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venerdì 21 Maggio 2010, 18:09

La zona rossa

Se in questa settimana non vi è ancora capitato di vedere le immagini di un gruppetto di studenti dell’Onda che entra al Salone del Libro, cerca di arrivare alla sala dove Giancarlo Caselli presenta un suo libro, i cui proventi vanno a favore di Libera e dell’azione antimafia di don Ciotti, e viene respinta con abbondante e gratuita violenza dalla polizia, con tanto di caccia al ragazzino isolato tra gli stand, vi consiglio di dedicarci dieci minuti.

Naturalmente si potrebbe partire con le generalizzazioni: e “polizia fascista polizia assassina” di qua, e “studenti fancazzisti andate a lavorare” di là. Non è questo l’interessante; a me interessa soprattutto notare una situazione che mi ha molto ricordato i racconti letti sul ’68, e forse più ancora sul ’77.

Caselli e don Ciotti sono due simboli del bene e della sinistra, giusto? Lo sono almeno per quelle persone che identificano il bene con la sinistra e non ammettono su questo discussioni; persone come Michele Dalai, editore del libro suddetto, che su La Stampa si scandalizza per l’accaduto e pianta un pippone moralista contro i giovani contestatori. Si tratta di persone talmente convinte di essere il bene, di essere nel giusto, che non riescono a concepire di poter subire una contestazione e che tale contestazione possa avere una qualsiasi ragione non dico condivisibile, non dico comprensibile, ma anche solo degna di qualcosa di più che una risposta scandalizzata.

Persone che non riescono ad accorgersi di essere invece chiuse in una torre d’avorio, in una sala pagata coi soldi degli operai e della fu classe media di cui loro non hanno mai fatto parte, dentro una ex fabbrica che la famiglia Agnelli si tolse dal groppone grazie al provvido aiuto di abbondanti fondi pubblici da loro destinati, promosse, presentate e montate in prima pagina dal giornale della famiglia suddetta, in una fiera organizzata e presieduta da un piduista (Rolando Picchioni, tessera P2 numero 2095) sempre grazie ad abbondanti fondi pubblici, protette dai manganelli della polizia al loro servizio, a presentare il libro di un “giovane uomo di legge”, tal Carlo Dalla Chiesa; uno che si è assolutamente fatto da sè, come potete leggere sul blog di suo padre, che si vanta di aver visto l’editore del libro del figlio quando stava in culla “all’Elba nel ’73”, cosa peraltro non strana dato che anche l’editore lo è in quanto “figlio di”, e precisamente dell’altro editore Alessandro Dalai, da cui lo divide profondamente la scelta della corrente PD in cui militare.

E’ questa la zona rossa dell’Italia di oggi: l’area protetta militarmente – con la forza pubblica, con l’occupazione dei media, con le auto blu e i giochi di partito, con l’uso comodo delle casse pubbliche – in cui vive l’establishment della sinistra italiana, sempre più solo, sempre più isolato, sempre più lontano dal mondo e sempre più sorpreso – anzi no, indignato – ogni volta che qualcuno osa indicare col dito la sua nudità.

Le accuse mosse da Caselli agli studenti dell’Onda, viste da fuori, sembrano davvero poco sostenibili, tanto è vero che Dalai si guarda bene dal menzionarle. Gli studenti sono stati accusati di “concorso morale” negli scontri per il G8 Universitario – altro evento da zona rossa militare costruito solo per l’orgoglio dei gerarchi della città, di cui feci al tempo un ampio reportage con tanto di foto – non per aver partecipato agli scontri stessi (cosa che andrebbe giustamente punita), ma semplicemente per avere organizzato o fatto parte del corteo.

Eppure la loro protesta scenografica ma pacifica, secondo Dalai, non ha diritto di esistere, anzi deve essere sconfitta da una silenziosa “marcia dei 400” – in realtà è stata bloccata a manganellate dalla Digos e poi dalla Celere in assetto anti-sommossa, ma anche questo Dalai non lo dice, parlando eufemisticamente di “contatto” – che, con il chiaro parallelismo con la marcia dei quarantamila, dimostra l’ormai totale riconversione mentale della dirigenza PD al ruolo del padrone d’antan, com’era l’Avvocato: un caso da manuale di invidia del pene quarant’anni troppo tardi.

