Demolendo la città
In questa città, nel silenzio generale, succedono cose che ti lasciano senza parole; e più le approfondisci, meno trovi le parole per capirle e raccontarle. Una di queste è l’improvvisa ma preannunciata demolizione, pochissimi giorni fa, della stazione Dora, un edificio storico del 1858 – la più antica stazione ferroviaria esistente in Torino, più vecchia di Porta Susa, più vecchia di Porta Nuova.
Ormai da molti mesi si erano formati nel quartiere gruppi di cittadini che combattevano per il recupero dell’edificio, presentando progetti alla circoscrizione 5 e alle autorità. La stessa Soprintendenza alle Belle Arti, contattata dai cittadini, aveva risposto che non era concepibile l’abbattimento di un edificio di oltre 150 anni di età e che costituiva il punto di riferimento geografico di mezza Torino nord (poi dopo averlo detto è sparita, e non ha più risposto nemmeno alle raccomandate). Dopodiché, il Comune ha detto che l’edificio andava abbattuto per farci passare sotto un nuovo sottopasso sull’asse di corso Mortara, che dovrebbero costruire dopo avere abbattuto la vecchia sopraelevata (e anche su questa scelta ci sarebbe da discutere, ma non divaghiamo).
Peccato che, come già faceva la sopraelevata, a maggior ragione il sottopasso avrebbe potuto passare sotto o attorno all’edificio senza richiederne la demolizione; e peccato che per il sottopasso in questione non ci siano i soldi e dunque al momento la sua realizzazione risulti rinviata a data da destinarsi (ci terremo l’ingorgo su via Stradella ancora per un pezzo). Anche ammesso che si dovesse demolire l’edificio, non c’era comunque fretta. Perché allora si sono messi a correre per buttarlo giù prima possibile?
L’assessore all’urbanistica Viano, lavandosene le mani, commentò così la vicenda: “qualche sacrificio la modernizzazione la richiede”. Tra i “sacrifici” di edifici storici o di pregio non c’è solo questo; basta pensare alle numerose villette di inizio secolo (via Bardonecchia, via Pozzo Strada angolo corso Peschiera) abbattute negli ultimi anni col consenso di Viano e del suo assessorato, per farci palazzoni certo molto più redditizi – non solo per chi li costruisce, ma anche per il Comune, naturalmente dando per scontata quella concezione del Comune come impresa e del sindaco come amministratore delegato che ormai sembra permeare l’Italia. Dunque, può trattarsi semplicemente di scarso rispetto per il patrimonio storico della città, in quell’ottica da manager per cui soltanto il nuovo è moderno e il vecchio è privo di valore.
C’è, però, una ipotesi molto più inquietante. Il cantiere della costruenda seconda galleria del passante ferroviario non deve passare sotto l’edificio, ma soltanto di fianco, in teoria senza toccarlo. Basta però andare ad ascoltare le storie di chi abita lì vicino – a partire dall’allucinante vicenda della palestra Sportforma – per sentirsi raccontare che l’industria calabra del cemento, subappaltatrice dei lavori, è abituata ad aumentare i margini e tagliare i costi facendo i lavori in maniera un po’ più spiccia del dovuto, senza tanto riguardo per le vibrazioni e per i danni agli edifici circostanti. Se si fanno i lavori in maniera troppo spiccia, magari un edificio può crollare di suo, pur non essendo affatto fatiscente; e di fronte a un crollo tanto evidente si devono poi pagare i danni. Ma se arriva prima il Comune a far abbattere l’edificio, il problema si risolve da solo.
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