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sabato 5 Marzo 2011, 16:47

Intanto (sull’evasione fiscale)

Parlare di politica è un lusso che non tutti si possono permettere. Intanto, mentre si discute di idee, progetti, alleanze, o magari di correnti, scambi e appalti, là fuori la vita scorre con tutta la sua ordinaria crudeltà.

La storia del titolare di autoscuola ma anche autista GTT che si è ucciso nel laghetto di Italia ’61 per sfuggire ai controlli del fisco è una di quelle che non saranno mai sull’agenda di nessun partito. La politica, se si occupa di persone, lo fa ormai in una logica spietata di scambio di voti e di finanziamento della propria costosissima rete di pubblicità e di clientele. Il signore in questione forse (non lo sappiamo con certezza) era un evasore fiscale, ma visti i fatti non penso che fosse uno di quegli evasori che girano con il macchinone e hanno tre ville al mare. Questi ultimi sono quelli che la fanno franca, spesso perché hanno coperture politiche, amicizie influenti o semplicemente abbastanza denaro da pagare avvocati, politici o magari mazzette. Questi ultimi sono i soli evasori che interessino alla politica.

Non tutti gli evasori sono così; c’è chi veramente non può fare altro, a fronte del fatto che il nostro fisco ti fa pagare non solo le tasse che devi pagare su ciò che guadagni, non solo le tasse che devi pagare su ciò che in teoria guadagnerai ma che il tuo cliente non pagherà mai confidando nella totale impunità, ma anche le tasse che il fisco presume che dovrai pagare, secondo stime sue unilaterali spesso totalmente fuori dalla realtà.

A me ha fatto rabbrividire l’esaltazione positiva con cui è stata accolta qualche giorno fa la notizia che, dopo tre anni di calo, il numero di aziende a Torino ha ricominciato a crescere. Quelle tremila partite IVA in più sono quasi sempre persone lasciate in mezzo a una strada dal mondo del lavoro, persone che, non sapendo che fare, si mettono in proprio per mancanza di alternative. Quasi mai una avventura imprenditoriale che parte con queste premesse può avere successo, perché anche l’imprenditore, come tutti gli altri, è un mestiere che richiede esperienza e preparazione specifica (a meno di non avere, come si dice, il “culo parato” dai meccanismi di cui sopra).

Anche l’evasione fiscale, come l’immigrazione, è un argomento devastato dall’ideologia. Quasi sempre – persino nei commenti al minipost di Grillo qualche giorno fa – la discussione viene impostata come “lavoratori dipendenti contro lavoratori autonomi”, con ciascuna delle due tifoserie a sostenere che l’altra è quella che ruba di più. Questa impostazione non ha più alcun senso, se non altro perché milioni di persone che trent’anni fa sarebbero stati dipendenti ora sono, nell’attuale ordinamento del lavoro, lavoratori autonomi, ma per finta; partite IVA che fatturano sempre la stessa cifra alla stessa azienda, o precari abbandonati a se stessi. Non è più vero che l’autonomo è sempre la parte più ricca o più forte.

La vera distinzione da fare è tra chi ruba e chi non ruba, sapendo che chi non ruba è soggetto a una pressione fiscale fuori da qualsiasi logica, dovuta alla necessità di pagare le tasse anche per chi non le paga, e di pagare le tasse per mantenere un paio di milioni di persone che in Italia vivono di politica invece di lavorare. La vera lotta è dunque di chi vuole vivere in un paese civile, qualsiasi sia il lavoro che fa, contro chi questo Paese lo deruba con l’evasione, con l’assenteismo e con le raccomandazioni, dipendente o autonomo che sia.

[tags]evasione fiscale, lavoro, tasse, fisco, tragedie, politica, clientelismo[/tags]

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giovedì 3 Marzo 2011, 17:41

Goodbye Malincònia

Ieri è successo di nuovo. Ieri sera sono andato allo stadio, un’occasione di svago come tante, una serata tra amici. Nell’intervallo come sempre si chiacchiera, ci si raccontano le novità, e così mi sono sentito dire: “Sai che c’è? Me ne vado.” Ma non “me ne vado” perché il Toro per l’ennesimo anno fa schifo, “me ne vado dall’Italia”. In Brasile, a lavorare. Per sempre (i più pudichi dicono “un anno o due, per guadagnare un po’”, ma poi sai che facilmente sarà per sempre).

