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Archivio per la categoria 'Itaaaalia'


giovedì 6 Maggio 2010, 21:12

Morire da simboli

Spesso la Storia, grande o piccola che sia, viene raccontata per persone, riducendo fenomeni sociali e politici a un volto solo che ne diventi il simbolo. Che siano Jan Palach o Ernesto Che Guevara, Enrico Toti o Pietro Micca, si tratta molto spesso dei volti di morti; probabilmente è, oltre che una forma di onore ai caduti per una causa, un retaggio della pratica del sacrificio umano, che sin dalla notte dei tempi abbiamo adottato per placare gli dei in tempi di crisi.

A questo punto starete forse pensando che i morti simbolo di ieri siano i tre di Atene; è vero, probabilmente lo saranno anch’essi. E’ facile (anche se non scontato) che di fronte al sangue la protesta si plachi, e che quella che sembrava una rivoluzione sul nascere – la prima di molte tentate rivoluzioni anticapitaliste che potrebbero punteggiare la crisi disastrosa che probabilmente ci attende – naufraghi ora nella repressione da sdegno. E’ interessante leggere attentamente i resoconti e scoprire che i morti non sono dovuti al nucleo dei manifestanti, anarchici e studenti compresi, ma all’apparizione del solito gruppo di “black bloc”; ed essendo ormai appurato che a Genova e a Seattle li mandava la polizia per conto di chissà chi, se ciò fosse vero anche ad Atene forse quei morti potrebbero diventare, più che il simbolo della violenza contro il sistema, il simbolo della violenza con cui il sistema difende se stesso. Ma non è il caso di scriverlo troppo forte, che il rischio è di finire nel complottismo paranoico – o di sbagliarsi e basta.

Invece, la morte simbolica di ieri per me è un’altra; quella dell’operaio sessantaduenne Aristide Luigi Padovan, sfracellatosi cadendo da dieci metri sull’asfalto mentre smontava le strutture usate il giorno prima da Morfeo Napolitano per dare il via, sullo scoglio di Quarto, ai festeggiamenti per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia. Pensateci bene: potete immaginare morte più simbolica di questa? L’Italia in pompa magna festeggia se stessa, e subito ci scappa il morto sul lavoro.

Sono piuttosto convinto che Italia 2011 sarà davvero la summa dell’italianesimo: dopo il morto sul lavoro sono già in arrivo le mazzette, la retorica fanfarona, l’edilizia di cartone, le polemiche da bar e i fiumi di parole. E’ del resto evidente, senza ipocrisie, che l’unità d’Italia non esiste, non è mai esistita e comunque non l’ha mai voluta nessuno, se non nell’ottica di fregare il vicino; il dibattito pubblico ormai verte sulla questione se abbiano fregato più soldi i piemontesi dalle casse di Napoli all’atto dell’unificazione, o i napoletani dalle casse del Nord nei 150 anni successivi. Rassegniamoci: siamo un paese di individualisti e il fatto che ormai gli stati nazionali non contino più niente, stretti tra la globalità dei fenomeni e la devoluzione dei poteri imposta dalla complessità moderna, potrebbe essere una buona scusa per sciogliere finalmente nell’acido la burocrazia inutile che ammorba l’Italia, trasformandola una buona volta in uno Stato federale.

E se proprio sarà necessario trovare un ulteriore simbolo per l’annuale mano sul cuore quando gioca la Nazionale, non ci sarà bisogno di altri morti: lo sportivissimo calcio nel culo di Totti a non ci sono negri italiani Balotelli va benissimo.

[tags]italia, unità d’italia, storia, simboli, atene, napolitano, totti, balotelli[/tags]

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giovedì 29 Aprile 2010, 18:31

Bersani, parole chiare

Anni fa, uno dei numeri di satira più divertenti era quello di scrivere finti comunicati politici parodiando quelli veri. Ma i tempi cambiano, e siamo di fronte a una triste verità: non c’è nemmeno più bisogno di scriverne di finti, perché quelli veri sono già delle piccole gemme per conto loro.

Per esempio, in questi giorni il PD presenta una roba pomposamente chiamata Progetto Italia 2011, che dovrebbe servire secondo loro a far presente ai cittadini che non solo il PD esiste ancora, ma ne ha anche in serbo di fortissime per il futuro del nostro Paese. Io sono andato a leggermi le dichiarazioni di Bersani, dal sito ufficiale del partito, e ora ve le voglio riportare esattamente come sono: finalmente parole chiare, convincenti, trascinanti.

