Troppo Traffic
Probabilmente sono io che sono troppo torinese: non perdo mai una occasione per brontolare. Eppure vorrei dire qualcosa sulla querelle che si trascina da mesi sul futuro di Traffic, nata dalle dichiarazioni del sindaco Chiamparino sulla possibilità di tagliargli i fondi e trasformarlo in un evento a pagamento, e dalle ripetute reazioni scandalizzate del jet-set musicale della città , capitanato dal direttore di TorinoSette Gabriele Ferraris (vedi l’editoriale dell’altra settimana e le frecciatine nel suo articolo di oggi).
Premetto che mi sento un po’ in colpa, perché tra i diretti predecessori di Traffic c’era quel Mac Pi 48 che io e altri abbiamo organizzato per tutta la seconda metà degli anni ’90: un megaconcerto gratuito nel cortile del Castello del Valentino. Lì lo scopo e il giro del fumo erano chiari: il Politecnico ci metteva alcune migliaia di euro per il palco e il cachet degli artisti, decine di studenti ci mettevano lavoro volontario, si invitavano artisti alla portata (comunque avemmo gente di ottimo livello, a partire dal debutto live all’aperto nella storia dei Subsonica) e si faceva una gran festa, senza pretendere chissà quale raffinatezza culturale. Il rapporto coi vigili non era mai facile; oltre a tonnellate di burocrazia, ci veniva imposto un chiaro limite sul volume e il divieto tassativo di andare oltre la mezzanotte – e nonostante questo, una volta ci prendemmo una multa. Ci preoccupavamo comunque del disturbo; si trattava di una sola serata in pieno giugno, ma regolarmente riempivamo le case di volantini di scuse anticipate per il rumore e tarpavamo i mixeristi troppo allegri col volume, perché ci sembrava del tutto normale che a breve distanza abitassero persone che volessero stare il più in pace possibile.
Qualche anno dopo, ai tempi di Vitaminic, approcciammo il Comune per discutere possibili iniziative estive. Fu lì che scoprii il magico mondo dei concerti estivi: quello per cui, improvvisamente, da metà giugno a fine luglio tutte le amministrazioni pubbliche italiane decidono di voler riempire le piazze con la musica (o, in alternativa, il cabaret). Per i cantanti è un periodo d’oro: qualsiasi canaro stonato costa in quel mese e mezzo tre o quattro volte di più rispetto al resto dell’anno. Ma anche per gli organizzatori è un periodo d’oro: dovunque ci siano fondi pubblici, ci sono persone pronte a intascarli con ogni mezzo.
A Torino, in particolare, mi fu spiegato come le attività musicali estive fossero rigorosamente spartite tra tre o quattro organizzatori o “associazioni culturali”, ognuna con sufficienti connessioni politiche. Ogni tanto le connessioni di qualcuna si rivelavano non abbastanza resistenti e i fondi sparivano; fu così, per dire, che l’Associazione Culturale Barrumba al volger del millennio fu esiliata dalla città e costretta ad inventarsi il Chicobum Festival di Borgaro, che tirò avanti per sette anni senza grossi assegnazzi comunal-provincial-regionali, a dimostrare che un altro mondo sarebbe possibile, anche se l’anno scorso dovettero alzare bandiera bianca.
Tra quelli che a Torino continuano a vivere, gran parte del lavoro lo fa l’Associazione Culturale Hiroshima Mon Amour; compreso Traffic, anche se esso si è poi costituito in una sua propria Associazione Culturale Traffic, diversificando un po’ i loghi sulle richieste di assegnazzi. Traffic è un affare quasi milionario; qui, insomma, il giro del fumo comprende sovvenzioni pubbliche da (pare) centinaia di migliaia di euro, sommate a sponsor privati di dimensione simile o superiore, che servono per permettersi artisti di (vero o presunto) spessore internazionale in piena stagione di punta. Comunque, le associazioni culturali non fanno certo Traffic per cultura; per le decine di persone impegnate nell’organizzazione, si tratta di un lavoro, e come ogni lavoro va remunerato; quindi una parte di questo budget (non ho assolutamente idea di quanto) resta sicuramente nelle loro casse.
