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Archivio per il mese di Luglio 2007


sabato 21 Luglio 2007, 14:44

Caldo

Oh, non c’è niente da fare: è da stamattina che penso a cosa potrei raccontare oggi, ma non mi viene in mente nulla, a parte sciogliermi per il caldo: per cui, sto cercando di finire quelle 7-8 cose che devo assolutamente fare prima di scollegarmi, e poi scapperò in montagna fino a lunedì sera. Pensate che ho persino trovato sia la borsa da surgelati che il ghiaccetto di plastica (dimenticato da anni in fondo al congelatore), così posso portare le residue mozzarelle per cento chilometri e fare la pizza lassù!

Però, per non deludervi del tutto, vi lascio con il puntatore a un video leggendario, courtesy Suzukimaruti, che poi sarebbe un mio ex compagno di liceo, il che dimostra che la blogosfera italiana è minuta. Il video, invece, è stato girato in una galera filippina e dimostra che la creatività umana può spingersi ben oltre il limite del concepibile.

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venerdì 20 Luglio 2007, 10:51

Mostri (2)

Mi sembra giusto riportare quello che ha scoperto Stefano Quintarelli a proposito degli incidenti stradali causati da ubriachi: e cioè che sono solo l’1,6% del totale:

cause_incidenti.png

In compenso, più di dieci volte tanti (il 17,7%) sono gli incidenti provocati da guidatori perfettamente sobri che procedono “con guida distratta” (ad esempio perchè al telefono o armeggianti con l’autoradio) o “con andatura indecisa” (anche detti “madama in cerca di parcheggio” e “vecchio col cappello”).

Visto che anche qui c’è chi invoca l’arresto immediato e sette giorni di carcere per chi guida ubriaco, a chi accosta senza freccia per parcheggiare o non guarda la strada per caricare il CD ne andrebbero dati settanta?

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giovedì 19 Luglio 2007, 13:10

I lavoratori della conoscenza

Vi giuro che ho tutte le intenzioni di cambiare argomenti e smetterla di fare post sulla corruzione morale e materiale dell’Italia; però Fiorello Cortiana mi ha appena mandato il link al mio intervento al suo convegno Condividi la Conoscenza 3 di un mese fa a Milano, centrato sulla condizione dei giovani lavoratori dell’informatica nostrana, e così ho deciso di farvelo vedere. Io sono il puffo marrone sulla destra.

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mercoledì 18 Luglio 2007, 16:36

Mostri

Quando muore qualcuno, specialmente una persona molto giovane, è sempre una grande tragedia. Tuttavia, sono rimasto piuttosto colpito dalla specie di isteria collettiva, istigata dai media, che si è scatenata negli ultimi due o tre giorni, a proposito dei morti investiti da guidatori ubriachi.

Per dire, l’altro ieri a Ischia è morto un bimbo di quattro anni, folgorato da una lampada dell’illuminazione pubblica apparentemente male installata; anche qui una morte per dolo, se volete anche peggiore, visto che il bambino era piccolissimo, e che l’elettricista che ha fatto quei lavori probabilmente non era ubriaco. Eppure, ci si è limitati a qualche servizio sui telegiornali, e articoletti nelle pagine di cronaca, parlando di fatalità.

La morte della ragazza di Rivalta, invece, è diventata subito uno psicodramma nazionale: la prima pagina dei giornali e parecchie all’interno, ampie telecronache dei funerali, corsivi ed editoriali indignati, prediche di vario genere contro chi beve e si sballa (pure una di Gigi D’Agostino…) e una specie di linciaggio collettivo dell’investitore, che sicuramente ha tutte le colpe di questo mondo, ma che è diventato immediatamente un mostro, complice un giudice pistolero che, tra gli applausi della folla, si è inventato una accusa di omicidio volontario che non sta nè in cielo nè in terra, come se il tizio al volante si fosse detto “guarda quella tipa lì, adesso la ammazzo”. E poi il trionfo del kitsch popolare: interviste apologetiche, striscioni appesi alle finestre, richiami melensi agli angeli volati via, prolusioni funebri che terminano con “Ciao panzerottina mia”, Vivere e Albachiara di Vasco Rossi a tutto volume. (Anche a Roma sono morti due ragazzi in un incidente stradale, e anche lì hanno usato Vivere come colonna sonora del funerale: ma sarà Vasco che porta sfiga?)