Solo nell’ultimo mese me l’hanno detto in tre, due vanno in Brasile e uno a Londra. C’è chi va con la famiglia e chi la lascia qua, c’è chi te lo dice con rabbia e chi te lo dice con sollevazione, come la fine di un incubo. Tutti hanno in comune il fatto di essere persone capaci; d’altra parte all’estero i cazzari non trovano spazio facilmente come da noi. Tutti hanno resistito fin che potevano, ma poi sono arrivati al punto: “che ci sto a fare io ancora qui?”

Chi ha girato il mondo lo sa, l’atmosfera altrove è molto diversa. Il resto d’Europa non fa scintille, ma almeno è civile, serio e ordinato. In altre parti del mondo, come appunto in Brasile, l’economia cresce, la gente ha voglia di fare, l’età media è più bassa, le cose si muovono. In Silicon Valley o in Cina si respira il futuro; non tutto luccica, anzi, ma l’aria profuma di speranza, e se non capite cosa intendo è perché questo profumo da noi si è perso da moltissimo tempo.

Chi resta qui è spesso, per forza di cose, ultraconservatore; oltre ai più deboli, qui resta soprattutto chi è troppo vecchio per andare, oppure chi ha una qualche forma di protezione (o pensa di averla) e si concentra sul difenderla con le unghie e con i denti. La valanga di voti per Fassino è anche un desiderio di mettere la testa sotto la sabbia, di fare finta che il tempo possa tornare indietro, che possano ritornare gli anni ’80. E poi, restiamo noi che non ci arrendiamo, che non ci vogliamo credere, che ancora vogliamo provare a salvare l’Italia, e però siamo sempre di meno, e ci chiediamo quanto potremo resistere se il resto del Paese non ci darà una mano.

[tags]emigrazione, giovani, lavoro, torino, fassino, brasile, caparezza, tony hadley[/tags]

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mercoledì 2 Marzo 2011, 19:50

Il Numero

Mi è arrivato così, per caso, assolutamente inatteso, piombando nella mia Inbox in una mail di due righe: Il Numero.

Il Numero, da anni, è il santo Graal di ogni movimentista. Solo una quantità limitata di persone possiede Il Numero; alcuni l’hanno ottenuto per merito e per assiduo attivismo, altri perché son tanto vecchi e quando c’erano loro qui era tutta campagna e ci si conosceva tutti, altri ancora per un caso fortunato, per una necessità improrogabile, per una sbirciata furtiva.

Io non ho mai fatto parte di questo club. In quanto italiano atipico, non sono una persona interessata alle relazioni, alle rubriche di VIP. In un modo o nell’altro dispongo di alcuni numeri piuttosto riservati, ma solo perché mi sono capitati, non perché li abbia cercati; né giudico le persone da chi hanno sul telefono (anzi, normalmente più sono vicini al potere e più sono stronzi). Non ho mai chiesto Il Numero, anche se alcuni amici e stretti compagni di viaggio ce l’hanno da anni; al massimo, se serviva, ho chiesto a loro di telefonare.

Peraltro, io odio il telefono e ne faccio un uso limitato, sia per scocciare che per essere scocciato. La mail è cortese, entra nella tua vita in punta di piedi, decidi tu se leggerla o meno, se rispondere o meno. La telefonata è dirompente, interrompe senza ritegno chiacchierate, cagate, scopate, riunioni, divertimenti, tragedie. Per me telefonare è sempre un po’ stuprare la vita degli altri, e dunque lo faccio il meno possibile. A fine anno, Vodafone ai miei amici regala un cellulare nuovo, e a me invece fa chiamare da un telefonista kosovaro che in italiano stentato mi dice “beh? vedi di telefonare un po’ di più l’anno prossimo, cretino!”.