Si comincia subito con una dichiarazione pesante, densa di contenuto:

“Un lavoro complessivo che non potrà, per forza di cose, essere breve in quanto non può ridursi in un colpo solo”

Che concetto profondo: Monsieur de Lapalisse non avrebbe saputo dirlo meglio. E poi, più in basso:

“L’assenza di decisioni e l’inefficacia delle azioni intraprese hanno poi determinato un allentamento della coesione civile e dell’idea del sentimento di unità. E tutto si regge su una gran chicchiera!”

Chiaro no? Più chiaro di così… tutti noi poniamo “l’idea del sentimento di unità” al centro delle nostre preoccupazioni quotidiane. Quanto alla “gran chicchiera”, è stata convocata un’assemblea plenaria del Partito per determinare se Bersani non intendesse piuttosto dire “chiacchiera” (bisogna decidere democraticamente, consultando tutte le anime del partito, fedeli all’idea del sentimento di unità).

Ma si prosegue:

“Il 2011 – ha continuato Bersani – rappresenta un appuntamento chiave per la sintesi delle idee dell’unione d’Italia e per il posizionamento della nazione in Europa e nel mondo nell’ottica delle sfide sull’assetto sociale.”

Finalmente si capisce cos’era “l’idea del sentimento di unità”: indicava “la sintesi delle idee dell’unione d’Italia”. Qualche dubbio viene su come il 2011 (una intera annata) possa rappresentare “un appuntamento” (ovviamente “chiave”, aggettivo che l’ufficio marketing del PD ha scelto sfogliando le pubblicità sull’ultimo numero di GQ), soprattutto con lo scopo di definire “il posizionamento della nazione in Europa e nel mondo”. Per aiutare Bersani, gli ho preparato questa immagine, da cui il posizionamento mi sembra chiaro:

posizionamento_italia.png

Immancabili ovviamente le “sfide sull’assetto sociale”, tipo vedere chi ha l’auto blu più veloce o scoprire se durante il mese finisce prima la pensione di un anziano o lo stipendio di un operaio.

“Il Progetto Italia 2011 vuole rappresentare un primo modello per coniugare politica e programmi, un’esercitazione da mettere in rete al fine di ottenere la massima partecipazione civile.”

E meno male che sono al “primo modello”, a una “esercitazione”: avanti così con convinzione, per il 2040 forse saranno pronti a presentare un programma di governo. Nel frattempo apprezzo la lodevole ammissione sul fatto che finora non hanno mai pensato di “coniugare politica e programmi”, ossia non si sono mai preoccupati di realizzare ciò che avevano promesso prima delle elezioni.

Finalmente però si giunge al cuore del messaggio: il PD, una volta tanto, identifica quattro temi forti per la propria azione.

“Per Bersani quattro saranno i temi principali che dovranno accompagnare il progetto:

* l’innovazione, plurale e concreta. Innovazione che si determina con una scelta finale senza alcun eccesso di mediazione;
* la rassicurazione, ovvero sulla consapevolezza che creare lavoro significa ridare prospettive ed orizzonti ai giovani;
* il rispetto della Costituzione, nel cui cuore dinamico, innovazione e rassicurazione trovano la giusta collocazione;
* federalismo come chiave della nuova unità della nazione.”

Vi prego, leggete bene queste frasi. Leggetele due o tre volte con attenzione, parola per parola, e poi chiedetevi: ma che cazzo vogliono dire? Non solo sembrano scritte da un pubblicitario (a me “cuore dinamico” fa venire in mente il ripieno dei sofficini) a cui hanno detto “inventa delle frasi in cui compaiano almeno una volta le parole Costituzione, dinamico, nazione, federalismo, giovani, lavoro e innovazione”, ma sono astutamente studiate per non prendere assolutamente posizione. Su niente.