Senza nulla togliere al dolore di chi perde una persona cara, io mi sono interessato agli altri, per cui questa morte in teoria non ̬ diversa dalle centinaia di morti sulle strade che accadono ogni settimana; e mi sono chiesto il perch̬ di questa ondata di indignazione. Non sono affatto sicuro delle conclusioni, ma ho il sospetto che dipingere come mostri i guidatori alterati Рspecie quelli che lo fanno di professione, sballandosi o bevendo tutte le sere Рsia un modo per liberarsi la coscienza.

Già, perchè anche se sapete benissimo che io sono per la responsabilità individuale delle proprie azioni e contro alle giustificazioni sociologiche per i criminali, bisognerà pur chiedersi come mai ci sono in giro così tanti giovani che passano la vita a sballarsi, in numero crescente. Solo che bisognerebbe cominciare a parlare di quali sono i valori che la classe dirigente di questo Paese ha messo in mostra nella vita pubblica e ha trasmesso ai propri figli nel privato; e quali sono le opportunità che questo Paese offre a un giovane magari non troppo intelligente e di famiglia non troppo ricca ed educata. A parte ubriacarsi e mettere sotto qualcuno per disperazione.

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martedì 17 Luglio 2007, 16:14

Un gieugh an piemonteis

I arsèivoma, e i soma bin content ëd publiché.

Bondì,

Antra chèich ora as deurb la distribussion antërnassional dël prim videogieugh an piemontèis. A l’é un gieugh a sorgiss doèrta, visadì ch’a l’é a gràtis, un a l’ha mach dëscariesslo ch’a-i é nen da paghé gnanca doj sòld!

Ël gieugh a l’é na simulassion polìtica, militar e comersial dël process ch’a l’ha mnà a l’andipendensa dle Colònie American-e. Për vinse as trata nen mach dë sparé dle canonà, ma ëdcò d’esse bon a fé polìtica e d’esse dj’aministrator pùblich coj barbis.

I peule dëscarievlo ambelessì: http://www.freecol.org/index.php?section=6 (version 0.7.0, ch’am diso ch’a dovrìa esse publicà ancheuj). I l’hai travajà ‘me ‘n mòro për prontelo an temp, adess i veuj speré ch’a sio vàire ij cit ch’as lo troveran për cadò, bele che scond mi a sia un gran bel gieugh ëdcò për ij grand. A-i andrìo dij volontari për ëscrive un manual, ch’a-i é anco’ nen. Për qualsëssìa question buteve pura an contat con mi, ch’is rangioma (për chi a l’arsèiv sta comunicassion da cheidun ch’i sia nen mi, i peule troveme an mia pàgina dël progèt i-iter http://pms.i-iter.org/user/2/contact ). Për piasì, fé giré la neuva pì ch’i peule, che a l’é ‘d masnà che ‘l piemontèis a l’ha da manca.

Se cheidun a vorèissa savej codì ch’i l’hai sërnù un gieugh «da separatista» i l’hai dë dive ch’i savìa nen che gieugh ch’a fussa, quand i l’hai pijait l’andi a virelo. A l’é mach che coj ch’a lo fan a dòvro ël midem sit andova ch’as fa ël viragi dla wikipedia, e quand i l’hai vist ch’i podìo fé un gieugh për le masnà an piemontèis i l’hai pa pensaje dzora doe vire…

Peuj ën giogand për capì còsa ch’a fussa i son butame a ghigné largh na man, ën pensand a còsa ch’a l’avrìo mai dine coj ch’a s-ciàiro la polìtica italian-a ëdcò ant la forma dle nìvole marsian-e! Tutun, a l’é un gran bel gieugh e as ëslagherà anco’ motobin vàire, che sò dësvlup a l’é anco’ gnanca rivà a mesa stra.