Però, insomma, ho avuto Il Numero, e pure un motivo per usarlo. Urgente. Ragionevolmente importante. Più che giustificato. E nemmeno per rompere i coglioni, come certa gente che conosco, che ottiene Il Numero e poi lo usa per questioni personali. Io dovevo pure fargli un favore.

E così, alla fine ho chiamato.

E, belin, non mi ha risposto nessuno.

[tags]numeri, vip, telefono, rapporti, rompere i coglioni alla gente[/tags]

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martedì 1 Marzo 2011, 20:01

Dell’onestà dei disonesti

A voi forse sembrerà che l’onestà sia un concetto semplice e lineare: onesto è chi non mente e chi rispetta le regole date dalla società. Eppure poche cose dimostrano come l’onestà sia in realtà un concetto complesso quanto ciò che è successo in questi giorni in Germania.

Per i pochi che non lo conoscono, il caso è questo: si è scoperto che il ministro tedesco Guttenberg, brillante 39enne, ottenendo quattro anni fa il dottorato di ricerca, ha copiato da altri lavori più o meno metà della sua tesi. Nessuno mette in discussione la sua intelligenza o la sua preparazione, né la sua adeguatezza agli incarichi politici che ricopre, per i quali è invece molto apprezzato e amato dagli elettori; può anche darsi che l’espediente sia stato solo un modo per far prima, tra un impegno e l’altro. Eppure, non ci sono stati sconti: in Germania una persona che copia e mente sulla paternità di un proprio lavoro non è moralmente adatto a fare il ministro, e Guttenberg si è dimesso.

Ora, noi potremmo comparare questo caso con la ministra italiana Gelmini, 37enne dalle dubbie qualità, la cui preparazione e i cui meriti per il ruolo che ricopre non sono granché evidenti. La ministra, dopo un diploma di maturità ottenuto in una scuola privata cattolica dopo aver frequentato senza grande successo due diversi licei pubblici, e dopo una laurea in giurisprudenza nella sua natìa Brescia su cui anche le sue compagne di studi si mettono a ridere, ha ottenuto l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato trasferendosi a sostenere l’esame a Reggio Calabria, ed offrendo lei stessa in una intervista questa motivazione: “sono andata a farlo a Reggio Calabria perché a Brescia non si passava”.

Ecco, anche questa ammissione è un’altra forma di onestà, l’onestà dei disonesti, anche se suona più che altro come una presa in giro per chi in Italia ancora studia seriamente. Ma non è questo il punto; il punto è che da noi nessuno ritiene che questo, da solo, sia un motivo sufficiente perché questa persona non possa fare il ministro. Per chi ne chiede le dimissioni, questi fatti sono solo un rafforzativo per le critiche alle sue proposte, o al massimo una dimensione di distinzione umana, “noi siamo quelli che studiano e loro sono quelli che si arrangiano”. Ma se da noi qualcuno chiedesse le dimissioni di un ministro sulla sola base del fatto che ha scelto per dare l’esame il luogo “in cui si passava”, sarebbe preso per pazzo.

Il concetto di “onestà” è pesantemente culturale; ciascuno di noi valuta l’onestà in base al comportamento di chi gli sta attorno – della propria famiglia, nella prima fase della vita, e poi di tutta la società, e specialmente delle persone più conosciute e visibili. Ci vuole un grande sforzo per imporsi un criterio di onestà diverso da quello socialmente definito; è ciò che si chiama “coscienza”, e una persona la sviluppa solo quando diviene veramente adulta – il che, nell’Italia di oggi, spesso non avviene mai. In Italia, poi, la stessa idea di “regola” è un concetto complicato, poco chiaro, soggetto a continui doppi standard per cui la norma scritta non è quasi mai quella applicata, anzi è talvolta del tutto inapplicabile, tutti lo sanno e va bene così; una disonestà disonesta non è accettabile, ma una onesta disonestà è considerata normale, fa parte della vita.

