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lunedì 11 Ottobre 2010, 17:49

Le bombe su Pechino

È stato interessante leggere in questi giorni le reazioni all’attribuzione del Nobel per la Pace al dissidente cinese Liu Xiaobo (buona parte delle quali non sono nemmeno riuscite a scrivere il suo nome correttamente, per non parlare della pronuncia… quella corretta è qualcosa tipo liou sciaobuo). Sono state, quasi totalmente, reazioni di solidarietà al detenuto e di critica al governo cinese. Detto dunque che la detenzione di una persona per le sue idee è inaccettabile e che la Cina nel campo dei diritti umani ha ancora molto da fare, vorrei però permettermi di andare un pochino più a fondo su cosa significhi veramente questo premio.

Perché, infatti, dare il premio proprio a un dissidente cinese? Nel mondo esistono centinaia di nazioni che incarcerano o uccidono i dissidenti politici e i giornalisti scomodi. La Cina, per esempio, è il Paese al mondo che ha incarcerato più giornalisti (attualmente ce ne sono 24), ma, stando ai dati del Committee to Protect Journalists (una specie di Amnesty International per i giornalisti, forse la fonte più autorevole in materia al mondo), solo due giornalisti sono stati uccisi in Cina negli ultimi vent’anni, contro i più di cento ammazzati in Russia, spesso dai servizi segreti o dalla polizia.

Dunque la scelta di “mirare” alla Cina, da parte dei norvegesi, è stata ben precisa; lo ammettono loro stessi nelle motivazioni, dicendo che “Il nuovo status della Cina nel mondo impone l’assunzione di accresciute responsabilità”. E’ dunque ben chiaro che il Premio Nobel per la Pace non viene assegnato su criteri oggettivi, ma per motivi politici: è uno strumento per esercitare pressione su questo o quel Paese a fin di bene, minacciando in caso contrario di danneggiarne l’immagine.

Il problema, come sempre, è la definizione di “a fin di bene”. Già, perché nella diplomazia internazionale, piaccia o no, il “bene” non esiste; esistono solo gli interessi delle singole nazioni, e non succede mai che una nazione agisca altro che per essi (al massimo, può fare un beau geste per motivi di immagine e di prestigio, vedi le cancellazioni dei debiti del Terzo Mondo). Il Nobel per la Pace va dunque letto su due piani separati: l’uno, quello del riconoscimento alla persona e al suo caso, è incontestabile, ma l’altro, quello della diplomazia, è ben altra cosa.

Non può certo essere preso sul serio, in termini di diplomazia internazionale, un premio che pretenderebbe di essere super partes, ma che solo l’anno scorso è stato bellamente assegnato al Presidente della nazione più bellicosa del pianeta, un Presidente tuttora impegnato nell’invasione militare di due nazioni sovrane (con noi italiani nel codazzo). Sfugge un po’ la logica per cui il governo cinese che incarcera qualche decina di dissidenti è male, mentre il governo americano che invade Iraq e Afghanistan facendo centinaia di migliaia di vittime è bene, anzi va premiato perché porta la pace.

Veniamo ora ad alcune altre scomode verità. La prima riguarda l’effetto del premio Nobel: la logica nel darlo, si dice, è esercitare pressione sul governo cinese perché liberi Liu e aumenti la libertà di espressione. Ora, soltanto un ignorante potrebbe pensare una cosa del genere; è noto che la prima regola nel trattare con gli orientali è non far loro mai, mai, mai perdere la faccia in pubblico. Di fronte a uno schiaffo simile, il governo cinese non potrà mostrarsi debole e chinare la testa: perderebbe la faccia. Farà il minimo che sarà costretto a fare e poi, appena possibile, restituirà il favore con un altro schiaffo (per esempio rifiutandosi di rivalutare lo yuan rispetto al dollaro e inguaiando ancora di più l’economia statunitense). Le relazioni tra Occidente e Cina non miglioreranno, ma peggioreranno, e con esse la situazione dei dissidenti interni. Se veramente si fosse voluto aiutare Liu, sarebbe stato molto più utile negoziare la sua liberazione diplomaticamente e in privato.

La seconda riguarda la democrazia in Cina. Noi, essendoci spesi a “esportare la democrazia”, siamo abituati a considerarla come un valore assoluto, dimenticando che essa in Occidente è il risultato di un processo di progressiva responsabilizzazione dei singoli che è iniziato nel Medioevo e che è durato parecchi secoli; un processo che la Cina, come la Russia e altre parti del mondo, non hanno mai attraversato fino ad ora. In più, la Cina è un paese immenso, popolato da 56 etnie (alcune zone ricordano la ex Jugoslavia); un paese in cui la densità di popolazione in alcune zone rende le folle totalmente ingestibili; un paese dalle disuguaglianze sociali mostruose, in cui convivono fianco a fianco l’imprenditore miliardario su Ferrari e il contadino che lavora la terra con le mani; un paese in cui nessuno è mai stato abituato a fare altro che obbedire. La verità, dunque, è che l’unico esito di una introduzione troppo rapida della democrazia in Cina sarebbe il caos – esattamente come è avvenuto in Russia dopo il 1989 (per restaurare l’ordine c’è voluta la quasi-dittatura di Putin).

