Ieri sera sono andato allo stadio delle Alpi (sì, esiste ancora) a vedere il concerto dei Fiction Plane, gruppo londinese emergente. Si tratta di un trio che ricorda molto i Police: cantante/bassista, chitarrista e batterista, e lo stile è simile, anche se è rivisto in funzione dei gusti musicali attuali, per cui gli arrangiamenti di chitarra sconfinano nel coldplayesco (cioè, diciamo nei Radiohead di Ok Computer, che la musica inglese degli ultimi dieci anni è nata da lì). Però il modo di cantare del tizio, dal timbro agli svisamenti, è proprio simile a quello del leader dei Police, e insomma ho pensato subito che questo ragazzo sia cresciuto coi poster di Sting nella cameretta, e che li abbiano selezionati per questo tour proprio per questo motivo.
Il singolo Two Sisters ha un ritornello di quelli che entrano dritti nel cervello, un bello schitarramento reggae di sottofondo, e un discreto tiro; e la maggior parte degli altri pezzi hanno catturato il mio orecchio, specie Death Machine e il rompighiaccio Anyone. E così, stamattina sono andato subito a scarcomprare il disco, e mi sono anche documentato su Wikipedia, e così ho scoperto che il cantante/bassista non è cresciuto avendo nella cameretta i poster di Sting, ma Sting in carne ed ossa, visto che ne è il figlio. Insomma, a forza di vivere in Italia anche il signor Sumner ha scoperto il “tengo famiglia”, e suppongo che la presenza dei Fiction Plane sia stata una delle condizioni poste dal suo team di avvocati al team degli avvocati degli altri due per accettare la reunion.
Comunque, se vi piace il genere, il disco – pur se acerbo, e insomma, senza settantamila persone a battere le mani in mezzo ai giochi di luce non fa lo stesso effetto – è caruccio, e vale la pena di scarcomprarlo.
Dopo, comunque, hanno suonato anche i Police; a un certo punto temevamo non uscissero più, e che mandassero direttamente sul palco gli avvocati, per intrattenere il pubblico con un po’ di wrestling nel fango. Invece, alle 21,35 si sono presentati puntuali; almeno così mi dicono, perchè io, pur essendo seduto nella balconata del secondo anello della curva Maratona, vedevo a malapena la batteria, figuriamoci le facce; e i maxischermi erano grandi come il plasma di casa mia; insomma sembrava di guardare lo spot della 3 su un videofonino. Il mistero di come possano chiederti sessanta euro per “vedere” un concerto in questo modo è superato soltanto dal mistero di come io possa averli pagati.
Il concerto è stato carino, ma non eccezionale: era più una celebrazione storica che un concerto rock, e penso che vari pezzi dei Police possano anche prestarsi a uno stadio, ma solo se suonati alle tre del pomeriggio sotto il sole a picco e in mezzo ad un pogo intenso. Ieri, invece, il prato era pieno di circa quarantamila persone in piedi, dai trentacinque in su, completamente ferme; il massimo che è successo, a parte lamentarsi per il freddo e l’assenza del surround digitale 5.1, è stato che hanno battuto le mani, nemmeno a tempo perchè il suono si propaga troppo lentamente per poterlo fare in uno stadio. Certo, dal punto di vista commerciale è stato un successone: a parte la curva Primavera che era dietro il palco e quindi vuota, non ho mai visto il Delle Alpi così pieno, denso di gente in ogni dove, nemmeno per Toro-Ajax o per Toro-Mantova.
Alla fine, comunque, i tre hanno suonato per quasi due ore; in due ore non si sono mai detti nemmeno “ciao”, e non si sono avvicinati a meno di cinque metri l’uno dall’altro, se si escludono un paio di occasioni in cui Sting ha fatto finta di inchiappettare Andy Summers suonandogli dietro, però stando ben attento a non sfiorarlo, che se no l’altro avrebbe mollato lo strumento e si sarebbero pestati all’istante. Il team di avvocati di Summers, comunque, ha preteso che ogni canzone contenesse almeno dieci minuti di assolo fastidiosissimo, in cui il suddetto cerca di imitare Yngwie J. Malmsteen e poi di farsi dire dal pubblico che è bravo anche lui, e che il fatto che finiti i Police nessuno l’abbia più cagato neanche di striscio è soltanto un caso dovuto al destino cinico e baro.
E quindi, la prima parte è un po’ così, con ciascuna canzone rallentata e stiracchiata all’infinito fino ad un noiosissimo assolo. In più, Sting ha l’età che ha, ovvero 56 anni compiuti proprio durante il concerto; fa una cosa intelligente, cioè invece di sforzare taglia gli acuti uniformemente sulla maggior parte dei pezzi, riuscendo a conservare la voce per farne qualcuno anche sul finale (complimenti per essere riusciti a fare una versione di sei minuti di Roxanne mettendoci dentro una strofa sola: non tutti riuscirebbero ad aggirare così il problema).
Il concerto si riprende però con qualche numero meno scontato – bella ad esempio Wrapped Around Your Finger con Copeland in piedi contro un set di percussioni, timpano, gong e xilofono grosso il doppio di lui – e poi, nel finale, con i pezzi più energetici, tra cui Can’t Stand Losing You, che a seconda di come la si suoni può essere il punto più alto del reggae anni ’70 oppure il punto più alto del punk anni ’70, e ieri li è stati entrambi.
Alla fine, comunque, è stato veramente più un evento televisivo che un concerto; valeva la pena di esserci soprattutto per poter dire di esserci stati, ché per quanto riguarda la musica non c’è più vita, e piuttosto conviene mettersi su i dischi dell’epoca, o ascoltare appunto i Fiction Plane.