Bèrto ‘d Sèra

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lunedì 16 Luglio 2007, 18:07

La casta

Stamattina, mentre ero in macchina con la radio accesa, ho sentito su Radio Flash l’intervista a un sindacalista della FIOM. Parlava della situazione del settore metalmeccanico a Torino, ovviamente piangendo miseria, lamentandosi dello scalone, battendo cassa su tutto e con tutti.

Comunque, la cosa che mi ha colpito di più è stata la chiosa finale, quando egli ha esposto il seguente ragionamento: siccome in Piemonte ci sono aziende metalmeccaniche che stanno chiudendo (come la Thyssen-Krupp di corso Regina Margherita) e altre che sono in espansione, pretendiamo dagli imprenditori un accordo per cui le aziende che si stanno espandendo si impegnano ad assumere innanzi tutto i lavoratori licenziati da quelle in crisi.

Ecco, questa proposta riassume perfettamente l’idea di industria e di società che i sindacati della sinistra tradizionale hanno in mente. Per prima cosa, i lavoratori sono dei numeri; dei pacchetti postali tutti uguali, tra loro intercambiabili, che si possono prendere e spostare di qua e di là. Che negli ultimi decenni anche gli operai siano diventati altamente specializzati, diversi uno dall’altro, è un concetto che sfugge; così come la possibilità che la crisi di certe aziende possa essere dovuta anche alla scarsa qualità o allo scarso impegno dei loro lavoratori, e che quindi prendere questi lavoratori e iniettarli in blocco in altre aziende possa non essere la cosa più furba da fare. E dire che la Fiat si è ripresa proprio quando (specie tra gli impiegati) ha spedito a casa in qualche modo le piante da ufficio cinquantenni, e ha assunto giovani al loro posto; ma questa cosa, naturalmente, va negata in tutti i modi.

Soprattutto, è agghiacciante l’idea che per essere assunto in una azienda metalmeccanica non conti quanto sei bravo o quanta voglia hai di fare, ma solo se eri già prima un metalmeccanico. Scoprii questo principio al Politecnico, quando protestammo per le aule sempre sporchissime per via della scarsa lena dello staff delle pulizie, e ci spiegarono che in Italia esiste una legge per cui, quando si toglie l’appalto a una ditta delle pulizie e lo si dà ad un’altra, quella nuova è obbligata ad assumere tutti i lavoratori di quella precedente; insomma, un sistema perfetto per garantire ai dipendenti un posto a tempo indeterminato, uguale per tutti indipendentemente dal merito, potendo nel contempo ogni tanto, al cambiar dei venti politici, cambiare il raccomandato che guadagna su di loro. (Questo è il motivo per cui in Italia qualsiasi cosa pubblica, dai treni agli ospedali, è irrimediabilmente sporca.)

Ma che la risposta dei metalmeccanici alle numerose caste che abusano del nostro Paese sia la proposta di crearne un’altra per sè, magari trasmissibile di padre in figlio, fa proprio tristezza.

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domenica 15 Luglio 2007, 21:45

Avvistati

Molti a Torino si sono chiesti dove fossero finiti Neve e Gliz, le mascotte delle Olimpiadi, dopo che li hanno tolti dalle piazze cittadine.

