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mercoledì 10 Settembre 2008, 16:37

Un giorno nella savana (1)

Bisogna dirlo: al parco Kruger abbiamo avuto una fortuna sfacciata. La gita era stata organizzata dai nostri ospiti italiani, che ormai si sono perfettamente integrati nella mentalità mozambicana: quindi, non eravamo per nulla preparati; non avevamo prenotato; non avevamo una cartina e non sapevamo dove andare, né come fare per vedere gli animali. Eppure, abbiamo messo insieme in un solo giorno una serie di esperienze che molti non riescono a fare in una settimana.

Siccome nel non-piano era prevista una sosta nella città sudafricana di Nelspruit per fare shopping (sosta che ovviamente si è rivelata impossibile a causa della strada persa in Mozambico, dell’ora e mezza di dogana non calcolata e di altri errorucci simili), abbiamo percorso la regione meridionale del parco da ovest a est, dopo averla prima costeggiata in autostrada nella direzione opposta.

Arrivando dal Mozambico, si risale una valle verdissima e piena di coltivazioni di vario genere (banane, cedri, ananas…); poi si attraversa una gola meravigliosa che ricorda molto i canyon dei film western. Si sbuca così nel cuore di Mpumalanga, la regione orientale del Sud Africa: un posto davvero bellissimo. In pratica sono le colline toscane trasportate in Africa; e sebbene ci siano lo stesso anche i vigneti, lo sfondo delle montagne e del sole africano al tramonto le rende spettacolari.

Peccato che, in Sud Africa, non sia troppo sano restare in giro dopo il tramonto; la zona in questione non è Soweto, ma è pericoloso lo stesso. Così, di fronte alla flemma dei nostri ospiti, noi siamo andati in fibrillazione, man mano che il sole calava e non sembrava esserci alcuna vera intenzione di trovare un posto per la notte, anzi saltavano fuori idee bislacche tipo (a mezz’ora dal buio) “facciamo ancora mezz’ora di macchina e andiamo all’ingresso del parco a vedere com’è e se si può dormire lì”.

Per completare il quadro, la mezz’ora di macchina in questione è trascorsa in mezzo a una metropoli fantasma: l’unica zona dove abbiamo visto chilometri e chilometri di colline completamente tappezzate di casupole abitate dai neri più poveri. Lungo la strada, infatti, c’era traffico, gente che camminava, bambini che giocavano, baretti-discoteca pieni di gente del posto; tutto diverso dai cento chilometri precedenti, in cui saremmo potuti benissimo essere in Germania. Le casupole erano decisamente meglio di quelle mozambicane: praticamente mai di paglia, tutte con l’elettricità e l’acqua, e varie di loro erano sviluppate a un livello non dissimile dalla media casa di campagna o di mare del Sud Italia.

Invece, noi europei-previdenti siamo stati scornati, perché è successo il primo miracolo: arrivati alle cinque alla Numbi Gate, un’ora prima della chiusura per buio, abbiamo chiesto se c’era posto nell’unico campo ancora raggiungibile e ci hanno detto che eravamo davvero fortunelli, perché si erano liberate delle capanne. Infatti, per dormire dentro il Kruger bisogna solitamente prenotare con settimane d’anticipo, mesi in alta stagione; se no puoi dormire nei vari albergoni esterni, che però costano il triplo e sono molto meno affascinanti, e poi entrare all’apertura del parco, alle sei di mattina, perdendoti però i safari dell’alba organizzati dal parco. Insomma, dormire dentro è tutta un’altra cosa e se mai ci andrete assicuratevi di farlo.

All’ingresso, ci siamo fatti subito riconoscere: infatti abbiamo imboccato la strada a velocità allegra (ben oltre il limite di 50 km/h che vige nel parco per non investire animali) e con la portiera dei sedili posteriori, scorrevole, aperta per fare meglio le foto. (Inutile dire che io mi sono dissociato sin dal principio e che questo comportamento è tutto effetto del mix culturale Italia-Mozambico.) Le porte vanno tenute chiuse, se non altro per evitare che un leone, o più facilmente una scimmia, ti saltino in macchina! Comunque, dopo tre chilometri è successo questo: il van davanti a noi, di una delle compagnie private di safari, ha accostato in mezzo alla boscaglia e ha detto qualcosa a qualcuno. Tempo di arrivare lì e sbucano fuori due poliziotti neri, che erano seduti tra l’erba davanti a un autovelox; ci fermano, ci chiedono la patente, e ci annunciano la multa. Italia-Mozambico reagisce dicendo che ha aperto la porta “solo un attimino per fare una foto”, al che il poliziotto s’incazza e fa notare che il tizio davanti gli ha raccontato tutto. Alla fine, dopo cinque minuti di cazziatone, visto che eravamo appena entrati non ci ha fatto la multa; però il messaggio è stato chiaro e di lì in poi siamo stati bravissimi.

