Domande tecniche
Ma se io prendo un videofonino e, spingendo, ci infilo dentro una sull’altra una SIM di 3 e una SIM di Uno Mobile, poi quando lo accendo vedo Retequattro?
Near a tree by a river
there's a hole in the ground
3/7 | Giappone wtf |
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Ma se io prendo un videofonino e, spingendo, ci infilo dentro una sull’altra una SIM di 3 e una SIM di Uno Mobile, poi quando lo accendo vedo Retequattro?
Da una settimana – il giorno della presentazione della nuova 500 – passa sulle reti televisive un lungo spot della Fiat, in alcune varianti; certamente l’avete visto – in ogni caso è qui.
Detto che la nuova 500 mi sembra molto bella e che se ne facessero una versione diesel sopra i cento cavalli potrei anche prenderla, la campagna di presentazione è stata degna di nota, soprattutto perchè, a fronte di una spesa notevole, la macchina si è vista poco. E’ vero che la 500 si vende da sola, visto che è associata a un ricco patrimonio di emozioni, almeno per gli italiani sopra i trent’anni; è vero che hanno fatto un vero e proprio show mobilitando tutta Torino. Ma nella campagna pubblicitaria, la 500 si vede pochissimo.
Tuttavia, secondo me lo spot è insieme bello ed azzeccato. Bello perchè sfugge alle normali regole commerciali e cerca di porsi oltre la necessità di vendere il prodotto; cerca invece di identificare la Fiat con l’Italia e quindi con i suoi clienti. In questo, ci sono effettivamente alcune scelte che per la Fiat sono storiche, come quella di aprire lo spot con le immagini degli operai in corteo negli anni ’70: per una azienda dove ancora dieci anni fa una parte integrante della formazione dei giovani quadri era andare a fischiare dall’interno quelli che fuori scioperavano, è un salto culturale notevole (per quanto si possa discutere su quanto esso sia sincero, e quanto di facciata).
E quindi, è azzeccato, perchè uno dei problemi dell’Italia attuale è la mancanza di valori e di modelli, spariti in un gorgo di degrado morale ed economico di cui spesso non si vede l’uscita. Lo spot, invece, presenta sotto il marchio Fiat un’Italia opposta, quella che pensiamo di aver perduto. Dice che la Fiat sta insieme a quanto di più nobile o esaltante ha fatto l’Italia, da Giovanni Falcone a Valentino Rossi. Soprattutto, dice che la Fiat ce l’ha fatta, la Fiat sa come si esce dalla crisi di mercato e di valori, e vorrebbe estendere questo successo a tutta l’Italia.
In altre parole, affidatevi a noi, non solo come produttori di automobili, ma come nuova guida morale ed economica del Paese.
Insomma, quanti mesi mancano alla candidatura di Montezemolo a prossimo Presidente del Consiglio?
Devo dire che quelli di Sxnet dovrebbero pagarmi: il mio post ha dato vita ad un thread che è di gran lunga il più frequentato di tutto il sito. Certo, la risposta più frequente a qualsiasi argomento venga portato è “Noi il Partito Democratico non lo voteremo mai”, che è peraltro ciò che pensa il 99% degli italiani (il rimanente 1% sono quelli che hanno un parente nei DS o nella Margherita), ma non mi sembra una risposta coerente alle mie osservazioni.
Comunque, immaginate quant’è stato buffo ieri sedersi sul Leonardo Express (“express” è una battuta, visto che impiega 31 minuti per percorrere una ventina di chilometri) da Fiumicino a Termini, e trovarsi accanto a due tizi, uno dei quali aveva una spilla con una stella rossa con la faccia di Garibaldi (credo), chiaramente appartenenti a Rifondazione; ovviamente, discutevano di poltrone.