E allora, che possiamo concludere? Noi che su Facebook siamo fan dei bulloni addosso a Luciano Lama non possiamo che solidarizzare con gli studenti; di cui non ci sta simpatica l’attitudine da centro sociale, ma che rappresentano la vita che reclama il suo spazio sociale, di fronte a questa congrega di anime morte che pretende di essere sempre nel giusto per diritto divino e di occupare per sempre il centro della scena con il proprio inutile bla bla.

Tanto, di bulloni ormai (e per fortuna) ne volano pochi; volano però le schede con la croce sul simbolo della Lega. La sinistra nelle piazze dovrebbe starci, non dovrebbe temerle esattamente o peggio di come le teme la destra; che girare per strada sia più facile per Borghezio che per Caselli dovrebbe farli riflettere. E invece no; e allora, che dire? Buon Formentini a tutti vent’anni fa, buon Cota a tutti al giorno d’oggi; buon Renzo Bossi a tutti fra vent’an… vabbe’, scusate, vado a vomitare.

[tags]sinistra, caselli, dalla chiesa, dalai, libera, don ciotti, salone del libro, picchioni, torino, pd, lega, borghezio, formentini, cota, bossi, intellettuali, luciano lama, marcia dei quarantamila, invidia del pene[/tags]

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5 commenti a “La zona rossa”

  1. Mike:

    Bisognerebbe avvertire i sedicenti studenti dell’Onda che siamo nel 2011 e non nel 1977. Fare la figura da centrosocialino e cercare in tutti i costi di farsi picchiare dalle forze dell’ordine non credo che aiuti molto per la causa: io ho visto il video e non ho capito molto per cosa stanno protestando, ed anche dopo aver letto quanto hai scritto non lo ho capito, sinceramente.

  2. mfp:

    Mike, guarda il film “L’Onda” … cosi’ la prossima volta capisci prima di parl… scrivere.
    Il motivo per cui non vedi un motivo per protestare e’ che non riesci a relativizzare… a metterti al loro posto (anche solo anagraficamente; ie: piu’ ingenuo da un lato, piu’ ribelle dall’altro). O forse solo perche’ non riesci a vedere un “agente modello” su cui puntare il dito… perche’ in effetti un Kattivo non c’e’: il fallimento e’ stato generazionale (due generazioni), e loro dell’Onda si ritrovano COSTRETTI a pulire tutta la merda che quelle due generazioni hanno spazzato sotto il tappeto per 40 anni… e non e’ piacevole. E’ come quando vorresti fare un evento in un parco pubblico ma prima di poterlo fare ti devi mettere a ricostruire le panchine, i muretti, i servizi igenici, etc. perche’ chi lo ha usato prima di te ha distrutto tutto con la complicita’ inerziale di amministratori pubblici a cui del benessere della popolazione che vive li’ intorno non gliene e’ fregato un cazzo per 40 anni… anzi… distruggere un parco significa doverlo ricostruire, quindi avere soldi da amministrare, quindi aumentare il pil, quindi poter mandare il PR del proprio partito in TV a dire che il PIL e’ aumentato per propri meriti politici…

  3. vb:

    Nello specifico protestano perché molti di loro sono finiti sotto processo per “concorso morale” negli scontri di un anno fa semplicemente per aver organizzato il corteo, senza aver partecipato agli scontri stessi (naturalmente non conosciamo la versione di Caselli). Chiedevano dunque un confronto pubblico con Caselli sull’argomento.

  4. Alberto:

    Navigando sui molti siti di area che si occupano del processo Rewind mi sono imbattuto in tonnellate di slogan e di accuse a questo e quel giudice di essere dei mascalzoni o degli schiavi del sistema. Non sono riuscito a trovare traccia invece delle accuse e del perché sarebbero infondate (se ne hai visibilità fammi sapere per favore).
    Può darsi che gli accusati fossero innocenti e che le violenze commesse nel corteo siano state compiute da provocatori ed infiltrati, gli errori giudiziari sono molto frequenti e sicuramente ancor di più se c’entra la polizia.
    Ho però l’impressione che i linguaggi e la metodologia che in quest’area vengono utilizzati per cambiare il mondo, siano gli stessi che utilizzavano i loro predecessori di trent’anni fa. Questi ultimi, dopo aver preso inutilmente a testate il sistema per vent’anni, si sono ritrovati quasi tutti sull’ala più conservatore del sistema che un tempo volevano rivoluzionare; chissà se il destino con i contestatori di oggi sarà meno crudele.

  5. vb:

    @Alberto: Penso che il loro destino sarà più crudele, perché non troveranno nemmeno più un sistema dotato di risorse di cui assumere il controllo per conservarle…

 
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