Il danno devastante dunque è proprio questo: le ultime generazioni di italiani sono cresciute con un concetto di onestà completamente diverso da quello utilizzato nel resto d’Europa, e totalmente malato. Forse sarebbe ora di cominciare a pensare a come affrontare questo problema.

[tags]onestà, dimissioni, ministro, germania, guttenberg, gelmini, società, cultura[/tags]

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lunedì 28 Febbraio 2011, 18:13

Quattro chiacchiere con Piero e Sergio

Sabato pomeriggio, ultimo giorno di campagna elettorale per le primarie del centrosinistra, lasciato il nostro gazebo in piazza Castello, giravamo per via Garibaldi quando abbiamo incontrato Piero Fassino, scortato dal sindaco uscente Chiamparino e dall’ex sindaco Castellani. Il nostro candidato Fabio Versaci li ha bloccati e ha fatto qualche piccola domanda, e in pochi minuti Piero & Sergio ci hanno tranquillamente detto che:

– l’accordo di Mirafiori era un ricatto di Marchionne ma “alle volte bisogna saper accettare i ricatti”;

– è vero che in termini di diritti sul lavoro stiamo andando indietro ma beh, c’è poco da fare, ringraziamo ancora che non ci lasciano tutti a morire di fame;

– l’inceneritore (materia su cui Fassino sembrava impreparato) è necessario perché è impensabile che a Torino si faccia più del 50% di raccolta differenziata (…);

– l’inceneritore non fa male… però, insistendo… beh, “è chiaro che qualcosa nell’ambiente ci va”.

E meno male che questi sono gli esperti politici professionisti che sanno gestire le cose nell’interesse di tutti…

[tags]chiamparino, fassino, elezioni comunali, torino, primarie, inceneritore, lavoro, mirafiori, marchionne[/tags]

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domenica 27 Febbraio 2011, 13:09

Le primarie di bellezza

Oggi si svolgono le primarie del centrosinistra – che, a dimostrazione del peso politico molto ridotto delle altre aree, dai giornali alla gente tutti chiamano “le primarie del PD” – e, alla luce dello spettacolo che si è visto in queste settimane, sono contento che noi alla fine non le abbiamo fatte.

La teoria delle primarie, quella di inserire un meccanismo di controllo dei cittadini sulla scelta del candidato, è condivisibile, anche se la soluzione vera sarebbe quella di avere sistemi elettorali basati sulle preferenze, in cui sindaci e parlamentari non siano scelti a priori dai partiti. La realtà però è che, in Italia, le primarie scatenano una totale personalizzazione della politica in cui non si discute tanto di idee, quanto della simpatia che emanano i candidati; diventano un “concorso di bellezza” in cui i candidati sfilano sul palco e cercano di sembrare più attraenti degli altri alla prima impressione, l’unica che conta per la maggior parte di quelli che poi vanno a votare; e cercano nel frattempo di conquistarsi sottobanco l’appoggio di questo o quel capetto e del suo gruppetto d’interesse.

In queste settimane si è parlato poco di programmi, anche perché i candidati hanno più o meno promesso tutto a tutti e detto quasi le stesse cose (come peraltro è giusto che sia, visto che alla fine dovranno rappresentare la stessa coalizione), e hanno cercato di qualificarsi con caratteristiche che non hanno nulla di sostanziale. “Giovane contro vecchio” può avere senso se la differenza generazionale sta nella mentalità, nelle esperienze e nei progetti, non se si tratta di due politici di professione differenziati soltanto dalla fase di carriera; “torinese contro romano” è un giudizio superficiale e tutto da dimostrare. L’argomento di Gariglio è stato tappezzare la città di pubblicità (ma chi la paga?) e offrire alla folla un concerto di Simone Cristicchi; l’argomento di Fassino è stato il farsi raccomandare da Chiamparino.