In particolare, discutevano delle nomine in un gruppo di 32 persone (forse il direttivo nazionale, o un qualche gruppo costituente del nuovo ammassone Rifondazione – PdCI – Verdi – ex sinistra DS), di cui 28 sarebbero state indicate dal partito, e quattro dalla “società civile”, quindi al di fuori dei dirigenti del partito; e di un tal Domenico Jervolino di Napoli, che non rientrando nella lista dei 28, pur essendo un dirigente del partito, doveva assolutamente essere fatto rientrare in quella dei quattro, a nome di un “forum”, trombando così la persona indicata dai partecipanti e che avrebbe legittimamente potuto rappresentare il forum suddetto. E così, tra racconti di conversazioni con Fausto [Bertinotti] e con Walter [De Cesaris, il segretario organizzativo di Rifondazione], mi sono subito mezz’ora di racconti di maneggi e strategie di ogni genere per l’accesso alle poltrone.
Mi spiace solo non aver registrato la conversazione: l’avessi postata su Sxnet… beh, no, mi avrebbero detto che l’avevo fabbricata io e che sono un provocatore pagato dalla CIA, e poi avrebbero invocato una legge per proteggere i poveri politici dalle intercettazioni, che anche loro hanno diritto a maneggiare in santa pace. Sempre in nome del popolo, beninteso.
Ho cercato duramente di non parlare di questa storia; alla fine, però, non ci sono riuscito, visto che dopo una settimana continua ad essere su tutti i giornali.
Mi riferisco al giovanissimo (in termini italiani, visto che ha 31 anni) rampollo della famiglia che possedeva la De Agostini, Achille Boroli, che una settimana fa è finito sulle prime pagine per un tentato rapimento: stando al suo racconto, tornando a casa dal lavoro all’ora di cena, sarebbe stato inseguito in autostrada da Milano a Novara, quindi speronato al casello per fermarlo; sarebbe poi riuscito a fuggire soltanto grazie alle sue grandi capacità di guida al volante del suo macchinone.
Naturalmente, la storia non aveva granché convinto la magistratura: è difficile immaginare che una banda di rapitori, per quanto maldestra, possa scegliere come luogo del rapimento il casello autostradale di Novara Est all’ora di punta, con decine di auto ferme in coda, e una telecamera ogni centimetro quadrato.
E così, proprio grazie alle telecamere, è stata rintracciata l’auto dei presunti rapitori, che si sono rivelati essere due elettricisti del novarese. Essi hanno prontamente rilasciato interviste a ogni giornale e telegiornale d’Italia per raccontare la propria versione; che pare, onestamente, un po’ più credibile. Secondo loro, mentre in mezzo al traffico quasi cittadino della Milano – Torino sorpassavano un camion con il loro furgoncino, Boroli – bloccato dietro col suo macchinone – non avrebbe gradito, e avrebbe cominciato a fare fari prima e gestacci poi, sfrecciando via. Dopodichè, arrivati al casello di Novara, i due elettricisti hanno ritrovato quell’auto, bloccata nella corsia del Telepass perchè non riusciva a farlo funzionare; così, l’hanno aspettato subito dopo il casello per dirgliene quattro. L’altro, senza scendere, avrebbe ripetuto i gestacci di scherno, provocando risposte adeguate, e poi sarebbe scappato con manovre spericolate nel traffico.
Ora, non sapremo mai chi ha fatto cosa veramente; pare chiaro però che questa è stata una classica lite da traffico portata un po’ troppo avanti, certo non un tentato rapimento. Sarebbe sembrato meglio a tutti stendere un velo pietoso e piantarla lì, insomma.
E invece no: perchè ieri mi son dovuto sorbire il Boroli, intervistato dal TG5, che raccontava con faccia compunta che “comunque quei due mi hanno fatto tanta paura”, allo stesso tempo negando di aver mai parlato di rapimento (dar la colpa ai giornali non fa mai male).
