Spaghetti a Suzhou
Oggi è stata un’altra giornata intensa: di primo mattino abbiamo cambiato albergo, dato che l’organizzatrice cinese del soggiorno aveva sbagliato le date della prenotazione, beccandoci pure un tassista o molto tonto o molto ladro, che ci ha portati a spasso per il quartiere trasformando un viaggio di un quarto d’ora in uno di 35 minuti; poi siamo andati a piedi alla stazione per prendere il treno per la nostra gita domenicale a Suzhou; abbiamo fatto un giro di poche ore per poi tornare a Shanghai prima della chiusura dei negozi, per ritirare i vestiti che avevamo ordinato dal sarto. Ovviamente il sarto si era dimenticato di farne uno, ma niente paura: 90 minuti di attesa ed ecco il vestito pronto. Quindi cena ad un noodles bar in zona stazione, dove ho mangiato un ottimo riso con manzo, e infine meritato riposo, nonostante l’albergo di stanotte faccia schifo come solo la tradizionale incuria cinese per pulizie e ristrutturazioni può riuscire a realizzare… ma è solo per una notte.
Suzhou è considerata la Venezia cinese; ci sono tante città nel mondo che proclamano di essere simili a Venezia, ma questa, dal poco che abbiamo visto, ha qualche carta per farlo. Non è che sia proprio fatta di isolette, ma è comunque percorsa da numerosi canali e canaletti, che oltre a cingerne il centro creano suggestivi scorci tra le case. Ovviamente l’acqua dei canaletti è verde smeraldo e credo che contenga meno ossigeno dei gas di scarico di un’auto, ma non si può avere tutto dalla Cina.
In compenso Suzhou è dotata di un traffico formidabile; in Cina nessuno rispetta il codice della strada, ma a Suzhou la nostra esperienza è stata ancora peggiore che altrove. Sembra che ogni abitante, inforcato il suo motorino o la sua bicicletta, sia disposto a morire pur di riuscire a passare con il rosso in mezzo al flusso di auto che arriva dal lato; attendere venti secondi è troppo. Anche alla guida dei veicoli il principio è lo stesso; per esempio, la tecnica dei tassisti per girare a sinistra ed entrare nel parcheggio della stazione è invadere la corsia opposta mirando al frontale con i veicoli che vi arrivano, costringendoli ad inchiodare in quanto meno coraggiosi di loro, salvo venire nel contempo bruciati in staccata all’interno da un altro tassista che sta superando ancora più contromano il taxi che va contromano.
Se uscite vivi dal viaggio in taxi o in bus per entrare in città , però, la passeggiata è piacevole; anzi, è forse l’unica città vista finora dove valga la pena di spostarsi a piedi (altrove i “centri storici” sono stati rasi al suolo da una vita e ricostruiti a colpi di palazzoni e centri commerciali nelle città ricche e di casette e condomini fatiscenti in quelle meno ricche; dunque, viste anche le distanze, è generalmente preferibile spostarsi con qualche mezzo da una attrazione alla successiva). Oltretutto molte strade sono piccole (a dimensioni di una via italiana) e alberate, una rarità per la Cina – dove quasi ovunque la larghezza minima di una via anche centrale è otto corsie – e insieme un vero piacere.
La parte meridionale di via del Popolo per esempio era piena di tristi palazzoni e nuovi centri commerciali di lusso; fantastiche in una traversa le vetrine nuove fiammanti di Ermenegildo Zegna e Louis Vuitton, con annesso Starbucks, che fronteggiano vecchie casette degradate piene di negozietti di frutta, spezie, parti meccaniche e oscuri articoli cinesi da sbarco popolare; poi, a un certo punto, spunta un canale bordeggiato da una viuzza, che si apre su uno spettacolare laghetto attraversato da un ponte che porta nel Padiglione dell’Onda Montante (che la Lonely Planet chiama “Padiglione dell’Onda Blu”, a dimostrazione che pure qui la sua attendibilità è un po’ approssimativa). Dentro c’è un giardino bellissimo, un fazzoletto di terra trasformato in foresta, prato, rocce, cascate, alberi, cespugli inframmezzati a padiglioni e stanze aperte e arredate con bellissimi mobili di mogano.
I giardini antichi di Suzhou valgono davvero la visita; sono una esperienza tipicamente cinese, e, specialmente se vi dedicate a qualcuno dei meno conosciuti, vi verrà voglia di restare lì all’infinito, a pensare, a dormire, a leggere, a staccare dal frastuono del mondo per meditare su di esso. In quelli più conosciuti potrebbe invece capitare ciò che è successo a noi al Giardino del Maestro delle Reti, cioè di arrivare davanti alla biglietteria e di trovarci davanti una persona che urla, in un pessimo inglese con forte accento romanesco, perché non le vogliono fare lo sconto studenti sul biglietto (non è previsto; è persino scritto in inglese sul cartello) e dunque deve pagare ben 30 yuan invece di 20 (tre euro invece di due). Il resto del gruppetto di romani tifava per lei commentando “dieci patacche oggi, dieci domani, ‘sti cinesi si fanno la giornata”.
Naturalmente, una volta dentro, il gruppetto ha cominciato a girare rumorosamente, commentare tutto a voce altissima, disturbare tutti e ovviamente arrampicarsi su una roccia per farsi la foto proprio davanti al cartello “no climbing”. Due tedeschi evidentemente infastiditi hanno scosso la testa e hanno commentato lapidariamente con le due seguenti parole: “zpageti karbonara”.
In queste occasioni, lo ammetto, io e Elena fingiamo di essere turchi.
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