Sono rimasto anche un po’ deluso dai candidati più di sinistra, quelli con cui peraltro, da quel po’ di differenze che emergono, mi sono trovato più in sintonia, se non altro perché parlano anche un po’ di solidarietà e di ambiente invece che di Marchionne e cemento. Proprio questo però è un problema: come può una persona come Passoni (che sarà pure bravissima, non contesto il piano personale), dopo essere stato fedelissimo assessore al Bilancio di Chiamparino, presentarsi come alfiere di un cambiamento di rotta? E come si può dire di essere contro inceneritori e TAV offrendosi allo stesso tempo come candidati sindaco di una coalizione che li ha nel programma da tutti sottoscritto? Non c’è una grossa incoerenza di fondo, non necessariamente in malafede o (come dicono i maligni) calcolata per tener buoni gli elettori più critici verso la coalizione e convincerli a sostenerla comunque, ma comunque incoerenza?

Ieri in piazza ho fatto una chiacchierata con Michele Curto, il candidato più giovane e quello più estraneo ai partiti (anche se secondo Lo Spiffero gli stessi dirigenti piddini considerano la galassia del gruppo Abele come un partito della loro coalizione…). Ovviamente ci siamo trovati in sintonia quasi su tutto, tranne che sulla scelta di stare dentro quella coalizione. Ho sentito fargli dai suoi simpatizzanti gli stessi incoraggiamenti sinceri ed entusiasti che riceviamo noi: la “base umana” è la stessa. Sarei molto contento se in futuro ci fossero occasioni di collaborare, ma continuo a non capire il voler stare nel sistema a tutti i costi.

Come finirà mi interessa poco: tra Fassino o Gariglio cambiano solo gli azionisti di riferimento; di Fassino almeno sappiamo che è veramente vecchio, mentre Gariglio è fintamente giovane. Per Gariglio tifano tutti i signori delle tessere; addirittura si dice che alcuni capibastone piddini, di quelli che con le preferenze ottengono appalti miliardari per le loro cooperative, abbiano organizzato i pullman per portare la gente a votarlo. Per Fassino tifa la dirigenza romana, ma si sentono strani scricchiolii: farà il pieno di voti tra gli ultrasessantenni, ma il resto della città non lo sopporta. Alla fine, noi abbiamo preso la nostra strada da tempo e senza dubbi; Fassino o Gariglio non fa differenza.

[tags]primarie, pd, centrosinistra, elezioni comunali, torino, fassino, gariglio, passoni, curto[/tags]

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venerdì 25 Febbraio 2011, 18:11

I furbetti alla guerra di Libia

Dunque, mettiamola così: siete perfettamente coscienti di vivere in un Paese governato da una finta democrazia, ma in realtà in mano a un dittatore che controlla anche buona parte dell’economia della nazione e che ogni giorno si esibisce pubblicamente in comportamenti squallidi – esibizione di donne-oggetto, minacce ai giornalisti e vanterie ridicole – che in tutto il mondo gettano discredito su di voi. Non pensate che sia abbondantemente giunta l’ora di ribellarsi, non necessariamente in maniera violenta, ma di scendere in piazza fin che non sarà costretto ad andarsene?

Se avete risposto di sì, allora come mai nessuno in Italia si aspettava ciò che sta succedendo in Libia?

La risposta è facile quanto scomoda: perché l’italiano medio, vedendo Gheddafi, ha sempre pensato che in fondo era il capo di quel Paese perché quel Paese era come il suo capo, perché i libici erano beduini ignoranti a cui probabilmente tutta quell’esibizione di baracconate luccicanti e di harem di giovani vergini piaceva un mucchio.

Di qui la sicumera con cui tutte le istituzioni e le grandi aziende del Paese – dall’Eni alla Fiat passando per Unicredit – si sono concesse al leader libico, dandosi di gomito e autocomplimentandosi per la furbizia e la spregiudicatezza nel fare affari con Gheddafi, contando sul fatto che tanto lui e i suoi figli sarebbero rimasti al potere per sempre, e accettando di umiliarsi nelle sue buffonate pur di guadagnarci.