Anche io sono uno di quegli automobilisti che ogni tanto, davanti a uno che si addormenta nel traffico o che fa una manovra vietata o pericolosa, fanno i fari. In genere finisce lì, ma una decina di anni fa quello davanti – un tizio strafatto dei suburbi grugliaschesi – cercò di buttarmi giù a portellate dal cavalcavia di Collegno; la cosa terminò solo per il pronto intervento di un carabiniere che passava di lì. Il punto, però, è che se lo fai devi essere pronto ad assumertene le conseguenze; se poi ci si mena, perlomeno è il caso di prendersi le proprie legnate con dignità , oppure, se non ci si vuol far male, di porgere il collo senza dignità , come i lupi sconfitti nel combattimento (che poi è quello che farei io, che certo non mi vado a menare).
Invece, fare i fari, poi scappare se l’altro reagisce, e poi chiamare la mampolizia e pretendere di avere ragione è un comportamento veramente triste. Ricorda gli ultras di una certa squadra di calcio bianconera nel loro leggendario scontro con i tifosi del Genoa (Monza, 2005), con tanto di video: per i primi due minuti marciano spavaldi con le mazze in mano, a provocare gli avversari; per il resto del video scappano a gambe levate prendendosi mazzate a ripetizione. Ma almeno non hanno chiamato la polizia.
Oggi a pranzo, come tutti i lunedì, siamo andati a mangiare kebab da Demir, il turco di piazza Adriano. Anche lui, come tutti i locali, ha un turbinio di camerieri con un tasso di ricambio da call center, in numero probabilmente insufficiente rispetto ai tavoli; anche lui aumenta i prezzi appena può. Eppure, sa che il suo cliente è ciò che fa la differenza tra vivere e perire: per cui, quando oggi il cameriere ha combinato un casino e la nostra ordinazione si è persa per una mezz’oretta, lui se ne è accorto e ci ha subito omaggiati di un piatto di patatine, che a lui saranno costate trenta centesimi, ma che hanno cambiato la nostra percezione del servizio.
Vorrei confrontare il tutto con la cena di ieri; in quattro, siamo andati a mangiare Da Michele in piazza Vittorio, un posto noto da anni come trattoria alla buona dai prezzi modici. Nonostante avessimo prenotato, i camerieri (indaffarati, perché il locale era pieno e anche lì il personale è accuratamente sottodimensionato) si sono impegnati per ignorarci per un buon quarto d’ora; alla fine, siamo riusciti a sederci soltanto afferrando fisicamente la padrona e costringendola a indicarci il tavolo. Siamo stati serviti da una povera ragazza che era tanto simpatica, ma ha rovesciato la birra quando l’ha portata, si è inciampata da sola finendo pancia sul tavolo portando i primi, e si è dimenticata un paio di volte di venire a vedere a che punto stavamo, lasciandoci lì in attesa e alla mercè delle zanzare. I piatti del giorno erano pubblicizzati ampiamente su varie lavagne e dai camerieri, ma ovviamente senza indicazione di prezzi; alla fine, mangiando benino ma niente di speciale, con porzioni in qualche caso abbastanza sparagnine, abbiamo speso 35 euro a testa (mezzo antipasto, primo, secondo, mezzo dolce, birra). Difficilmente ripeteremo l’esperienza.
Capisco che ai settori tecnologici abbiamo rinunciato, e come Paese puntiamo tutto sul turismo. Però c’è da sperare che vengano più turchi; magari riusciranno a insegnarci come far funzionare un ristorante.
Come avrete sentito dai telegiornali, ieri era il secondo anniversario degli attentati di Londra del 7 luglio 2005, che causarono oltre cinquanta morti e settecento feriti.
