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lunedì 29 Settembre 2008, 15:13

Chi ha paura del mercato

In parecchi, in questi giorni, hanno stappato lo champagne per festeggiare la fine del libero mercato, dopo che il Presidente degli Stati Uniti ha contravvenuto a un secolo di liberismo chiedendo un pesante intervento statale per nazionalizzare le banche e le assicurazioni in crisi.

E’ indubbiamente vero che, a livello globale, il mercato sia fuori controllo: ad aziende e cupole finanziarie globali si contrappone un potere politico ancora diviso per nazioni, quindi incapace di imporre alcunché su scala mondiale. Le Nazioni Unite sono un timido dinosauro a cui le nazioni più importanti evitano accuratamente di dare alcun potere, specie in materie economiche; il WTO (che non fa nemmeno formalmente parte delle Nazioni Unite) è uno strumento dei paesi occidentali per imporre al resto del mondo le proprie condizioni commerciali, e nelle rare occasioni in cui decide contro un paese sviluppato le sue decisioni sono semplicemente ignorate.

E’ altrettanto indubbio che gli eccessi di questi vent’anni di capitalismo non più frenato dalla paura del comunismo abbiano dimostrato l’importanza di rimettere gli “animal spirits” un po’ sotto controllo, ed avere la possibilità di imporre regole al mercato per assicurarsi che tale strumento svolga la sua funzione – quella di ottimizzare gli scambi e quindi produrre ricchezza per tutti – e non venga invece manipolato al servizio di pochi.

Permettetemi però di esprimere qualche perplessità di fronte ai molti che stanno tentando di applicare questo ragionamento, valido per i paesi sviluppati, anche all’Italia. In Italia, infatti, il libero mercato non c’è e non c’è mai stato: abbiamo sempre avuto una economia pesantemente condizionata dalla politica e da poteri di vario genere, dalla Chiesa alle maggiori aziende, fino alle logge massoniche.

Per cinquant’anni, l’economia italiana è stata in gran parte in mano allo Stato, e per il resto nelle mani di un capitalismo familiare, dagli Agnelli in giù, che ha fatto molto per lo sviluppo del Paese, ma anche creato l’abitudine a scaricare sullo Stato le perdite e tenersi i profitti. Bene o male, comunque, era un sistema che stava in piedi; dopo il crollo del comunismo, però, siamo passati a una economia di mercato per finta, dove in realtà il potere politico è direttamente occupato dagli interessi finanziari, e dove i politici di tutti gli schieramenti si preoccupano soprattutto di passare pezzi di economia agli amici. E’ successo con Telecom, è successo con le banche, è successo con le autostrade, sta succedendo ora con Alitalia.

In Italia, insomma, il mercato non c’è mai stato; e prima di preoccuparci di rimetterlo sotto il controllo dello Stato, dovremmo preoccuparci di arrivare ad averne uno vero.

Purtroppo, la vedo dura: culturalmente, gli italiani sembrano del tutto impreparati a concetti come concorrenza, meritocrazia, rischio in proprio, o all’idea che a ogni spesa debba corrispondere un’entrata, e che un diritto di qualsiasi genere può esistere soltanto quando esistono in cassa i soldi per implementarlo. Questa impreparazione è peraltro una delle cause fondamentali della nostra crisi economica, che la rende strutturale e difficilmente reversibile.

Questo vale a tutti i livelli; per esempio, tempo fa ho discusso con un insigne professore universitario torinese sul fatto che l’Università, pur contando su ampi contributi pubblici, dovesse arrivare al pareggio di bilancio, se necessario con entrate da vendita di servizi, senza convincerlo; la sua idea era che “l’Università è importante, quindi lo Stato deve far saltare fuori i soldi in qualche modo”.

Più nel piccolo, bastano le solite lettere a Specchio dei Tempi: oggi c’è una che si lamenta che in un bar in orario serale ha pagato sette euro un chinotto anche se non ha consumato l’aperitivo, e il tavolo era sporco, e il cameriere era sgarbato. Ma non basterebbe cambiare locale? Perché si deve invocare che lo Stato-mamma vada a sorvegliare tutti i camerieri del Paese o stabilisca per decreto (come chiede un altro nei commenti) che è obbligatorio che i bar ti vendano il chinotto separatamente dal buffet anche in orario di apericena? Non ci si poteva lamentare direttamente col proprietario del locale, invece di stare zitti e poi scrivere a Specchio dei Tempi?

Purtroppo, pare che il mercato sia troppo difficile da sopportare per buona parte degli italiani: il mercato, infatti, è basato sulla responsabilità individuale di tutti coloro che vi partecipano, mentre ciò che sognano questi italiani è l’uomo forte che prende le redini della cosa pubblica e sistema tutto senza che loro debbano preoccuparsi di se stessi, del proprio futuro, della propria ricchezza. Così, poi, sapranno con chi prendersela quando piove.

[tags]economia, mercato, nazioni unite, wto, italia, piangioccioni[/tags]

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10 commenti a “Chi ha paura del mercato”

  1. D# AKA BlindWolf:

    Ti ho appena fatto una piccola, personale standing ovation.

