Ardeatine, niente Vajont, niente piazza Fontana, niente Ustica, niente rapido 904, niente Capaci (anche se in questo caso c’è via Falcone). E niente 22 settembre (1864), una data che a Torino a tutt’oggi è impossibile ricordare.

Ci si è ricordati solo della Thyssen-Krupp, nonostante non fossero passati i dieci anni richiesti dalla legge, perché era su tutti i giornali; usando peraltro un toponimo lunghissimo, parco Vittime del Rogo del 6 dicembre 2007 nello Stabilimento Thyssenkrupp di Torino, perché evidentemente “Vittime della Thyssen-Krupp” urtava qualcuno di importante. Capite che, a fronte di tutte queste mancanze, mi sembra che l’11 settembre non sia una priorità se non per politici ex di sinistra con l’ansia di dimostrarsi filoamericani e filovaticani.

Io mi sono chiesto se fare una controproposta, chiedendo di ricordare nelle vie anche alcune altre di queste stragi. Il problema è che in questo modo si alimenta il teatrino, la battaglia sulla testa di vittime che sono comunque tutte degne di rispetto, e delle loro famiglie. Una, però, credo proprio che la farò, per ricordare un caso davvero emblematico dell’assurdità di ciò che è ed è stato il terrorismo – a Torino, non dall’altra parte del mondo.

Il 9 marzo 1979, all’angolo di via Millio e via Lurisia, fu assassinato per caso Emanuele Iurilli. Aveva diciotto anni, tornava a casa da scuola e fu ammazzato da una pallottola vagante, durante uno scontro a fuoco tra una volante della Polizia e un commando di Prima Linea, sotto gli occhi della madre che guardava dal balcone. Fatico a immaginare un episodio più orribile e credo che ricordare questo ragazzo in questo momento farebbe un gran bene a tutti.

P.S. Visto che abbiamo parlato di Vajont, vi lascio con questo bel reportage del Movimento 5 Stelle di Belluno: sono queste le cose che mi rendono orgoglioso del nostro movimento.

[tags]terrorismo, vittime, fassino, 11 settembre, toponomastica, torino, prima linea, iurilli, vajont, belluno[/tags]

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venerdì 9 Settembre 2011, 23:26

Benedetta stazione

Questa mattina sono andato all’inaugurazione (parziale) della nuova stazione di Torino Porta Susa, dove una sfilza di autorità – Fassino, Cota, Moretti, Giachino – hanno tagliato il nastro e poi hanno preso un treno della metro, pigiati tra i giornalisti e il codazzo, per dimostrare che funziona. Il treno della metro però era in servizio speciale, infilato in mezzo a quelli normali, e dunque ha proseguito senza fermate fino a Lingotto, dove una improvvida misura di sicurezza è scattata e ha fatto inchiodare il treno all’ingresso della stazione, scaraventando alcune autorità contro le pareti. Poi però siamo tornati indietro senza problemi.

La stazione è molto bella, anche se al momento è un immenso parallelepipedo vuoto; non c’è nulla a parte la fermata della metro e una serie di scale mobili e ascensori. In realtà, se scendete dalla metro, uscite e poi salite ancora fino al livello -1, ci sono tre macchinette in un angolo che vi permettono di fare i biglietti Trenitalia, per poi infilarvi nel sovrappasso A e giungere ai binari; dallo stesso passaggio si può ora uscire in corso Bolzano all’angolo con corso Matteotti.

Ma non è questo ciò che mi ha colpito… mi ha colpito quello che vedete nel video.

Io non ho pregiudizi contro la Chiesa Cattolica; non sono cattolico, non sono nemmeno battezzato, ma in passato non mi sono fatto problemi ad esempio a partecipare ad attività di beneficenza della parrocchia sotto casa. Quello che non tollero però è l’interferenza della Chiesa nella vita pubblica: le facilitazioni fiscali, le sovvenzioni, le intromissioni nella politica – e appunto la pretesa di imporre se stessa sopra le altre religioni nei luoghi pubblici.

Trovo assolutamente inaccettabile che una grande opera pubblica pagata con le tasse di tutti (tranne appunto la Chiesa che ne è in gran parte esente) venga “marchiata” da una e una sola religione, come se tutti i torinesi che ne praticano altre o nessuna fossero cittadini “di serie B” nell’uso dell’opera pubblica suddetta, o infedeli da convertire. Ho scritto una interpellanza che presenteremo quanto prima, per chiedere che Fassino ci spieghi se questi sono i “valori di laicità” a cui lui e i partiti che lo sostengono si sono spesso richiamati. Spero di non essere l’unico che di fronte a queste cose si indigna!

[tags]torino, porta susa, stazione, ferrovie, fassino, chiesa, laicità[/tags]

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