Sono attentati che hanno lasciato un segno sugli inglesi. Per esempio, nel settembre successivo, io partecipavo come membro della delegazione italiana a una seduta negoziale durante l’ultimo incontro preparatorio per il WSIS di Tunisi; l’Europa era rappresentata dalla presidenza di turno, ossia dagli inglesi, per cui tutti gli altri europei, me compreso, potevano soltanto osservare. L‘Inghilterra aveva mandato un ragazzo più o meno della mia età , di origine francese, ma elegante e flemmatico proprio come ci si aspetterebbe da un diplomatico inglese. A un certo punto, durante la discussione di un paragrafo sulle esigenze di sicurezza su Internet, una signora di un paese centramericano – mi pare il Guatemala – si alzò e chiese che venisse introdotta una ulteriore menzione dell’importanza di rispettare i diritti umani, anche quando questi limitassero la protezione della sicurezza. L’inglese rispose gentilmente che il testo che veniva presentato rappresentava già un ottimo compromesso in materia. La signora insistette, e disse che secondo lei il testo era troppo sbilanciato a favore delle attività di polizia. Sempre con calma, l’inglese le spiegò che la posizione dell’Unione Europea era quella inserita nel testo. La signora si accalorò un po’ di più, e cominciò a dire che per il suo Paese i diritti umani erano fondamentali, e che i paesi sviluppati avevano un approccio troppo autoritario a queste materie, specie nei confronti degli stranieri. Lì, l’inglese d’improvviso perse la calma, e cominciò quasi a gridare: che il suo governo aveva bisogno di riportare la sicurezza a Londra, che il mondo è pieno di malintenzionati, e che lui, personalmente, passava tutti i giorni in metropolitana per due delle stazioni che erano state fatte esplodere.
Due estati fa, una settimana dopo, io ero a Lussemburgo, nel bel mezzo di un meeting di ICANN (ho già parlato di questo episodio, ma mai nel dettaglio). Il meeting era cominciato un paio di giorni dopo gli attentati, ed era stata dura convincere gli americani a non cancellare tutto: molti di loro avevano paura di mettere un piede fuori dal loro paese. Il 14 luglio, si teneva il classico forum pubblico, dove tutti i partecipanti si radunano. All’inizio della mattinata, Vint annunciò che anche ICANN si sarebbe adeguato ai due minuti di silenzio proclamati in tutta Europa per mezzogiorno. Dopo un attimo di confusione, gli fecero notare che l’ora era mezzogiorno di Londra, ossia l’una in Lussemburgo. Lui allora rispose che siccome il meeting sarebbe finito attorno a mezzogiorno e mezza, all’una non ci sarebbe stato nessuno; per cui avevano deciso di fare due minuti di silenzio a mezzogiorno.
E così, a mezzogiorno, la discussione fu interrotta di colpo e facemmo i nostri due minuti di silenzio. Poi si riprese a parlare, e, come spesso accade, il meeting si prolungò; e così, all’una eravamo ancora lì. A quel punto, Vint interruppe la discussione, e chiese di fare altri due minuti di silenzio.
Facemmo anche quelli, ma ammetto che furono due minuti lunghi e pieni di pensieri; non certo perchè non volessi onorare le vittime di quegli attentati, ma perché era evidente come la formalità del gesto, che non era accaduto in altri casi, volesse sottintendere un trattamento speciale. Avrei voluto andare al microfono e spiegare che proprio in quel giorno cadevano i dieci anni dalla strage di Srebrenica, in cui settemila, forse ottomila musulmani bosniaci furono massacrati dai cristiani serbi, e che sarebbe stato il caso di ricordare anche loro.
Dopodiché, capii che non sarebbe servito a molto; che sarebbe stata presa come una provocazione, forse anche come un tradimento. Eppure, usciti dalla sala, prendemmo l’autobus per tornare al nostro albergo; e mi trovai di fronte a Khaled, un elegantissimo signore siriano, cresciuto in Libano, poi vissuto in America, ora devoto alla causa dei nomi di dominio in arabo. Era nervoso e un po’ arrabbiato, e non ci fu bisogno di parlare per capire che stavamo pensando la stessa cosa.
