Un martedì no grat
Ieri avevo ricevuto un invito per il presidio contro il grattacielo di Banca Intesa, che si sarebbe tenuto oggi in pausa pranzo nei giardinetti lì accanto; e oggi a pranzo, essendo in giro in bici, sono andato a vedere.
Sono arrivato lì circa all’una e un quarto; c’erano una dozzina di persone, nessuno che conoscessi di persona. C’era però Paolo Hutter – ex Lotta Continua, ex o forse ancora Verdi, ex assessore all’Ambiente – incatenato a un albero; nonché un altro paio di persone che conoscevo di vista dai tempi del Poli, ricercatori o docenti.
C’è fermento perché stamattina, senza preavviso, il cantiere è stato espanso: è stata posta una serie di grate in mezzo ai giardinetti, e le ruspe hanno cominciato a spostare più in là i jersey di cemento su cui è posata la recinzione metallica. Tra i jersey e le grate sono rimasti chiusi una presa d’aria del parcheggio sotterraneo e soprattutto un albero. Non si capisce se l’operazione sia autorizzata o no, né quale sarebbe il destino dell’albero, per cui Hutter si è incatenato in attesa di spiegazioni da parte del dirigente del cantiere.
La cosa più importante per me, però, è quello che apprendo dal ricercatore di Architettura: infatti, vedendo l’area recintata rasa al suolo per cominciare lo scavo, avrete sicuramente pensato che il grattacielo sia ormai cosa fatta e pronta all’ultimazione. In realtà pare non essere così, perché del grattacielo non esiste ancora nemmeno il progetto definitivo – e quindi nemmeno le relative valutazioni!
Sembra che il Comune abbia concesso in fretta e furia un permesso provvisorio per cominciare a fare qualcosa, tipo un po’ di pulizia e un po’ di scavo, proprio per battere sul tempo le opposizioni al grattacielo prima che si organizzino; tanto è vero che è stata richiesta una fidejussione perché, se il progetto non dovesse venire infine approvato, ci siano i soldi per riempire il buco che stanno facendo.
Il motivo è prettamente politico: l’operazione grattacielo, infatti, è stata concepita per due motivi. Da parte del Comune, c’è l’esigenza di incassare decine di milioni di euro in oneri di urbanizzazione, per salvare le proprie casse sull’orlo della bancarotta; da parte di Banca Intesa, c’era l’interesse di assicurarsi una gigantesca speculazione immobiliare, che avrebbe portato la banca a possedere una enorme cubatura in un punto strategico, proprio sopra la nuova stazione, quindi con valore notevole. Certo, oggi ti dicono che ci metteranno gli uffici della banca e che questo porterà occupazione a Torino (come se nel frattempo non avessero dato un calcio nel sedere a tutti i maggiori dirigenti ex Sanpaolo, e come se le banche non fossero tutte piene di dipendenti che, nell’era della finanza automatizzata e dell’online banking, non servono più a niente…); in realtà, nel medio-lungo termine, è facile prevedere che gli uffici possano venire rivenduti o addirittura trasformati in alloggi di lusso.
Lasciamo perdere l’insensatezza urbanistica di attirare ulteriore traffico in quel punto e quella ambientale di deturpare il paesaggio di una città che punta sul turismo e che si è finora salvata dalle americanate; ma, in tempi di crisi e di mercato immobiliare a rischio crollo, che una banca spenda 400 milioni di euro per costruire un grattacielo pare insostenibile anche economicamente. Paradossalmente, ciò che non ha potuto impedire la contrarietà della cittadinanza potrebbe essere impedito dal mercato.
Nel frattempo, però, si è scatenata la gara per raggiungere il presidio: arrivano primi i dighi, uno dopo l’altro, seconda Torino Cronaca, gli altri quotidiani non sono pervenuti dato che per loro il problema non esiste. Per una dozzina di persone ci sono cinque agenti della Digos, che cercano di mimetizzarsi, ma senza speranza: da una parte ci sono persone di una certa età e un po’ di giovanotti smilzi, dall’altra cinque tizi belli grossi con accento del profondo Meridione…
Partono book fotografici in abbondanza: noi fotografiamo il cantiere, gli operai fotografano noi, i giornalisti fotografano gli operai che fotografano noi, la Digos fotografa i giornalisti che fotografano gli operai che fotografano noi che fotografiamo il cantiere. Nell’era dell’abbondanza mediatica, sappiate che Torino Cronaca ora ha una foto di me abbracciato a Paolo Hutter, ma non ho da temere perché c’era l’albero in mezzo – e poi non mi sono presentato, né gli ho lasciato il numero. Quanto ai dighi, sai chemmefrega: io ormai sono schedato per almeno cinque diversi tipi di sedizione…
Verso le due arriva infine il capocantiere, un tizio alto alto dall’accento fortemente veneto, accompagnato da qualche operaio e da un negrone di due metri della sua security. Parte una civile chiacchierata, loro spiegano che le grate sono provvisorie e servono solo per il lavoro di spostamento della recinzione, il quale è stato regolarmente autorizzato dal Comune con tanto di pagamento della tassa di occupazione del suolo pubblico; e che l’albero non sarà toccato in alcun modo. Tanto basta: Hutter si scatena e ce ne andiamo tutti a casa.
I dighi confabulano per capire se qualcuno deve essere denunciato e per cosa (forse c’è un reato per Hutter nell’aver aggirato la grata, che peraltro era aperta da un lato; comunque nessuno è mai entrato nel cantiere); concludono che in assenza di querele non si può far niente, e un digo basso e grosso si scusa per aver preso a male parole il cane di un manifestante. Gli operai ritornano ad operare. Anche oggi, una dozzina di persone hanno rivendicato il diritto ad avere un’opinione dissenziente. Non sarà abbastanza, ma è meglio che niente.
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