Ieri sera, su Sky, ho rivisto dopo qualche anno Shine, il film sulla vita del pianista australiano David Helfgott. E’ un film che all’epoca (una decina di anni fa) mi aveva molto colpito, e mi aveva anche riconciliato con la musica, facendomi riscoprire un po’ dei miei antichi studi di piano classico (purtroppo molto limitati). Probabilmente mi ero anche sentito coinvolto, visti i punti di contatto con il genere di educazione che ho ricevuto io, magari meno autoritaria, ma tutta basata sulla necessità di competere da una parte e sui ricatti affettivi dall’altra.
Il film è, in parte, una astuta operazione commerciale che gioca sull’esposizione e conseguente simpatia verso la disabilità mentale del protagonista; tanto è vero che il vero Helfgott da allora gira per il mondo, impasticcato e al guinzaglio della moglie astrologa, per fare concerti da tutto esaurito che emozionano il popolino, ma che, stando ai critici, sono pianisticamente insignificanti, al livello di un buon professore di musica di una qualsiasi cittadina. Il punto, però, non è questo; è il rapporto profondo che c’è tra musica ed emozioni, tra musica e vita nella sua parte più insondabile.
Per molti individui, la musica è l’unico canale di comunicazione tra la propria sfera emotiva ed il mondo, l’unico sfogo per le proprie emozioni compresse e represse. Questo è in generale vero per le varie forme artistiche, ma, rispetto ad esempio alla pittura, la musica ha in più una componente fisica fortissima, una unione di intelletto e realtà ; e porta quell’angoscia devastante del volo senza rete, di uno sforzo in cui un minimo errore è sufficiente per cadere, senza appello e davanti a tutti.
Suonare ad alti livelli tecnici ed emotivi è veramente un mostro che rischia di mangiarti, di ingoiarti nella paura, nella competizione, nella fatica, infine nella follia. In questo senso la storia di Helfgott, come quella di tantissimi artisti più o meno conosciuti, è un esempio di come il bello, il sublime, possa svuotare di ogni senso ed energia la vita di chi vi si dedica; e di come spesso la realizzazione della bellezza più perfetta richieda la sofferenza e il sacrificio estremo di chi se ne fa artefice.