The one I love
Come i lettori più affezionati ricorderanno, sono stato un affezionato giocatore di Guitar Hero sin dal primo numero della serie; per un paio d’anni ho sviluppato le mie abilità chitarrinistiche in modo maniacale e semiprofessionistico, dopodiché mi è abbastanza passata la voglia.
Tuttavia, quando a Londra ho visto Guitar Hero IV (World Tour) – uscito ormai da un anno e mezzo – in offerta per otto sterline, mi son detto “perché no?”, soprattutto per due delle canzoni che contiene: Hotel California degli Eagles e The one I love dei REM. E così oggi – domenica pomeriggio, mezza giornata di riposo, rimasto solo in casa – l’ho aperto, l’ho messo dentro la PS3 e, esauriti i primi convenevoli, mi sono ritrovato a suonare a livello esperto questi due pezzi con grande godimento.
Se la prima canzone non ha bisogno di presentazioni, la seconda ha per me una storia tutta particolare. Intanto, è una delle canzoni più belle degli anni ’80, accompagnata da un video altrettanto bello.
E’ una canzone d’amore triste, un capolavoro di falso cinismo; l’intero testo è composto da una semplicissima lettera d’amore a una amata che è stata “lasciata indietro” e che viene ricordata come “un semplice gingillo per occupare il mio tempo” (il termine “prop” vuol dire “supporto” ma anche, in gergo cinematografico, uno dei finti elementi di cartone delle scenografie o un elemento di scena). L’ultima strofa cambia leggermente e dice all’amata perduta che adesso “un altro gingillo ha occupato il mio tempo”.
L’intera canzone è una specie di filastrocca che sottolinea la superficialità dei pensieri nel testo, eppure la musica triste dice tutto il contrario; e la situazione esplode letteralmente nel ritornello, dove Michael Stipe riesce solo a gridare “fire” e a farsi dilaniare dall’angoscia. La seconda volta, il grido finisce in un assolo perfetto – uno di quelli dove non puoi togliere o aggiungere neanche una nota – anche perché è, giustamente, rovesciato: invece di raggiungere il climax alla fine come tutti gli assoli, parte forte e poi si spegne senza speranza; la prima metà è in maggiore ed è suonata più forte mentre la seconda ritorna inevitabilmente nella sonorità minore di partenza.
Gli americani, che non capiscono, la suonano ai matrimoni (del resto gli americani sono convinti che Born in the U.S.A. di Springsteen sia una canzone patriottica; dev’essere che non sanno leggere). Io ci resto affezionato anche per via di uno strano episodio; ormai quattro anni fa, stavo passeggiando da solo e meditabondo per le vie di Te Anau, uno dei tanti posti meravigliosi della Nuova Zelanda. Percorrevo la strada sulla riva del lago, su cui si specchiavano gli alberi dalle foglie ormai gialle e rosse (era l’inizio di aprile, dunque autunno). D’improvviso a un incrocio, da una casa verso l’interno, qualcuno apre le finestre e sento uscire distintamente le note di The One I Love. Mi sono girato e ho fatto la foto, non alla casa ma a quella strada che partiva dal lago e all’immagine che la musica mi aveva spinto a vedere:
E’ forse strano che tutto questo discorso sia venuto fuori da sé il giorno di San Valentino. Ormai ho raggiunto un’età e una situazione in cui sono in pace con i sentimenti, ma la sensibilità è un bene che va conservato con cura.
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