Bene, io l’ho scoperto: oggi era una giornata così bella che sono uscito per fare un giretto in bici e ho girato tutta Torino. E così, percorrendo la pista ciclabile in riva al Po, li ho intravisti: abbandonati negli immensi vivai comunali del Regio Parco, dietro l’ex Manifattura Tabacchi. Se qualcuno vuole liberarli…

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domenica 15 Luglio 2007, 09:18

Traffic, day 4

Come può cominciare la serata del più atteso concerto dell’estate cittadina (a parte il giapponese a nastro all you can eat)? Beh, è facile; percorrendo via Lessona già in ritardo in mezzo al traffico, cercando di azzeccare un parcheggio impossibile – le auto già sin sui marciapiedi, alla milanese – e poi spaventarsi vedendo piombare da una via laterale una macchinina rossa a tutta velocità; la macchinina rossa inchioda proprio sul bordo della via, io mi giro per mandare affanculo il guidatore, e… ehi, è Fabbrone! Pensate che figo sarebbe stato inaugurare il concerto con un CID tra blogger torinesi: in tutta la blogosfera cittadina non si sarebbe parlato d’altro, men che meno del concerto.

Comunque, sono le dieci passate quando, con un colpo di genio, mollo la macchina nel parcheggio del Pam di via Crevacuore, lasciato incautamente incustodito, e a cui pochi avevano pensato; così arriviamo relativamente in fretta alla Pellerina, dove però il concerto di Battiato è già iniziato. Non è un problema aver perso i gruppi di supporto, ossia un paio di carneadi (per quanto Ivan Segreto sia passato abbastanza spesso sulle radio) e i Subsonica; certo che non potrò il mattino dopo dire “mi’ raga, visto che fighi i Subsonica l’altra sera?”. Però mi spiace perdere il Maestro, e allora ci infiliamo nella folla strabordante, un muro che comincia già duecento metri prima dell’ingresso nel vascone della Pellerina; tanto che entro cinque secondi perdiamo i nostri amici.

Finiamo così a vedere il concerto circa sulla luna, tipo a ottanta metri dal maxischermo che sta dietro il mixer a cinquanta metri dal palco. Sarà anche per questo, sarà perchè a quella distanza Battiato è un puntino e la gente intorno è più che altro intenta al coma etilico o a dirsi quanto erano fighi i Subsonica, ma il concerto stenta a decollare.

Battiato fa i pezzi degli ultimi dischi, che a me piacciono molto, ma certo non sono materiale di massa; in più, li vuol rifare uguali come nel disco, il che vuol dire che suona con le basi. Il palco è astronautico, la batteria chiusa in una galera di plexiglass perchè non disturbi i mille microfoni attorno, e poi tonnellate di strumentisti, compreso un quartetto d’archi, una seconda batteria elettronica, manciate di chitarristi e di accompagnatori, pile di tastiere, e almeno due portatili, di cui uno è un iBook identico al mio. I problemi sono due: il primo è che il Maestro, soverchiato da tanta complessità, fa fatica a capire e spesso attacca a cantare fuori tempo; il secondo è che, a forza di sentir sovraincisioni e vocine che emergono dal vuoto, non è chiaro in che misura io stia davvero vedendo un concerto, e quanto invece un playback alla Top of the Pops.

L’unico episodio degno di nota in una prima mezz’ora raffinata ma fredda – a parte la cover di Ruby Tuesday – è l’ingresso sul palco di Sgalambro, che si esibisce nientepopodimenoché nella Canzone della galassia; peccato che sia tradotta maluccio e cantata peggio, perché la trovata è comunque eccellente. Ah, e poi Battiato cerca di mettere in evidenza una delle sue band di sostegno – le MAB, un quartetto di donne che si lavano poco i capelli – facendogli suonare un loro pezzo; e queste attaccano una roba che poteva stare tranquillamente in Powerslave nel 1984. Ok, a me gli Iron Maiden piacciono, e la cantante è effettivamente potente di voce come Bruce Dickinson, carica di energia come Bruce Dickinson, e sexy come Bruce Dickinson; però non so se fare heavy metal venticinque anni in ritardo sia una grande idea. Complimenti però per la grinta.