Ci sono due modi di affrontare le morti, quando accadono per motivazioni politiche, religiose o sociali: con umana pietà , o con cieca vendetta. Io credo nella prima; i morti non si possono classificare né ordinare per importanza, e nemmeno distinguere in buoni o cattivi. Non si possono dividere in nostri e loro, e nemmeno bilanciare a peso, come in una legge del taglione; quando derivano da un conflitto prolungato, è futile cercare di individuare chi ha cominciato, o di chi sia la responsabilità . L’unica cosa che si può fare è onorarli tutti, come stiamo facendo qui, ed evitare che ce ne siano altri.
Eppure, a me spaventa vedere così tante persone, anche di alto livello culturale e di buona posizione sociale, dividere il mondo in un qui e un altrove; non solo confondendo la Galizia con la Galazia, come al forum di ICANN l’altra settimana, ma non avendo il minimo interesse a sapere dove siano. Perchè là , fuori dal territorio conosciuto, ci sono i leoni; non una civiltà , ma un gruppo animale da cui difendersi.
…una soprano cinese che canta e gorgheggia sopra la base di Con te partirò di Andrea Bocelli, al concerto di Shanghai del Live Earth. (Ora in diretta sia su MTV terrestre che, coi Keane, su MTV Brand New, canale 706 di Sky.)
La settimana prossima, a Torino, c’è Traffic: l’ormai consueto festival gratuito di musica al parco della Pellerina, quest’anno esteso a quattro serate.
C’è chi si esalta per mercoledì, la sera del bollito misto (suona Lou Reed); chi per sabato, con Battiato e i Subsonica. Ma per noi duri e puri della musica indipendente, la serata clou è venerdì, con nientemeno che gli Art Brut, i Coral e infine gli Arctic Monkeys: tre dei più famosi gruppi di indie britannico degli ultimi anni.
Se gli Arctic Monkeys sono famosi e i Coral dalla sostanziosa radice progressive sono un mio mito da anni, gli Art Brut sono i meno conosciuti in Italia; in effetti, quando mio zio me li ha fatti sentire mesi fa, nessuno li aveva mai sentiti nominare. Eppure, su Radio Flash, nelle ultime settimane, passa a ciclo continuo una canzone dei Tre allegri ragazzi morti (quelli del fumettista cult Davide Toffolo) intitolata Mio fratellino ha scoperto il rock’n’roll.
Bene, come si evince facilmente anche dal testo, è una traduzione letterale di questo pezzo degli Art Brut: che, come dice il titolo, fanno un punk a bassa fedeltà , ribelle e adolescenziale come tutto il vero punk, e volutamente suonato malissimo. O forse non volutamente, visto che il loro primo singolo aveva per ritornello “Formed a band / We formed a band / Look at us / We formed a band”. Enjoy, e ci vediamo il 13.
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My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
There’s a noise in his head, and he’s out of control
And yes it frustrates
Let’s let him make his own mistakes
On the dance floor watch him go now
Boy those moves I just don’t know how
My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
He’s only 22 and he’s out of control
How’s he living?
With all of that unforgiving
On the dance floor watch him go now
Boy those moves I just don’t know how
My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
He’s only 22 and he’s out of control
He no longer listens to A-sides
He made me a tape of bootlegs and B-sides
And every song, every single song on that tape, says exactly the same thing
Why don’t our parents worry about us?
Why don’t our parents worry about us?
My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
He’s only 22 and he’s out of control
My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
There’s a noise in his head, and he’s out of control
My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
Stay off the crack!
[tags]art brut, traffic, torino, festival, tre allegri ragazzi morti[/tags]
Oggi nella pausa pranzo, tornato dalla montagna, sono andato a fare un po’ di spesa al solito Lidl. Non ero l’unico, perché dietro a me, nella coda alla cassa – e le code alla cassa del Lidl sono per definizione eterne, si fa in tempo a baccagliarsi, mettersi insieme, fare dei figli, litigare e mollarsi – c’era anche la panettiera dell’angolo, con tanto di completino da panettiera giallo e cuffietta bianca in testa. Era lì, e stava regolarmente acquistando un pallet di farina… beh, forse l’intero pallet no, ma almeno due piani dell’espositore, insomma direi un cinquanta chili di farina.