Queste due verità sono perfettamente note a tutti i professionisti delle relazioni internazionali, a cui è chiaro che questo premio è dato non per il popolo cinese ma sulla sua pelle, con lo scopo di mettere in difficoltà il loro governo, usando cinicamente l’argomento dei diritti umani. Sul piano della comunicazione di massa, poi, questo premio ha un ulteriore vantaggio: la Cina è, non da ora, il comodo capro espiatorio di tutti i problemi economici dell’Occidente. Vivi da schiavo, sei sempre più povero, hai sempre meno diritti? La colpa non è di noi governanti occidentali che stiamo eliminando alla base il welfare, depredando la cosa pubblica e spendendo i soldi di tutti per i nostri comodi, la colpa è dei cattivi cinesi.

Credo che vi sia ormai chiaro come venga usato in questi anni il Premio Nobel per la Pace: come oggetto contundente in una guerra globale. Gli americani non possono mandare i bombardieri su Pechino come hanno fatto con Baghdad e Kabul, perché la Cina è troppo grossa e potente e anche troppo furba per offrire un pretesto; e allora provano a fermare la sua ascesa cercando di provocare disordine al suo interno e di mettere in difficoltà i suoi alleati in giro per il mondo, soffiando su un sentimento anti-cinese costruito ad arte dai media della macchina di propaganda dei poteri forti occidentali… gli stessi media che, per esempio, insistono tanto sul debito pubblico dei “PIGS” in modo da nascondere il fatto che, se invece andiamo a guardare il debito complessivo nazionale verso l’estero – pubblico e privato – le nazioni in testa sono, guarda che coincidenza, ben altre.

Però stammi bene, Liu, che ad Oslo sono tutti preoccupati per te!

[tags]cina, stati uniti, liu xiaobo, premio nobel, ordine mondiale, guerra, economia, libertà[/tags]

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5 commenti a “Le bombe su Pechino”

  1. Nino:

    Sottoscrivo. Non solo, ma un’ulteriore prova di quanto dici è che in Occidente nessuno, dopo la consegna, si sta chiedendo quale può essere l’effetto del premio nella realtà, e tutti invece (media, politici) siano compiaciuti e si complimentino a vicenda per il “bel colpo”.
    Avrai anche notato come – che io sappia – solo Sisci ha dato un resoconto degli umori a Pechino senza puntare il dito contro il solito “regime”.
    Oltretutto, l’argomentazione cinese contro la logica del premio mi sembra condivisibile. Paradossalmente sarebbe stato più logico premiare chi, in Cina, ha progettato e persegue uno sviluppo che – almeno finora – non sfocia in guerre armate contro paesi vicini o lontani.

  2. Nino:

    Aggiungo e concludo: si è voluto semplicemente rinforzare un’associazione tra la Cina attuale e gli incidenti di Tiananmen, come se fosse l’occidente ad aspettare una “vendetta”. E a mio parere questo atteggiamento è non solo fuorviante e dannoso, ma persino ingiusto: un po’ come se dall’estero accostassero forzatamente l’Italia attuale a quella degli anni di piombo.

  3. maxxfi:

    Bella analisi, vb.
    Beh, anche la scelta dei Nobel *per la pace* dell’anno scorso e del 2007 personalmente mi avevano lasciato un po’ perplesso…

  4. vb:

    Conta che negli ultimi dieci anni il Nobel per la Pace è andato tre volte a (ex) presidenti o vicepresidenti americani (Obama nel 2009, Gore nel 2007 e Carter nel 2002). Nel 2005 è andato a El Baradei, l’uomo mandato dagli americani a cercare le armi di distrazione di massa in Iraq… Nel 2003 è andato a Shirin Ebadi, altra persona assolutamente degnissima, ma guarda caso dissidente nel Paese che allora era al numero 1 sulla lista dei nemici politici degli Stati Uniti… Capisci che cominciano ad essere un po’ troppe coincidenze :)

  5. .mau.:

    El Baradei aveva detto che Saddam non aveva fatto ripartire il programma nucleare, e gli Usa si erano incazzati con lui. Perché lo metti lì in mezzo?

 
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