  2. Ommipovr'om!:

    Ecco una delle tue (posso darti del tu in casa tua?) fissazioni: pensare che la gggggente sia capace di decidere autonomamente di non piagnucolare, invocando lo Stato/mamma che dice ‘cattivo’ al barista esoso, come al banchiere strozzino o al vigile con le biiip in giostra!
    Non te la ricordi la sigla di quel bellissimo cartone animato che spiegava i rudimenti di medicina e dal titolo “Esplorando il corpo umano”? Beh, la cantava Cristina d’Avena quando aveva ancora i baffi e le basette e il ritornello diceva:”Siamo fatti cosììììììììììììì!”

  3. Fabio Forno:

    “il mercato, infatti, è basato sulla responsabilità individuale di tutti coloro che vi partecipano”

    Me lo definiresti meglio per favore?

  4. Lobo:

    tradurrei in “nel mercato ognuno fa cio’ che vuole”

  5. vb:

    Il mercato funziona se ogni persona agisce in modo utilitaristico: in particolare, se il cliente, di fronte a prezzi eccessivi, va a cercare un altro posto dove il bene costa meno o persino si organizza (come ormai avviene spesso con i “gruppi d’acquisto”) per creare canali di distribuzione alternativi a prezzo inferiore. Se invece il cliente si lamenta dal mattino alla sera che “la roba costa troppo” e “il prezzo è ingiusto”, ma poi lo paga regolarmente, il prezzo non scenderà mai…

  6. Fabio Forno:

    Ah per “responsabile” intenti questo. Allora siamo d’accordo, temevo altro.
    L’unica osservazione che farei è che il mercato “funziona” o “non funziona” a prescindere, perché non puoi definire una funziona obiettivo che ne misuri la bontà (sì, puoi farlo, ma è soggettiva). La responsabilità, come dici tu, non fa nient’altro che spostare i vantaggi da una parte o dall’altra o creare un certo equilibrio.

  7. Alberto:

    Tu descrivi un lato della medaglia. Ovvero la riluttanza molto diffusa in Italia a misurarsi con la responsabilizzazione ed i rischi del libero mercato. L’altra faccia della medaglia è la tendenza da parte di molti sostenitori del libero mercato a sentire qualunque vincolo al suo operare come un indebito lacciuolo e non come un tentativo di garantire il sistema dalla tendenza a prendersi più rischi di quanto non sia accettabile. In questi anni il mercato internazionale, dominato da multinazionali più potenti degli stessi governi, ha creato un sistema economico-finanziario libero da controlli che ha creato le premesse per i disastri che vediamo.
    La schizofrenia con la quale il mondo passa dall’adorazione del liberismo a quella del dirigismo, e viceversa, è madre della crisi che stiamo vivendo (come del resto quella del 1929) così come della stagnazione che le economie troppo garantite e controllate producono.
    Il problema della realtà italiana è il suo profondo conservatorismo che la porta ad andare sempre a rimorchio del resto del mondo, quindi ad essere dirigista quando il resto del mondo si sta già convertendo al liberismo e viceversa.

  8. sisifo:

    Comunque proprio perché l’economia lavora a livello planetario e gli stati no, il congresso risponde picche dopo che Germania, Francia e Regno Unito per tacere di Russia e Cina non intervengono.

    La presa di posizione dell’Italia non é pervenuta : credevano che bastasse salvere Alitalia, poverini, ora finiscono i soldi e fanno finta di non sentire.

    In merito al liberismo italiano, l’Italia é lo stato che negli ultimi quindici anni ha realizzato le leggi piú liberali d’Europa (leggi mercato del lavoro), con le quali le aziende dovrebbero respingere alla grande la concorrenza internazionale.

    Invece non ci riescono sia per mentalità (leggi appunto Specchio dei Tempi) sia a causa di un governo di stampo “mussoliniano” (inteso qui non dal punto di vista politico, ma di impostazione economica improntata alla cooperazione autarchica stato italiano – grande azienda italiana).

  9. FRANK:

    @sisifo: diciamo che come al solito in italia si è fatto un gran casino. Si sono fatte leggi di stampo liberista (più che liberale) nel mercato del lavoro, ma sono rimaste le strutture sociali vecchie, legate ad un mercato del lavoro che non c’è più.
    Anche tutte le liberalizzazioni e privatizzazioni fatte sono sempre monche. E lo stato ha ancora molti, troppi interessi in grosse aziende: Eni, Enel, Ferrovie. Ciò che è stato venduto è finito in mano ai soliti banditi (aka tutti gli azionisti di CAI ed un paio d’altri) che non sanno cosa sia il mercato globale o la concorrenza. Si conoscono tutti, fanno affari insieme, come fanno a farsi concorrenza? Dai, non è da signori! In compenso conoscono benissimo il loro portafoglio e sanno come gonfiarlo sempre di più, con il beneplacido della gerontocrazia che ci governa.
    Anche le grosse compagnie straniere quando arrivano in italia si adeguano: altro che concorrenza, cartello e via! Vedi ad esempio le compagnie telefoniche.
    Basta, ho la nausea… vado a vomitare.
    FRANK

  10. guidolavespa:

    mio dio, o visto un blog pieno di stelle…
    stasera o letto grazie voi quale futuro mi aspetta.
    comincio a pregare…

 
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