Il Natale, sotto sotto, lo odiano tutti, o perlomeno in tanti; non solo per gli ingorghi, il consumismo, le mail animate da tre megabyte, l’ipocrisia degli auguri a tappeto, anche a gente che nemmeno conosci o che magari per il resto dell’anno maltratti senza pietà .
Festeggiare il Natale – il momento in cui le giornate riprendono ad allungarsi e la vita incomincia a rifiorire – è un’esigenza archetipica dell’essere umano, che precede la nascita di Cristo; eppure, proprio per questo, coincidendo con la ripartenza del ciclo delle stagioni e del calendario, è il momento in cui ci si trova più soli con se stessi. Nè aiutano le cene collettive, l’accavallarsi di eventi che ti forzano a scegliere se unirti a questo o a quell’altro – scontentando per forza qualcuno – e in più, grazie al gigantismo della festa, ti costringono all’anonimato delle lunghe tavolate.
In più, quest’anno, io mi sento in mezzo al guado. Gli ultimi sono stati Natali tristi, parte di un brutto periodo della mia vita; un periodo di quelli che finiscono nascosti sotto il tappeto delle immancabili soddisfazioni professionali, ma che segnano comunque in profondità la tua esistenza. Il 2006 è stato un anno di ripresa timida, un po’ come l’economia, arrivando comunque, durante l’autunno, ad avere dei giorni finalmente felici, io e la mia bicicletta sotto il sole freddo. Ma per quanto ora sia piuttosto contento della mia vita, siamo animali sociali; e nessun essere umano, se non completamente perso nella propria naturale follia, può essere completamente felice se isolato dagli altri.
E quindi, in un momento di giallo cambiare, alzo di nuovo gli occhi e scopro che nel frattempo il panorama è diverso. Praticamente tutti i miei compagni di viaggio degli scorsi decenni hanno messo su famiglia e bambini, sono usciti dal guado e hanno preso una direzione chiara; mi fa sempre piacere vederli, ma onestamente pappine, ecografie e mutui casa non sono il mio argomento di conversazione preferito, anzi non sono nemmeno tra i primi cento, e insomma, come con l’aborigeno australiano di Guzzanti, ma io e te che cosa ci dobbiamo dire? Io, l’unico altro single del gruppo, e un paio di amici che per motivi vari hanno di quei rapporti laschi per questioni di tempo o di spazio, finiamo regolarmente a fare la riserva indiana in fondo al tavolo.
D’altra parte, la vita da ventenne non mi piaceva a vent’anni, non è che mi interessi adesso; non sono mai stato un frequentatore di discoteche, sono troppo stanco per andare a dormire alle quattro su una panchina, e alcool, canne e sesso con la prima che passa, senza sentimento, non sono un obiettivo che mi attiri.
E’ probabile che finisca anch’io a fare il monaco da convegno e da attivismo politico; non è una brutta cosa, e appaga comunque le mie parti intellettuali; mi permetterà insomma di tessere tappeti sempre più grandi e pesanti. Avrei preferito lasciar stare, e dedicarmi a vivere con un’altra persona; ma, come spesso accade per i casi della vita, l’unica con cui abbia mai trovato un legame profondo non ha più avuto il coraggio di provare a ricambiarlo, nè la si può biasimare per questo.
Come vigilia di Natale, qui dal mio solito divano, non posso che augurarvi una buona giornata e una buona serata, sperando che troviate dei regali sotto l’albero; io, di mio, mi unisco di cuore al collega che da settimane ha attivato il conto alla rovescia per il ventisei dicembre, e mi auguro per l’anno prossimo un Natale fuori dal guado.