Il conseguente sospetto che quando Chiamparino e Ferraris discutono di cultura stiano in realtà discutendo di soldi è comunque legittimo; anzi, a me è venuto pure quello che stiano discutendo di politica, visto che Hiroshima, per dirne una, ha ospitato la festa finale della campagna “ribelli DS per Morgando contro Chiamparino e Bresso” dell’anno scorso, e magari il Chiampa s’è legato la cosa al dito; chissà , magari quelli di Hiroshima stanno già facendo le ricognizioni al parco Chico Mendes.
Chiaritovi quindi che quella su Traffic tutto è, meno che un’aulica discettazione sugli strumenti di diffusione della cultura e sulla loro sostenibilità , facciamo finta che lo sia e discutiamone un attimo. Ieri, verso le 22, essendo già in giro in auto, abbiamo provato ad andare al festival; peccato che nel raggio di chilometri a sud della Pellerina – un’area densamente abitata – non ci fosse un parcheggio disponibile, ma solo decine di macchine che gasavano gli abitanti girando in tondo e non sapendo dove fermarsi. Deciso che non avevo voglia di andarci a piedi, sono tornato a casa, dove sono stato poi svegliato dall’evento clou: un concerto di musica da discoteca a un volume mostruosamente alto, tanto che a casa mia, a una decina di isolati dal limite del parco, tremavano le pareti fino a mezzanotte e un quarto, anche con le finestre chiuse. Non oso immaginare chi abita più vicino…
Supponiamo comunque di riuscire ad andarci, come ho fatto varie volte negli scorsi anni. Bene, sgomitate e arrivate sotto il palco; nonostante il volume, non riuscirete a concentrarvi sulla musica. Difatti, tre quarti delle persone attorno a voi sono lì per caso, “tanto è gratis”, e passano la serata a chiacchierare e ridacchiare a voce alta; ogni tre minuti, nel bel mezzo di un brano, passa un carrettino col compressore acceso e un venditore che grida a voce altissima “cocabbirraggelatiiii…”. E’ chiaro che a Traffic, della musica, non frega niente a nessuno, se non a una minoranza di appassionati che avrebbero volentieri pagato cinque euro per godersi gli artisti in santa pace, invece che pigiati in mezzo a tutti i tamarri della città in libera uscita. Aggiungeteci che, quando il concerto finisce, si rischia la vita perché decine di migliaia di persone si accalcano in un vialetto di tre metri di larghezza, intasato di bancarelle promozionali, pur di uscire…
Insomma, Traffic è non solo insostenibile economicamente, ma è insostenibile anche ambientalmente, per chi ci vive accanto e per chi ci va. Sarà anche un elemento fondamentale della cultura torinese, come il Salone del Libro e il Film Festival, ma a questi ultimi eventi l’ingresso si paga! Gli organizzatori continuano a dire che questo è l’unico festival gratuito di grandi dimensioni in Europa; ma se nessun altro lo fa, non sarà che c’è un motivo?
Io spero che Traffic continui, però come tutte le altre rassegne: voglio dire, quelli di Colonia Sonora (aka Associazione Culturale Radar, ovviamente) si prendono qualche soldo pubblico ma non certo su questa scala, fanno pagare i biglietti, portano artisti interessanti invece di vecchi strabolliti (Sex Pistols e Patti Smith) e amici degli amici (Afterhours e Massimo Volume), e non si riempiono tanto la bocca di presunta indignazione se gli chiedono di far quadrare un po’ meglio i conti, mettere due lire di biglietto, spostarsi in un luogo con più parcheggi e meno case ed evitare di intasare e assordare mezza Torino. Suvvia, Casacci & friends: si può fare.
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