Tarallucci e bare
Ci sono molte strade che portano da casa mia al mio ufficio; ma solo quella che ho scelto ieri, in bicicletta dopo l’ora di pranzo, passa davanti all’acciaieria della Thyssen-Krupp. Ieri peraltro era una giornata magnifica; non c’era una nuvola, il cielo era azzurro e le montagne innevate facevano da cornice al silenzio irreale dello stabilimento, che si specchiava nel parco che gli sta di fronte. C’erano solo tre macchine nel parcheggio, e tutto era immobile. Lo spettacolo era magnifico e quindi ancor più straziante, come una celebrazione fredda di una gloria triste.
Oggi è il giorno dei funerali, e Torino si ferma per lutto. Eppure, proprio questa mattina ho sentito da Radio Flash una notizia che mi ha spiazzato. Un giornalista della radio, intervistando un sindacalista, ha chiesto conferma di una voce che gira, e cioè del fatto che i parenti delle vittime abbiano cominciato a chiedere denaro ai giornali e alle televisioni per concedere interviste. Il sindacalista ha confermato la cosa, infilando poi una serie di giustificazioni relative alle spese da sostenere e ai figli da sfamare.
Non so se la notizia sia vera; potrebbe essere il risultato di una frase detta sarcasticamente e male interpretata, o una leggenda metropolitana ingigantitasi fino ad essere raccolta da un giornalista poco attento alle fonti. A ben pensarci, però, la notizia è perlomeno verosimile; perché tutti ormai hanno imparato che le ospitate televisive e le interviste possono essere monetizzate, non solo da personaggi dalla fedina un po’ dubbia come il marocchino di Erba, ma persino da assassini veri e propri come il rom di Appignano del Tronto.
E quindi, devono avere pensato alcuni dei parenti, se i media sono pronti a coprire di denaro gente del genere, perché non dovremmo chiederne un po’ anche noi? In fondo, non riesco a dargli torto: certo, sarebbe stato più bello rifiutare le interviste con un no sdegnato, magari come forma di protesta per il disinteresse precedente (anche se da mesi il problema delle morti bianche appare stabilmente tra i titoli di molti giornali e telegiornali, per cui per una volta non getterei la croce sui media, ma piuttosto sui politici e sugli imprenditori). Certo, per queste famiglie sono già state raccolte centinaia di migliaia di euro, grazie alle donazioni del pubblico, e insomma almeno il problema economico sarà meno pressante, anche se è una magra consolazione. Però, tutto sommato, queste persone hanno semplicemente capito che il proprio dolore ha un valore, e che non riscuoterlo sarebbe stato più che altro un regalo alle aziende della comunicazione, che certo non ne hanno bisogno.
Tuttavia, anche se la razionalità porta ad accettare anche questo comportamento come logico, c’è qualcosa nel profondo che non mi lascia tranquillo. A me hanno insegnato che la vita umana non ha prezzo; in fondo, è quello che tutti ripetiamo quando si parla di sicurezza sul lavoro. La grande tragedia dell’acciaieria ha avuto il merito di sollevare finalmente le coscienze, di spostare il problema della sicurezza sul lavoro da un mero piano economico a quello che gli compete, di potenziale tragedia individuale e collettiva che richiede uno sforzo morale. Grazie a questo, per un paio di giorni si è intravista la vaga possibilità che si faccia veramente qualcosa, che qualche cosa cambi rispetto alla disattenzione e alla corruzione che hanno permesso questa e altre tragedie.
Mescolare tutto ciò con il denaro rischia di sgonfiare in un attimo questo miracolo sociale, e di riportare tutta la faccenda dal piano morale a quello dell’arrangiarsi all’italiana. Di far sì insomma che anche questa tragedia, come troppe altre tragedie nel passato dell’Italia, si chiuda infine nell’oblio e con un nulla di fatto: a tarallucci e bare.
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