Comunque, dopo un po’, finalmente succede il miracolo: Battiato attacca una Tra sesso e castità che rapisce, e fa seguire al doloroso pensante Chissà com’è la tua vita oggi / Chissà perché avrò abdicato la scena magnifica di un temporale di luci nel tratto tempestoso del pezzo. Subito dopo, insieme a un buon terzo dei centomila presenti (gli altri erano lì essenzialmente per il casino), canta La cura, e a me viene per la prima volta lo strano pensiero che sia una canzone da dedicare a se stessi; ad ogni modo, è una canzone talmente perfetta che completa i dieci minuti che valgono la serata.

Di lì a poco, peraltro, anche il Maestro si scioglie, e attacca con i classici che accontentano la folla: Voglio vederti danzare e Cuccurucucu; poi la fine teorica; e poi, come bis, L’era del cinghiale bianco e Centro di gravità permanente. Cosa volere di più? Beh, praticamente tutti i brani del periodo 1979-1983, ma non sottilizziamo.

E’ mezzanotte, quindi è finita? No, perché c’è la sorpresa finale; quando Battiato termina i bis, attacca un terribile martellamento di cassa, e dopo tre minuti salgono sul palco loro: i Subsonica! I Take That sabaudi attaccano subito una lagna mortale, in pratica cinque minuti di tastierone effetto seta con sopra Samuel che miagola frasi ad effetto. Poi continuano con Disco Labirinto, che almeno è un gran pezzo; penso che l’abbiano scelto perchè è in sette, per non sfigurare. Il problema è che i Subsonica, messi su un palco dopo Battiato, sembrano finti, finti come musicisti, finti come autori e finti come persone; è come se dopo aver mangiato un gran tagliere di formaggi italiani ti mettessero sul piatto una bella confezione colorata e accattivante, però piena di sottilette. Samuel, per ribadire la propria figaggine, scende dal palco per gridare “Su ‘ste maniiiiii!!!” – e quello lo grida bene, quasi come Toni C. in curva Maratona – e poi, tornando su a favor di camera, spara uno sputazzo olimpico in primo piano. Ma si può?

La cosa peggiora ancora, perchè trascinano sul palco Battiato e, in suo onore, “suonano” Up patriots to arms. La suonano come… ecco, avete presente quando siete in sala da tre ore, e mancano cinque minuti, e avete esaurito i pezzi, e allora qualcuno dice “dai, improvvisiamo, proviamo a suonare X”, dove X è un pezzo molto famoso di un’altra band, che però non tutti si ricordano e quindi lo si suona un po’ a orecchio, come viene? Ecco, questa è l’impressione che mi ha dato la versione dei Subsonica di Up patriots to arms (anche se, intendiamoci, non dubito che loro l’abbiano coscienziosamente preparata per una settimana; e a pensarci bene forse questo aggrava le cose). In più, hanno scelto proprio il pezzo in cui Battiato si lamenta della vacuità della musica commerciale moderna; forse pensavano di essere autoironici, o forse non l’hanno proprio capito; fatto sta che Battiato, canticchiando Non è colpa mia se esistono spettacoli con fumi e raggi laser / se le pedane sono piene di scemi che si muovono, guarda il tarantolato Samuel e si trattiene a stento dal ridere.

Sarebbe finita qui, se non fosse per le scene da panico per andar via, dovute alla bella idea di aver ristretto a un budello di due metri, a forza di stand e bancarelle, la principale via d’uscita per centomila persone. Certo che organizzativamente ‘sto Traffic fa proprio schifo; l’annunciatrice giuliva urla che si sono superate le duecentomila presenze in quattro giorni (stima effettuata col Bracciomatic), e tu pensi che invece di considerarti uno spettatore un tanto al chilo per il comunicato stampa finale, forse dovrebbero avere un minimo di rispetto per te e per gli artisti, e organizzare il tutto in modo che la musica si senta, il pubblico ci veda, e nessuno rischi di essere calpestato. Anche costasse dieci euro l’ingresso.