E io ho pensato a quanto sia affascinante il fenomeno: il Lidl, essendo stato il primo supermercato in Italia a vendere regolarmente i preparati per il pane e a mettere in promozione le macchine per pane ogni pochi mesi, ha contribuito significativamente al crollo delle vendite delle panetterie (avevo letto qualcosa come il trenta per cento in meno in cinque anni). Di conseguenza, le panetterie, per tagliare i costi… hanno cominciato a comprare la farina al Lidl, che ha preso due mercati in un colpo solo.
Certo, la cosa è anche indicativa di quanto sia strozzino il sistema della distribuzione alimentare italiana, quello che fa morire di fame i contadini nelle campagne di Pachino – avevo visto tempo fa un servizio su una famiglia che viveva in una baracca in mezzo al campo, e non mandava i bambini a scuola perché non poteva permettersi la benzina per portarli tutti i giorni fino in paese – ma poi ti fa trovare i pomodorini al mercato a quattro o cinque euro al chilo. Se un supermercato al dettaglio, per quanto discount, costa meno che il grossista, c’è qualcosa che non va.
L’altro giorno stavo andando al lavoro, quando mi sono imbattuto in un gigantesco cartello tutto rosso. Sul cartello c’era scritto, in bianco, “Sinistra [SX]”, e poi il link, www.sxnet.it.
Sono andato a vedere: si tratta di un sito/community che, per ora, offre essenzialmente la possibilità di postare a chiunque si senta di sinistra. Il progetto è professionalissimo, tanto è vero che una veloce ricerca rivela la mano di una agenzia di comunicazione, Xister srl, che lavora anche per Mercedes e altri clienti non esattamente proletari; ma i tempi sono questi. Comunque, si scopre facilmente che il progetto è della Sinistra Europea, ossia, in sostanza, Rifondazione Comunista.
E così, adesso abbiamo un portalone in più, per goderci le perle comunicative inviate dal pubblico del sito, come questa:
Mi domando spesso come mai nessuno abbia il coraggio di chiedere ad Almunia perché era così “accomodante” con Berlusconi ed è così “pressante” con Prodi. Ho provato a mandare una mail alla UE ma ho avuto una risposta “pilatesca”…
(dritta nel “mai più senza”) o questa:
Vorrei aprire una discussione sul ruolo internazionalista che dovrebbe avere un vero partito di sinistra e invio i primi spunti partendo dalla considerazione che i partiti di sinistra del cosidetto “primo mondo” hanno potenzialità economiche e organizzative per solidarizzare politicamente e materialmente con le organizzazione di sinistra “terzomondiste”.
Insomma, un brillante esempio di come sprecare le possibilità offerte dalla nuova tecnologia per riprodurre vecchiume! Così, ho deciso di lasciare il mio contributo: mi sono registrato e, rispolverando le mie antiche abilità di troll, ho mandato il seguente post:
Io sono di sinistra, voi siete vecchi. Come aborigeni davanti a un computer, tutto quel che sapete fare con la società globale è prenderla a pugni.
Brindo alla prossima estinzione dei sindacati e degli elettori della “sinistra” neoconservatrice.
Auguri!
Sarei stato curioso di vedere come avrebbero preso il messaggio gli altri partecipanti alla community, se non fosse che mi ero scordato che questi sono comunisti: pertanto, dopo aver premuto “Invia” ho ricevuto il messaggio “Ti ringraziamo per aver partecipato. Il contributo prima di essere pubblicato deve essere approvato dalla redazione.” Vediamo se lo approvano, o se mi mandano a casa il KGB.