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Archivio per il giorno 3 Ottobre 2006


martedì 3 Ottobre 2006, 22:25

En plein

Oggi è stata una giornata dedicata in buona parte al Toro: non solo per la mattinata spesa in Municipio assistendo all’audizione delle commissioni comunali relativa alla ricostruzione dello Stadio Filadelfia, e per un brevissimo passaggio di cinque minuti all’allenamento pomeridiano; ma perchè stasera ho fatto un en plein.

Difatti, prima – alle 19 – La Stampa organizzava un botta e risposta via forum con il presidente Cairo, e tra il centinaio abbondante di domande inviate gli hanno fatto rispondere a una decina tra cui la mia; e Cairo mi ha dato lezione di bilancio ma si è dichiarato d’accordo :-)

E poi, alle 21, Alessandro Rosina, dal ritiro della Nazionale Under 21, si è messo dietro a un PC e, su una sezione speciale del suo forum, ha chiacchierato amabilmente con un manipolo di tifosi, rispondendo anche lui a un paio di mie domande. In generale, abbiamo scoperto che dal campo dell’Olimpico il tifo si sente molto di più che al Delle Alpi, abbiamo saputo che sono tutti carichi e incacchiati per l’intesa che manca e i risultati che non vengono, abbiamo ricevuto la promessa di una esultanza sotto la curva Primavera, e ho avuto la sensazione di una persona che, giocando a poco più di vent’anni nel ruolo più stressante di tutti, dimostra già una maturità e una consapevolezza sorprendenti.

Certo che Internet rende davvero più vicine le persone; questi saranno pure dei “token effort” più unici che rari (anche se Rosina ci ha lasciato dicendo “alla prossima settimana…”), ma creano comunque delle opportunità per comunicare e per conoscersi, abbattendo paradossalmente le barriere che le differenze di posizione sociale e di ruolo creano nel mondo fisico.

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martedì 3 Ottobre 2006, 00:01

Big change, no change

Ovvero: cambiare tutto per non cambiare niente. Il governo americano deve essere andato a scuola dal suo storico alleato Andreotti, se per mantenere il controllo di ICANN di fronte alle crescenti pressioni internazionali ha scelto la più classica delle formule dorotee.

Con la fine di settembre scadeva l’ultima proroga dello storico “memorandum of understanding” tra ICANN e il governo americano, che, con il complemento di altri documenti, stabiliva che cosa ICANN dovesse fare, con tanto di elenco dettagliato di attività che l’organizzazione doveva realizzare entro la scadenza del contratto.

Da mesi ci si chiedeva cosa sarebbe successo di questo accordo: se è vero che al summit di Tunisi ci si era accordati per ricercare un “nuovo modello di cooperazione” e quindi un nuovo ruolo dei governi nel controllo degli identificatori unici della rete (nomi a dominio e indirizzi IP), in pratica entrambe le opzioni erano sgradite: rinnovare l’accordo avrebbe voluto dire ribadire il principio secondo cui era il governo americano a stabilire il piano di lavoro di ICANN, mentre lasciarlo scadere senza sostituirlo avrebbe lasciato ICANN sostanzialmente senza controllo.

E allora, che cosa si sono inventati? Semplice: via il memorandum of understanding, arriva il joint project agreement: il governo americano e ICANN, da pari a pari, si mettono d’accordo su cosa si debba fare. Formalmente è un passo avanti; in pratica cambia poco.

Del resto, due sono le cose che veramente stanno a cuore al governo americano: che i cambiamenti al file radice del DNS – il file che contiene l’elenco dei domini di primo livello, sia generici che nazionali, e stabilisce chi gestisce ognuno di essi – continuino a richiedere la sua approvazione, e che tutti i possessori di domini del mondo siano obbligati a identificarsi e pubblicare i propri dati nel Whois, in modo che le multinazionali della proprietà intellettuale possano molestarli con efficacia. La prima cosa è prevista da altri accordi che restano bellamente in vigore; la seconda è stata esplicitamente inserita (al punto 5 dell’allegato A) come una delle clausole obbligatorie e perentorie che ICANN deve rispettare, nonostante sia, ai sensi delle leggi sulla privacy di tutto il resto del mondo, completamente illegale, tanto che gli stessi organismi interni di ICANN stavano per approvare una riforma del sistema (pericolo scampato, penserà la RIAA).

E il resto del mondo? Immagino che, volendo, anche gli altri governi del mondo potrebbero chiedere ad ICANN di fare un bel progetto insieme, e firmare il loro bell’accordino con cui baloccarsi. La verità, difatti, è che il potere di controllo esercitato da ICANN non deriva affatto dai soli accordi con il governo americano, o dalla sua struttura formale.

Deriva invece in gran parte dalla rete di relazioni interpersonali che c’è al suo interno e nelle altre organizzazioni che gestiscono la rete, da un management quasi tutto anglosassone, da quelle poche persone influenti che prendono le decisioni nei corridoi o davanti al buffet, e che appartengono tutte all’aristocrazia del grande business americano del settore (AT&T, Cisco, IBM, e le immancabili Google e Verisign, le centrali informative globali dell’America in rete).

E quindi, le forme cambiano per dare qualche contentino, se non proprio per darla un po’ a bere ai governi di mezzo mondo, un po’ gonzi e un po’ duri a comprendere il ventunesimo secolo, quello dove il controllo globale degli affari e dei flussi informativi determina un potere ben superiore a quello di qualsiasi legge nazionale o accordo diplomatico.

Ma finchè l’Europa non comincerà ad usare tecnologie e servizi propri, invece di quelli americani, resterà sempre la periferia dell’Impero.

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