Internet – Veltrusconi 1-0
Ieri ho pubblicato i link ai dati (purtroppo non totalmente completi) di Torino, quindi avrete intuito come la penso sulla pubblicazione dei redditi degli italiani. Non sono completamente convinto che sia stata una grande idea: ci sono evidentemente degli aspetti negativi. Eppure, più ci penso e più mi convinco che Visco abbia comunque fatto bene, e che le polemiche siano pretestuose.
Per prima cosa, questi dati sono pubblici per legge da 35 anni. Non contengono dati personali (indirizzi, numeri di telefono…) e nemmeno dettagli sensibili come l’ammontare delle spese mediche o le donazioni ai partiti. Si tratta semplicemente di un elenco di nome, cognome, data di nascita, tipo e ammontare del reddito imponibile e delle tasse pagate. Prima, questi dati potevano essere conosciuti solo dai dipendenti dell’Agenzia delle Entrate (che sono tutti onestissimi e incorruttibili, per cui la lamentela secondo cui “adesso la mafia sa quanto guadagno e prima no” è proprio fondata), da quelli dei Comuni, da quelli dell’INPS e degli altri enti previdenziali, dai giornalisti e da chiunque si fosse preso la briga di scartabellare un po’: diciamo, alcune decine di migliaia di persone. Adesso, li possiamo conoscere tutti; a me sembra un elemento di giustizia.
La lamentela non va quindi indirizzata a chi li ha messi su Internet, ma se mai al Parlamento che, nel 1973, ha deciso che il totale dei redditi di ogni italiano è una informazione pubblica. Su questo, Paesi diversi hanno politiche diverse: in Scandinavia pare che tu possa sapere il reddito di chiunque mandando un SMS, mentre nell’Europa centrale sono dati privati.
Il reddito non è il patrimonio. Il reddito è un indicatore di ricchezza soltanto secondario; puoi guadagnare duecentomila euro l’anno e non avere una lira perché sei indebitato con le banche o ti sei fumato tutto al casinò, o puoi guadagnare cinquemila euro l’anno ma essere miliardario per l’eredità dello zio (e anzi, proprio per quello non lavori e non guadagni). Difatti, ormai da anni tutte le forme di assistenza pubblica – sconti su tasse universitarie, case popolari… – non si basano sul reddito ma sull’Isee, un indicatore basato principalmente sul patrimonio, su cui l’evasione fiscale ha anche molto meno effetto. Quello sì che secondo me deve restare privato, così come ovviamente i dati bancari.
In compenso, il reddito, confrontato con il lavoro che si fa, costituisce una ottima indicazione di quanto ogni persona sia onesta verso la collettività nel pagare la propria parte di tasse; e infatti, la definizione migliore che ho trovato in giro è “è come andare a una cena alla romana e alla fine avere l’elenco di chi ha pagato e chi no”.
E in questo ho avuto interessanti sorprese, come scoprire che, tra tutti i miei amici e conoscenti circa coetanei, quello che ha dichiarato di meno in assoluto non è l’amica che in quel periodo era in cassa integrazione, non è l’amico in stage precario in eterna attesa di assunzione, ma l’amico affermato professionista, super-antiberlusconiano e militante del PD.
Resta però una curiosità : come mai l’elenco è venuto fuori proprio ora? Visco non è stupido né autolesionista: cos’è, un desiderio di immolarsi in un ultimo attacco agli evasori? Non è che il giochino di pubblicare i dati e poi subito ritirarli era già calcolato, magari per aver la scusa per spiattellare il reddito di qualcuno in particolare, dopo la delibera del Garante sulla Privacy che mesi fa disse che pubblicare i redditi è illegittimo se li hai avuti sottobanco, ma legittimo se prima li ha pubblicati l’Agenzia delle Entrate?
Io ho anche il nome e cognome, cioè Grillo Giuseppe Piero, santone antipolitico e contribuente per oltre quattro milioni di euro, che esce abbastanza colpito da questa vicenda, anche perché guarda caso tutti i giornali hanno subito concentrato l’attenzione su una sola dichiarazione su sessanta milioni, la sua: e infatti lui aveva già pronto il pezzo di fuoco contro la manovra, la mattina stessa in cui tutto accadeva… Comunque, anche una parte dei suoi se la sono presa, e lui ha dovuto prontamente fare marcia indietro e gridare al complotto, che però secondo me potrebbe anche esserci stato davvero. E poi, secondo me lo scandalo è chi evade, non Grillo che guadagna quattro milioni e li dichiara fino all’ultima lira.
Purtroppo per i veltrusconiani, il giochino è sfuggito di mano: i file sono finiti sul peer-to-peer, e in sostanza saranno pubblici per sempre, compresi quelli relativi ai loro amici e parenti. E’ questa la cosa più positiva della faccenda: la sensazione che la rete livelli il terreno, e ci renda meno soggetti alle manovre mediatico-politiche sulla nostra pelle, dandoci invece occasioni di sorveglianza democratica che un tempo sarebbero state impensabili. Certo, dei file del peer-to-peer non sai quanto fidarti, e difatti secondo me a questo punto sarebbe il caso che l’Agenzia delle Entrate li rimettesse su, almeno siamo sicuri che siano i dati veri.
E però, anche se io sono un grande sostenitore del diritto alla privacy, non confondo la privacy con il desiderio di sfuggire alla propria accountability, alla propria responsabilità verso la società di cui si fa parte. Siamo in un momento drammatico, e c’è bisogno che tutti siano a bordo; e invece, molti italiani remano contro e pensano solo al proprio vantaggio personale. Questa faccenda, con un po’ di sorveglianza collettiva, ci permetterà di pinzarne anche solo una manciata, ma soprattutto ricorderà a milioni di italiani che prima o poi potrebbero dover rispondere del proprio latrocinio fiscale direttamente ai propri amici, e guardandoli negli occhi: e sarà comunque stato un grande risultato.
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