Carriera
Una delle cose più divertenti dell’ascoltare regolarmente Radio Flash è il fatto che, ogni tot di tempo, passano le notizie e le pubblicità del circuito Radio Popolare.
Radio Flash, infatti, è la radio della sinistra torinese, quella riformista e moderna (pure troppo, visto che la casa madre Hiroshima Mon Amour è in pole position tra gli ammanicati per ricevere fondi pubblici quando ci sono da organizzare eventi musicali, e che la costruzione del loro nuovo fiore all’occhiello, il Teatro della Concordia di Venaria, fu bellamente appaltata alla famosa e onnipresente De-Ga). Su Radio Popolare, invece, circolano ancora le idee e gli slogan della sinistra tosta di un tempo: anticapitalista, antiamericana, antiberlusconiana talvolta al limite del ridicolo.
E così, sospesi da un pezzo i mitici spot dei Comunisti Italiani con Diliberto che parlava sopra un assolo di chitarra (si sa, bisogna attirare i giovani), circolano però con frequenza da mesi gli spot animalisti contro le pellicce, la caccia, la vivisezione e il consumo di carne. Di base, il rispetto degli animali è una pratica fondamentale su cui l’uomo ha ancora molto da fare; l’estremismo di questi spot, però, è da manuale, e, accompagnato a musiche drammatiche, testi lirici e richieste complicate (tipo “non scrivere sul modulo Unico il codice fiscale di un ente di ricerca che usa animali”), finisce spesso per generare risvolti involontariamente comici.
Quello che circola ora è relativo alla vivisezione degli animali, una pratica orribile che sarebbe da vietare completamente, salvo al massimo qualche caso estremo in cui è provatamente insostituibile a scopi sanitari. Lo spot, in un crescendo drammatico, arriva all’accusa più forte: queste ricerche (che “non sono scienza, ma vivisezione”) sono condotte “per interessi economici e di carriera”.
Che per la sinistra ortodossa l’economia sia il male è noto: in Italia, poi, si somma la doppia influenza dell’anticapitalismo marxista e della Chiesa Cattolica, per cui notoriamente il denaro è lo sterco del diavolo (il che spiega la discreta presenza al suo interno, oltre che di pedofili, anche di coprofili).
Qualche tempo fa, per esempio, ho conosciuto una persona di questo genere; spendendo la sua vita, con encomiabile impegno, tra un presidio anti-inceneritore e un gruppo d’acquisto solidale, mi disse che secondo lui bisogna smetterla di far lavorare la gente per le cattive multinazionali, nelle fabbriche, nei trasporti e in generale in attività economiche inquinanti, e farle invece lavorare per lo Stato, nella sanità , nell’assistenza agli anziani e ai lavori socialmente utili. Io, allora, ho provato ad obiettare che, a meno di grandi rivoluzioni nella nostra struttura sociale, magari necessarie ma non in vista a breve, i posti di lavoro pubblici esistono soltanto in quanto esiste una economia privata che genera utili, che possono essere tassati e rimpinguare le casse pubbliche; bene, questo discorso proprio non veniva capito. Si dava per scontato che esistesse da qualche parte una miniera di ricchi da tassare, naturalmente ladri perché nessuno può essersi arricchito onestamente e comunque la proprietà è un furto, e che tutti i problemi della società si potessero risolvere aumentando le tasse.
Per questo capisco che la frase “interessi economici” abbia una connotazione negativa così diffusa; ma perché devono essere negativi anche gli “interessi di carriera”?
E’ ovvio che ci siano nella nostra società fenomeni eticamente sbagliati, di persone che violano la legge o la morale pur di guadagnare di più, o che trascurano i propri cari per i propri obiettivi professionali (di solito queste ultime persone sono ampiamente punite dalla vita, anche quando riescono effettivamente a fare carriera). Ma perché deve essere sbagliato, tout court, il desiderio di fare carriera?
In pratica, siamo giunti in questi ambienti antagonisti al rifiuto puro e semplice del fare, del partecipare all’economia: il cittadino ideale è presumibilmente uno che sta seduto in un angolo a non far niente, anzi, a disprezzare quelli che pensano a sbattersi per migliorare la propria posizione, e di riflesso anche quella degli altri. Vive, immagino, grazie al “reddito di cittadinanza” o ad altri modi di ricevere del denaro grazie alla ricchezza prodotta da altri e senza doversi sporcare le mani.
Al di là della questione economica, però, è il rifiuto dell’aspirazione a una condizione personale migliore che fa spavento: perché è vero che questa aspirazione genera competizione, lotta, spesso infelicità e talvolta anche atti spregevoli, ma essa è da sempre il motore dell’evoluzione umana. Un sistema economico più umano, rovesciando le priorità collettive tra produzione e qualità della vita, è certamente necessario, ma non si può nemmeno pensare che la nostra società , con il suo livello di vita materiale così elevato, possa sopravvivere senza fatica e senza sbattimento.
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