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giovedì 3 Marzo 2011, 17:41

Goodbye Malincònia

Ieri è successo di nuovo. Ieri sera sono andato allo stadio, un’occasione di svago come tante, una serata tra amici. Nell’intervallo come sempre si chiacchiera, ci si raccontano le novità, e così mi sono sentito dire: “Sai che c’è? Me ne vado.” Ma non “me ne vado” perché il Toro per l’ennesimo anno fa schifo, “me ne vado dall’Italia”. In Brasile, a lavorare. Per sempre (i più pudichi dicono “un anno o due, per guadagnare un po’”, ma poi sai che facilmente sarà per sempre).

Solo nell’ultimo mese me l’hanno detto in tre, due vanno in Brasile e uno a Londra. C’è chi va con la famiglia e chi la lascia qua, c’è chi te lo dice con rabbia e chi te lo dice con sollevazione, come la fine di un incubo. Tutti hanno in comune il fatto di essere persone capaci; d’altra parte all’estero i cazzari non trovano spazio facilmente come da noi. Tutti hanno resistito fin che potevano, ma poi sono arrivati al punto: “che ci sto a fare io ancora qui?”

Chi ha girato il mondo lo sa, l’atmosfera altrove è molto diversa. Il resto d’Europa non fa scintille, ma almeno è civile, serio e ordinato. In altre parti del mondo, come appunto in Brasile, l’economia cresce, la gente ha voglia di fare, l’età media è più bassa, le cose si muovono. In Silicon Valley o in Cina si respira il futuro; non tutto luccica, anzi, ma l’aria profuma di speranza, e se non capite cosa intendo è perché questo profumo da noi si è perso da moltissimo tempo.

Chi resta qui è spesso, per forza di cose, ultraconservatore; oltre ai più deboli, qui resta soprattutto chi è troppo vecchio per andare, oppure chi ha una qualche forma di protezione (o pensa di averla) e si concentra sul difenderla con le unghie e con i denti. La valanga di voti per Fassino è anche un desiderio di mettere la testa sotto la sabbia, di fare finta che il tempo possa tornare indietro, che possano ritornare gli anni ’80. E poi, restiamo noi che non ci arrendiamo, che non ci vogliamo credere, che ancora vogliamo provare a salvare l’Italia, e però siamo sempre di meno, e ci chiediamo quanto potremo resistere se il resto del Paese non ci darà una mano.

[tags]emigrazione, giovani, lavoro, torino, fassino, brasile, caparezza, tony hadley[/tags]

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8 commenti a “Goodbye Malincònia”

  1. Alessandro Caselli:

    Ciao Vittorio,
    io son uno di quelli che ha pronunciato la stessa frase del tuo amico, sono in francia da tre settimana per avere uno stipendio almeno decente, e qualche opportunità, no chiedo tanto mi sembra.
    Ho appena letto il tuo curriculum e sono contento di poterti votare, ritornero molto volentieri per le comunali, dopo tutto la valanga di voti per Fassino potrà aiutarti ad averne qualcuno in più.

  2. rccs:

    Eh, mi sembrava fosse colpa del PD! Eccheccavolo! Menomale che c’è Cota, che tira su l’allegria piemontese!

  3. paolo:

    “In altre parti del mondo, come appunto in Brasile, l’economia cresce”

    Presto! erudiamoli sulla decrescita felice

    (trollatina, ma non poi tanto)

  4. carla:

    Vittorio, ti stimo troppo. Almeno tu non te ne andare! Se partano le più belle menti, che ne facciamo dell’Italia, di Torino?

  5. Salvofan:

    Saluti e baci…
    Se qualcuno cercasse…piu’ che benvenuto: fatemi sapere non prima di avere lasciato in eredita’ il vostro voto al caro Vittorio!
    http://www.newbay.com/careers.php

    Dublino 4 Marzo 2011, 1483 giorni dopo

    S.

  6. vb:

    @Paolo: Bisognerebbe approfondire l’uso del termine “crescita”, che secondo me non va applicato al PIL, ma al benessere medio disponibile alle persone (quindi ai posti di lavoro e all’equità della distribuzione della ricchezza, per non parlare poi di parametri sociali e culturali). Poi è indubbio che nel secondo e terzo mondo ci sia ancora spazio per una crescita anche del PIL, e peraltro non troverei giusto “congelare” le disuguaglianze materiali del pianeta alla situazione attuale.

  7. paolo:

    Che il benessere d una nazione sia descritto dal solo parametro correlato al Pil non lo credo, ma credo sia un indicatore non trascurabile e dal quale non si possa prescindere.

    La qualita’ e tipologia, il contenuto dei valori che portano a questo incremento e’ certamente materia specifica del’azione politica.

    Delineare alcuni obiettivi forti da utilizzare come cornice e come prospettive di indirizzo e’ indispensabile.

    Un piccolo esempio.

    Credo sia indispensabile mantenere con i denti i nostri contatti con le realta’ europee vicine.

    Se vedo che il livello infrastrutturale si sta elevando nei paesi circonvicini mi aspetto che chi si prospetta come espressione importante della responsabilita’ amministrativa si chieda come fare per rimanere parte integrante della rete e non farci diventare un buco nero da aggirare.

    Il farlo in modo proprio, denunciando oligarchie locali scardinando le chiusure che bloccano le iniziative locali e che portano a livelli di costo sconosciuti altrove mi sembrerebbe la linea da assumere. Al momento la scelta mi pare diversa, volta a una presenza trafelata e colorata magari, che pero’ diventa alleata di un atteggiamento generale che genera quell’atmosfera plumbea dalla quale chi puo’ scappa.
    Scappa dove? in paesi che mi paiono avere linee guida non collimanti con quanto espresso dai gioiosi colorati di cui sopra.

    E il dubbio che non sia un caso a me viene.

    Scritto troppo, scusa

  8. vb:

    Mah, questo post ovviamente è più amaro del solito, però quello che cerchiamo di fare noi è proprio questo: dare una speranza nel futuro costruendo una visione alternativa di come esso può essere, che non dipenda dalla prosecuzione impossibile del modello di sviluppo precedente (cioè appunto crescita dei consumi materiali, cementificazione, grandi opere) ma si basi invece sulla circolazione delle idee e su una divisione più equa del benessere che comunque, ancora oggi, c’è in abbondanza all’interno della nostra società.

    Se ci sono tanti poveri è perchè l’organizzazione sociale non mira a dare opportunità a tutti ma a permettere l’arricchimento di pochi, e come conseguenza chi non fa parte dell’elite sente di non avere speranze. E’ la mobilità sociale a fare la differenza, non le infrastrutture o la quantità di consumi…

 
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