Ora gli italiani furbetti sono stati puniti: se la rivoluzione libica si compierà, probabilmente le nostre aziende saranno cacciate dalla Libia a calci nel sedere, se non peggio; se non si compierà, probabilmente scatterà un embargo internazionale verso la Libia che distruggerà i loro affari.

E in più, a noi italiani resta in mano un’ultima domanda: ma se abbiamo fatto affari con Gheddafi considerando i libici un mucchio di fessi inermi che non l’avrebbero mai cacciato, come possiamo lamentarci di quando all’estero ci considerano tutti un mucchio di fessi inermi che continuano a tenersi Berlusconi?

[tags]libia, italia, gheddafi, berlusconi, dittatura, democrazia, rivolte, affari, fessi[/tags]

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mercoledì 23 Febbraio 2011, 15:48

Sogno e realtà nei trasporti milanesi

In questo veloce giro milanese mi è capitato di scontrarmi di nuovo con i trasporti pubblici lombardi, e di verificare con mano la differenza tra annuncio e realtà.

Alle stazioni infatti sono ben visibili gli annunci di una serie di novità nel trasporto regionale: in pratica la regione ha introdotto un abbonamento “globale totale” che permette di usare qualsiasi mezzo pubblico in tutta la Lombardia, dal bus alle funivie, dai treni ai battelli, per 99 euro al mese. E mi sembra un’ottima idea per chi si sposta molto. Poi, la regione offre sconti sugli abbonamenti familiari: addirittura, se ho visto bene, dal terzo figlio in poi l’abbonamento è gratis e già il secondo lo paga pochissimo, e inoltre ogni abbonato adulto può portare con sè un figlio o nipote bambino gratuitamente. Tutto bellissimo. E poi, in tutti i capoluoghi di provincia viene introdotto l’abbonamento treno + mezzi urbani. Fantastico, il Piemonte prenda esempio.

Poi ti scontri con la realtà. E la realtà è che io dovevo andare da Porta Venezia a Porta Garibaldi senza prendere il passante, perché poi da Garibaldi dovevo proseguire in metro con il mio socio e così potevo usare un biglietto solo. A piedi ci va mezz’ora scarsa, è un percorso che ho fatto varie volte, ma non volevo presentarmi sudato stile maratona, e dunque ho pensato: ci sarà un mezzo di superficie che fa questo percorso, in cinque minuti son là.

Anzi, sapevo, per esserci passato davanti varie volte, che da Repubblica c’era un pullman intuitivamente denominato 29-30 Collegamento che andava a Garibaldi. Questo perché le linee 29/30 sono l’equivalente tramviario sulla circonvallazione interna di ciò che sono i filobus 90/91 sui viali esterni: sono due circolari e il numero distingue il verso di rotazione (noi torinesi invece usiamo la stessa numerazione nei due versi, 16 destro e 16 sinistro). Poi, per i lavori di Porta Nuova, hanno interrotto la circolare e dunque è rimasta una sola linea non circolare con un percorso a U, denominata 29/30, e appunto una navetta di collegamento per il tratto mancante.

Ora, alla stazione di Porta Venezia, nell’atrio del passante, c’è una cartina della città con i percorsi dei mezzi: sono andato a controllare e con mia sorpresa ho trovato il 29/30 ripristinato sul suo percorso. Bene, ho pensato, hanno finito i lavori e riattivato il tram, che efficienti. Fatta la mia commissione vado alla fermata, e trovo una situazione un po’ confusa: il pannello indica solo il 9, alla palina c’è scritto anche 29, ma non passa. Alla fine intuisco che qualcosa non va, prendo il 9 e vado fino a Repubblica.

Alla fermata del 9 in cui scendo c’è un’altra cartina: questa volta riporta la situazione che conoscevo io. Bene, mi basta attraversare la piazza e prendere il 29-30 Collegamento. Vado alla fermata, e trovo un cantiere che la circonda; tutto per aria, e soltanto un vecchio e arrugginito cartello di forma ottocentesca a indicare una fermata provvisoria, senza indicare che linee vi transitano. Perdo di poco un bus col numero 37: poco male, non è il mio. Aspetto, aspetto, aspetto… e arriva un altro 37: orribile sospetto. Chiedo all’autista: il 29-30 Collegamento non esiste più, è sostituito dal 37. Che non era indicato su nessuna delle due cartine.