[tags]traffic, torino, festival, battiato, mab, subsonica[/tags]

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sabato 14 Luglio 2007, 18:59

Memento

Appunto dopo un giro all’Ikea di sabato pomeriggio: “Se ti viene voglia di avere dei bambini, fatti sterilizzare.”

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sabato 14 Luglio 2007, 13:08

Traffic, day 3

Ieri sera – perso Lou Reed per assenza fisica da Torino, e recuperati i Daft Punk perché non ci sono andato, ma dalla finestra di casa mia si sentivano benissimo: i residenti ringraziano – sono finalmente andato al Traffic, per l’attesa serata britannica.

Io e Andrea ci troviamo verso le otto, in attesa del materializzarsi delle donne, afferrando panino e birra da uno dei millanta baracchini attorno al festival (devono esserci pochi eventi quest’estate, visto che tutti i paninari del Nordovest paiono essersi allineati là).

Ignoriamo quindi il gruppo di coni che apre la serata, e ci sistemiamo nel vascone solo quando, alle otto e mezza, stanno per attaccare gli Art Brut. Sembrano le tre di pomeriggio e solo qualche centinaio di irriducibili è già pigiato davanti al palco.

Degli Art Brut ho già parlato; a me, a pelle, piacciono pure più degli Arctic Monkeys, nel senso che il genere è simile, ma gli Art Brut sono sardonici, veraci, e molto meno montati. La front line è composta dal cantante, uno che ha guardato alla moviola tutte le mosse e le pettinature di Morrissey, e dal chitarrista biondo posseduto dal demonio, che passa tutto il concerto a fare facce da film di Dario Argento.

Il concerto, proprio come il disco, è un caso di performing art, non solo per via di mossette, balletti e salti con la corda, ma perchè il cantante Eddie ogni tanto interrompe i pezzi a metà e si mette a raccontare i cazzi propri, o ad arringare la folla, ad esempio per raccontare di tutte le volte in cui è stato piantato dalla fidanzata ed invitare tutti i presenti a smetterla di pensare ai propri ex, che è solo una perdita di tempo. E’ un vero happening punteggiato dalla provocante semplicità dei testi; perchè Eddie non se la tira da santone come Bono, e i suoi pezzi, totalmente autoironici, parlano di due sole cose: di ragazze che l’hanno mollato o che si è fatto, e dell’obiettivo ultimo della sua vita, ossia mettere in piedi una band per apparire in Top of the Pops. E per facilitare l’obiettivo, oltre ad esporlo nel testo di una canzone su due, ha pure scritto un pezzo intitolato Top of the Pops, il cui testo è “Art Brut! Top of the Pops! Art Brut! Top of the Pops!”; ieri, nell’esecuzione live, ha inserito per cortesia anche i nomi degli altri gruppi in scaletta. Certo che deve esserci rimasto male, quando l’estate scorsa, dopo 41 anni di trasmissioni ininterrotte, la BBC ha cancellato Top of the Pops, proprio quando loro cominciavano ad avere successo: che sfiga.

Insomma, bel concerto e buon successo per gli Art Brut; alla fine, c’era già parecchia gente e sembrava apprezzare. Mezz’ora di cambio palco; tramonta ed entrano in scena i The Coral, gruppo di grande valore tecnico, che io apprezzo moltissimo sin da quando, nel 2002, vidi verso le due di notte su MTV il video di Goodbye. I Coral fanno di genere un mescolone tra gli ultimi anni sessanta e i primi anni settanta; c’è dentro il progressive, c’è dentro la psichedelia, ma con una base brit-pop tradizionale e concettualmente non lontana dai Travis o da altri gruppi britannici più mainstream. Di conseguenza, si presentano in scena con chitarre panciute e batteria scarna alla Ringo Starr (un piatto orizzontale e un charleston).

