Fuori dal centro di Londra
Capita a Londra un giorno normale come tutti quelli di febbraio; il cielo è grigio indistinto e ogni tanto viene giù acqua, ma in maniera molto cortese e bene educata, chiedendo sempre permesso. Solo chi viene da altri climi pensa di aprire l’ombrello; è più facile camminarci semplicemente dentro come fosse un gigantesco spruzzo di profumo, solo non profumato.
Londra è una città di diapositive; un gruppo di fermate della metro tenute insieme dalla colla. La transizione da un luogo famoso all’altro può avvenire per dissolvenza incrociata, nel buio anonimo del tubo; solo raramente avviene in superficie, forse a piedi, forse in cima alla centrifuga degli autobus a due piani. Non è così difficile, dopo un po’ di volte che ci si viene, esaurire le diapositive, e trovarsi di fronte al desiderio di sperimentarne qualcuna nuova.
Martedì mattina per esempio siamo andati ad Alexandra Palace, un luogo che nei suoi quasi 150 anni di vita è stato già tutto; centro esposizioni, teatro, campo di internamento, salone delle feste, sede delle prime trasmissioni televisive a risoluzione decente (405p) della storia, e poi anche rudere, ovviamente. Ah, e capolinea della Northern Line dove la Northern Line non è mai arrivata, l’avevo detto? Set dello spot della Punto che salta dal trampolino? Comunque è un posto piuttosto fuori dal comune, e ci sarebbe anche una bella vista sulla città , se la foschia non imperasse.
Ieri dunque, avendo la giornata libera, ho deciso di fare un giro ai Kew Gardens, approfittando dalla bella giornata (pioveva solo a intermittenza). Credo di esserci stato durante la mia prima visita a Londra, venticinque anni fa; e mi era rimasta la curiosità . Arrivarci non è difficile ma è lungo (tre quarti d’ora di metro; sta al confine tra le zone 3 e 4). L’ingresso costa 13 sterline e ho pure dovuto fare la coda, nonostante fosse l’una di un gelido mercoledì di inizio febbraio. Pensavo di starci un’oretta e poi tornare indietro, e sono stato smentito.
All’interno l’attrazione principale sono le serre; un paio di enormi palazzi di cristallo vittoriano, che un po’ sembrano stare in piedi per miracolo, ma che sono pieni di piante meravigliose di ogni specie e categoria. C’è la pianta del té, l’albero del cacao e pure l’albero del pomodoro, i cui frutti sono pomodorini oblunghi che però dentro somigliano alle albicocche. C’è una giungla tropicale piena di alberi enormi, ma c’è anche una sezione temperata con tanto di ulivo. Ci sono le sezioni primordiali, con le felci e pure con muschi e licheni (c’è anche un giardino roccioso all’aperto). C’è la sezione coi fiori, con orchidee di ogni genere (in effetti in una stagione più avanzata probabilmente fiorisce tutto il parco…). In un angolo c’è persino un cartello con la faccia di Chiamparino che dice “Ma se la regina Vittoria 150 anni fa non avesse costruito la serra delle palme, noi dove saremmo adesso?”.
La parte migliore, però, è la grande distesa di bosco che ricopre l’area tra le serre e il Tamigi. Nell’angolo in fondo c’è una pagoda che funziona un po’ come il Chrysler Building a New York – sembra sempre lì vicina ma non ci si arriva mai, e quando ci si arriva si scopre che è chiusa. Tuttavia a quel punto ci si trova nella parte meno frequentata del parco, e piove, e si aprono lunghe prospettive che hanno avuto l’intelligenza di lasciare verdi – non una strada, non un viale, ma una striscia di prato circondata da alberi alla giusta distanza per creare un passaggio armonicamente percettibile che si estende a vista d’occhio. Ci si può camminare per un bel po’ incontrando soltanto scoiattoli, uccelli, e vicino al laghetto i cigni e i pavoni… e poi i bagni pubblici, che diamine, perché questo è un paese civile e in qualsiasi posto ci sono bagni pubblici puliti, ben tenuti e quasi sempre gratuiti.
Negli angoli del parco ci sono spesso piccole sorprese, come il giardino giapponese con tempietto o la casa di legno tra i bambù, e insomma è bello perdersi nel silenzio (controllo aereo permettendo, perché siamo sotto uno dei percorsi di discesa di Heathrow, e dal percorso sopraelevato tra gli alberi a venti metri d’altezza – una delle altre attrazioni – si legge la marca delle gomme degli aerei che scendono già col carrello di fuori). Più piove e più il bosco si fa remoto e interessante; e insomma, alla fine sono rimasto fino all’ora di chiusura (le quattro e un quarto) e sono arrivato al cancello poco prima che mi chiudessero dentro.
Penso che se abitassi qui ci farei l’abbonamento.
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