E’ un po’ tutto così: per esempio, col nuovo orario hanno di nuovo rivisto le fermate a Rho dei treni regionali Torino-Milano. Sono treni pagati dal Piemonte per i pendolari piemontesi, e a noi piemontesi serve che fermino a Rho Fiera, da dove si può prendere direttamente la metropolitana. Ma ai pendolari milanesi fa comodo la fermata a Rho Centro, storicamente attiva da sempre, e allora giù di comitati e proteste. La soluzione? Col nuovo orario, circa metà dei treni ferma a Rho e l’altra parte ferma a Rho Fiera. Ma senza un pattern prevedibile: devi sapere a memoria quali fermano qui e quali fermano là. Se tu arrivi dal passante ferroviario e vuoi scendere per prendere il treno per Torino, devi sapere prima senza errori quale delle due è la fermata giusta per quell’ora lì: se no, scendi e ti vedi il regionale sfrecciare davanti senza fermarsi, e perdi un’ora. Ti succede una volta, e la volta dopo li mandi tutti a cagare e prendi l’auto. Geniale.

Ecco perché quando vedo i mirabolanti annunci sul trasporto pubblico sono contento, ma so che poi la realtà è un’altra cosa, fatta di tanti piccoli dettagli che però, se mal gestiti, rendono il sistema quasi inutilizzabile.

[tags]trasporti, lombardia, piemonte, treni, bus, milano, torino, rho[/tags]

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domenica 20 Febbraio 2011, 13:55

Mettiamo a fuoco Pisapia

Un commento volante sul “casa-gate” milanese di Pisapia, fatto ieri su Facebook, ha dato origine a una lunga e accesissima discussione… e allora vorrei condividere qualche riflessione e chiarire meglio il mio pensiero.

Innanzi tutto i fatti: a Milano si è scoperto che il Pio Albergo Trivulzio (proprio quello di Mario Chiesa), invece di affittare i propri appartamenti (molti nelle zone più eleganti e costose del centro) a prezzo convenzionato ad anziani indigenti, o di affittarli a prezzo di mercato per poi impiegare i soldi ricevuti per l’assistenza, li affittava a prezzo stracciato alla “bella gente” milanese: manager come Ariedo Braida (DG del Milan), politici come Testoni e Buonocuore (PDL), parenti di politici come il nipote dell’ex sindaco craxiano Pillitteri, parenti di manager come il fratello di Montezemolo, e infine anche la giornalista di Repubblica Cinzia Sasso, compagna del candidato sindaco del centrosinistra Giuliano Pisapia. Gente di ogni colore e pensiero accumulata da una cosa sola: far parte di una élite cittadina e avere per questo un privilegio economico di ingente valore.

Quanto sopra accade in ogni città e con ogni tipo di “amico degli amici”; anni fa a Roma c’era finito dentro pure D’Alema, anche perché tra i padroni di casa molto gentili e generosi ci sono non solo gli enti di beneficenza e gli enti pubblici, ma anche banche e assicurazioni di destra e di sinistra. Ovviamente quel che stupisce (gli ingenui) in questo caso non è il coinvolgimento di manager e politici di centrodestra, la cui furbetteria è data per scontata, ma il coinvolgimento della persona che si presenta per riportare moralità, legalità e giustizia sociale a Milano, un politico da sempre rosso che più rosso non si può.

Si sprecano in giro i commenti moralisti: è un corrotto perché avrebbe dovuto denunciare, avrebbe dovuto rinunciare. Avrebbe davvero dovuto dire alla compagna di lasciare la casa, peraltro ottenuta prima che si conoscessero e dunque, quasi certamente, senza il suo interessamento? No, secondo me no, non è questo che mi scandalizza. La responsabilità primaria di una situazione così è soprattutto di chi ha gestito l’ente, e non sappiamo nemmeno bene come e perché la signora Sasso abbia ottenuto l’alloggio; e quasi certamente Pisapia non c’entra nulla con l’assegnazione, e non aveva né la responsabilità né la possibilità di cambiare le politiche dell’Albergo Trivulzio.