Ora, è chiaro che la loro musica è complicata per un festival: sul palco sono in sei, ci sono ennemila chitarre che cambiano continuamente, una base di organetto che (per esperienza) è sempre difficile da mixare, e pezzi dalla struttura non facile. Certo che se poi l’organizzazione non li aiuta, regolando il volume a livello da lounge… Io ero a dieci metri dal palco e non sentivo nulla; attorno a me, la gente chiacchierava tranquillamente senza nemmeno accennare ad urlare, e il chiacchiericcio copriva la musica; chissà più indietro cosa avranno sentito. A un certo punto volevo organizzare una colletta per regalare un paio di ampli al Traffic, che peraltro ha maltrattato i Coral in tutti i modi: per dire, quando hanno fatto She Sings The Mourning, la cui caratteristica è una chitarra suonata con l’archetto, il regista del maxischermo ha inquadrato qualsiasi cosa – cantante, dettagli del charleston, gente che cazzeggiava in platea, persino tre minuti di bassista che faceva sempre le stesse due note – ma non una volta il benedetto archetto; e dillo, regista, che non ti sei nemmeno documentato tre minuti per capire chi cavolo sono i The Coral e che canzoni fanno! Chiude in bellezza l’omino delle birre che passa tra il pubblico con una lampadina da 200 watt e un compressore che spara ottanta decibel di rumore assordante, nel bel mezzo dei pezzi d’atmosfera: capisco che il Traffic debba arrotondare, però un minimo di rispetto per la musica potevano pure mettercelo.

Loro, poveracci, ce l’hanno messa tutta e hanno fatto un bel concerto; la musica dei Coral è magica e affascinante, ma anche energetica (a fine concerto spaccano tutto con il finale di I Remember When). Peccato che la platea, già alla ventesima fila, fosse piena di tarri che erano lì solo per gli Arctic Monkeys o magari solo per le canne, e che li hanno cagati di striscio solo quando hanno fatto In The Morning, il singolino poppettaro che ormai tocca fare pure alle band indipendenti. Questi sono i casi in cui ti chiedi se non sarebbe meglio far pagare dieci euro ed evitare il tarrume; del resto, se tutti gli altri festival d’Italia sono a pagamento un motivo ci sarà.

Comunque, ormai è notte, e il cambio palco successivo è lungo ed estenuante, mentre il vascone della Pellerina ormai è pieno e impaziente; noi ci siamo spostati in fondo, per tranquillità. Alla fine, parte una musica introduttoria e salgono sul palco i figli degli Arctic Monkeys, quattro ragazzini brufolosi, per presentare il concerto. Dopodiché, a sorpresa, si siedono agli strumenti; il batterista, un tredicenne panzuto che pare uscito da una sitcom, si siede sul seggiolino, butta per terra la carta di un paio di Mars, si schiaccia un brufolo, poi prende le bacchette e attacca una mitragliata mai vista per lanciare The View From The Afternoon. Oddio, ma sono loro gli Arctic Monkeys!

Dopo tre pezzi ho capito il trucco dietro alla band; praticamente, il bambino panzuto, tra un panino con la Nutella e una manciata di M&M’s, spara delle basi di batteria mai viste, al che gli altri tre diventano abbastanza irrilevanti, e in particolare il chitarrista può dedicarsi ad assoli e virtuosismi degni del miglior Ghigo Renzulli (in qualche caso mi è venuto da dirgli “dai, scendi, salgo sul palco io con la chitarra di Guitar Hero e faccio degli assoli più tecnici”). Sono comunque ammirato; perché questi ragazzini mettono insieme una macchina da guerra che macina note a velocità supersonica, e ogni tanto ci infilano pure una spruzzatina di blues o un po’ di lentuccio. Ok, sono travolti dal successo, in buona parte perché gliel’hanno costruito attorno apposta, ma la musica è più che piacevole.

Ciò nonostante, a metà del loro concerto ce ne andiamo esausti, e ci diamo appuntamento per il sabato sera con Battiato. Speriamo solo che il pubblico tarro dei Subsonica non si metta a minchionare ad alta voce sulla metafisica del Maestro.

[tags]traffic, torino, festival, art brut, the coral, arctic monkeys[/tags]

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