Arriviamo al campo di Pretoriuskop al crepuscolo: ci danno le nostre capanne, cioè costruzioni tonde in muratura col tetto di paglia, dentro le quali ci sono due letti, un tavolo, due sedie, un lavandino, una lampada elettrica e un ventilatore a pale. Ce le avevano presentate come spoglie e poco accoglienti, ma in realtà sono bellissime: hanno pure le zanzariere e, davanti all’uscio, il barbecue privato. Altre, però, hanno l’aria condizionata, gli utensili da cucina, il bagno privato e tante altre cose… Oltre ad un centinaio di capanne, nel campo – ovviamente chiuso e circondato da recinti elettrificati – ci sono un bar, un ristorante, un negozio di alimentari e souvenir, una pompa di benzina, un bancomat, e persino due piscine rotonde e semi-naturali; ed è pieno di uccelli e di gazzelle che pascolano tra le capanne. Insomma, altro che campeggio: pur sembrando ampiamente selvaggio (e risalendo originariamente agli anni ’30: il parco fu istituito nel 1926) è un posto moderno ed organizzatissimo!

Ceniamo: zuppa e antipasto caldo a buffet, spiedini di kudu e il dolce, più birra e acqua. La notte è fantastica; dopo le 21:30 c’è la consegna del silenzio, anche se le rane e i grilli fanno discoteca tutta la notte; il buio è quasi totale, a parte qualche luce sui passaggi. Il cielo è incredibile, pieno di stelle: uno di quei cieli che scioglie il cuore, facilita l’accoppiamento e (come direbbe qualcuno) ispira un intero disco di ballate a Paul McCartney. Dopo averlo visto non si riesce più a dormire, e così le ultime ore prima della sveglia delle 4:15 sono dedicate alla passeggiata e alla fotografia notturna.

pretoriuskop.jpg

[tags]viaggi, africa, sud africa, kruger, safari, savana[/tags]

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11 commenti a “Un giorno nella savana (1)”

  1. FRANK:

    Al Kruger ho passato 3 giorni. Indimenticabili. Spero un giorno di portarci i miei figli.
    Riguardo alla porta aperta….. ci sono video di idioti scesi dalla macchina sbranati dal leone di turno.
    Immagino abbiate fatto escursioni del mattino e della sera, e magari hai visto anche tutti i big five! A me ne manca uno :)

  2. simonecaldana:

    Ma quando scrivi guida nera, villaggio di neri, ecc lo fai per farci capire che e’ una guida che non ha voglia di lavorare, che e’ un villaggio di gente priva di capacita’ di organizzazione o cosa?

  3. vb:

    No, lo faccio per farvi capire che qui sono tutti neri, perché è una cosa che quando un europeo medio deve immaginarsi una scena raccontata da altri non viene naturale. Pare che buona parte di chi arriva in Mozambico per la prima volta, appena uscito dall’aeroporto, per prima cosa esclami con stupore “Ma… qui sono tutti neri!!”.

  4. D# AKA BlindWolf:

    @FRANK: mi pare anche di aver letto che dopo aver mangiato carne umana i grossi felini la apprezzino molto ed inizino a dare esplicitamente la caccia ai gustosi bipedi… Il che è un problema.

  5. D# AKA BlindWolf:

    @vb: anche dietro alla stazione di Padova esclami la stessa frase.

  6. simonecaldana:

    vb: perdonami ma stupirsi che in Mozambico siano tutti neri implica una discreta ristrettezza mentale in partenza. Forse che quando sei atterrato in Jappone hai pensato “ma qui sono tutti gialli!”

  7. for those...:

    @vb: Non proprio TUTTI neri. Noi abbiamo fatto il “morning walk”* e le 2 guide (per le passeggaite a piedi le guide sono 2 e ben armate) erano bianche**. Molto brave e competenti peraltro.
    Però in effetti stupirsi che in Africa (anche in Sud Africa) siano neri… :)

    *camminare nella savana non protetti da un’auto è un’esperienza easaltante. Sarà banale ma ci si sente più a contatto con la natura

    ** magari è un’inutile malignità, ma mi sono chiesto se ci fossero coppie miste di guide. Tu ne hai per caso viste, vittorio?

  8. vb:

    Simone: In effetti a Sapporo mi sono stupito. Ti assicuro che una cosa è pensarlo razionalmente, una cosa è lo straniamento che ti dà vederlo coi tuoi occhi…

  9. D# AKA BlindWolf:

    Specialmente dietro alla stazione di Padova. Porta Palazzo a confronto è un raduno di finlandesi.

  10. Elena:

    Spiace dissentire, ma nè Palazzo, nè il retro della stazione di padova danno l’idea delle stranianti e contraddittorie sensazioni che si provano a percorrere i barrios di maputo: poveri, poverissimi in case diroccate, ma dignitosi, con bambini che saltellano in mezzo ai polli.
    Non è esattamente la stessa cosa. La sensazione di sentirsi diverso e fuori luogo non la si può provare a porta pila o dietro la stazione di padova, perchè sai benissimo che dopo poco, magari due fermate di tram, c’è casa tua, l’accogliente nido che ti aspetta.

  11. alessandra:

    Scusa, diciamo che arrivare in sud africa e stupirsi dei “neri” è da imbecilli.
    Se non si è in grado di viaggiare, è meglio stare a casa.

 
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