La cosa che mi disturba è invece il commento di Pisapia sul suo blog. Invece di scusarsi, di riconoscere che effettivamente la sua compagna gode di un privilegio iniquo, di impegnarsi se diverrà sindaco ad azzerare tutti questi contratti d’affitto e far sì che il malcostume cessi, si lancia in un poco credibile grido al complotto, ai giornalisti prezzolati che ce l’hanno con lui. E’ questo per me lo scandalo! Sappiamo tutti come funziona l’Italia, come spesso il moralismo sia ipocrita e fuori luogo, come i media siano pilotati, ma io pretendo di affidarmi a persone che si impegnino a cambiare il sistema e non a perpetuarlo o a giustificarlo. Su questo, lui dice solo “state certi che contro quelle inefficienze mi batterò”, fallendo in due punti: primo, nel definirle “inefficienze” invece che, come sono, ingiustizie; secondo, nel non prendere alcun impegno concreto e credibile.

E’ probabilmente questa la cosa che più danneggerà Pisapia: molti, da oggi, pensano – anzi, no: sentono – che lui non sta dalla parte di chi vuole cambiare le cose davvero, ma dalla parte (ben affollata) di chi recita di volere il cambiamento solo per avvantaggiarsene. Pisapia ha dimostrato di essere un esponente di quella “sinistra col cachemire” che a parole vuol fare la rivoluzione, ma che poi ama i salotti e le belle case in centro. In questa vicenda Pisapia e la sua compagna non hanno commesso alcun reato, ma hanno dimostrato di far parte di quella cerchia di privilegiati il cui stile di vita è pagato anche con l’abuso e la privatizzazione dei beni comuni; una cerchia con cui i suoi potenziali elettori non vogliono avere più niente a che fare.

[tags]milano, pisapia, affittopoli, trivulzio, case, moralismo, privilegi[/tags]

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venerdì 18 Febbraio 2011, 20:54

La pazzia

Il mondo è pieno di problemi.

Probabilmente lo sapete tutti, ma, quando si sceglie di dedicarsi per un certo periodo della propria vita alla politica, si scopre questa verità molto più direttamente e dolorosamente. Scopri storie incredibili di vessazione, di ingiustizie, di sfortuna, e poi scopri anche normalissime storie di qualcosa che non va e che andrebbe sistemato, solo che sono tantissime.

Vorresti avere la bacchetta magica per fare qualcosa per tutti, ma a malapena riesci a trovare il tempo per ascoltare tutti quelli che vogliono dirti qualcosa, figuriamoci per agire su tutte le questioni sollevate.

E’ per questo che l’unica idea che può funzionare è quella che sta alla base del Movimento: ognuno si attivi in prima persona su qualche problema che lo tocca direttamente, e poi organizziamoci a rete, con qualche persona che vada nelle istituzioni a fare da terminale di ciò che deve passare di lì – e magari altre persone che fanno altro, chi fa informazione, chi fa fiato sul collo, chi dà consulenze informatiche o legali.

E’ difficile dire questa cosa a chi viene da te sperando che tu gli risolva il problema, o anche solo che tu possa essere una persona in più che dedicherà le giornate alla sua questione (che peraltro, presa singolarmente, spesso meriterebbe davvero una mobilitazione). Ed è frustrante non potere aiutare tutti su tutto, e allo stesso tempo non avere tempo per niente, sentirsi sopraffatti dalla stanchezza e dalle cose da fare.

D’altra parte, rimettere a posto una intera città è una sfida da pazzi: e poiché solo i pazzi possono cambiare il mondo, basta il pensiero a far tornare le energie.

[tags]politica, attivismo, impegno[/tags]

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