Che cosa vuol dire che l’innovazione deve essere “plurale”? E che diavolo è una “scelta finale senza alcun eccesso di mediazione”? Vorrà dire che la mediazione va bene se non è eccessiva, ma quand’è che la mediazione è eccessiva? E “la consapevolezza che creare lavoro significa ridare prospettive ed orizzonti ai giovani” ce l’abbiamo già tutti da circa vent’anni, il punto su cui ci attenderemmo qualche risposta dal PD è come crearlo! E sarà anche vero che “innovazione e rassicurazione trovano la giusta collocazione”, ma qual è secondo loro la “giusta collocazione”: che cosa bisogna cambiare, che cosa bisogna tenere? L’ultima frase poi è splendida: un “ma anche” di veltroniana memoria, per cui “vogliamo il federalismo, ma anche l’unità della nazione”. Ah già, e non dimenticate la parola “chiave”, che fa tanto decisionismo.

“Ma per far tutto questo – ha concluso Bersani – sarà necessario il coraggio di riprendersi i concetti di libertà e uguaglianza. Valori tipici della nostra tradizione e della nostra cultura”.

E qui, sull’immagine di un Bersani che impasta le tagliatelle secondo la ricetta della nonna – dopo essersi lasciato sfuggire che l’attuale PD non ha la minima idea né di cosa sia la libertà, né di cosa sia l’uguaglianza – è meglio stendere un velo pietoso.

Ma se qualcuno di voi riesce a capire meglio di me le proposte del PD per il futuro dell’Italia, sono qui per ascoltare!

[tags]bersani, partito democratico, politica, progetti[/tags]

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domenica 25 Aprile 2010, 18:28

Liberi liberi

Quando mi interrogo su cosa sia la Liberazione per gli italiani della mia generazione, ricordo spesso una discussione al liceo – era la fine degli anni ’80 – in cui, alla richiesta della professoressa di esprimere un pensiero in materia, uno dei miei compagni rispose profondo “liberi liberi siamo noi, però liberi da che cosa, chissà cos’è?” (il disco, all’epoca, era effettivamente appena uscito e in qualche cantina, lo ammetto, ne possiedo ancora il vinile).

Non sottovalutate la risposta; Vasco è il maestro di pensiero perfetto per gli italiani – medio come l’italiano medio – e dunque anche allora ci aveva preso: perché tutti gli italiani al giorno d’oggi si sentono schiavi, ma non è chiaro che cosa li opprima. Una buona metà è convinta che il problema sia Berlusconi e il rischio sia un ritorno strisciante del fascismo, preoccupazione peraltro non campata per aria dato che il fascismo è uno dei modi mentali normali dell’italiano medio. Prova ne è che l’unico modo che questa metà trova per opporsi a questo rischio è fascista, ovvero organizzarsi qua e là per mandar via dal palco a fischi un qualsiasi esponente della parte politica avversa, da Milano a Torino a Roma.

Effettivamente la situazione è confusa a prima vista: non so infatti come interpretare il fatto che RaiTre, la televisione di sinistra, nel giorno della Liberazione festeggi con una intervista-comizio dell’ex leader del fu partito neofascista italiano. Lo faccio notare per chiunque possa pensare che la dirigenza dell’attuale centrosinistra sia antifascista; la verità è che l’attuale centrosinistra persegue le stesse politiche del centrodestra e si trova assolutamente a proprio agio con quelli che teoricamente etichetta come post-fascisti (non che a me piacciano le etichette, del resto mi accodo all’osservazione per cui ha fatto più opposizione Fini in quindici minuti che il PD in quindici anni).

Ma allora da cosa dovremmo liberarci? Beh, le immagini della Digos che porta via a forza il megafono a Piero Ricca, davanti alla sfilata dei potenti di ogni colore (Napolitano in testa) alla Scala di Milano, penso che siano già molto indicative (qui il racconto completo). Non è più questione di tifare destra o tifare sinistra, ma è questione di organizzazione sociale: la piramide o la rete, la gerarchia o l’uguaglianza.

La nuova liberazione dunque, se avverrà, non sarà certo la sostituzione di Berlusconi con un Bersani o analogo personaggio, che magari sarebbe cosmeticamente più rispettoso di noi ma che, nella sostanza, preserverebbe la stessa concezione illiberale e piramidale della società. La nostra liberazione sarà soltanto quando potremo davvero decidere da soli del nostro futuro, uno per uno, senza bisogno di un capo.

[tags]liberazione, festa, repubblica, libertà, vasco rossi, berlusconi, fini, bersani, napolitano, piero ricca, politica[/tags]

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giovedì 22 Aprile 2010, 14:57

Casa pidiello

La trasmissione in diretta streaming, sul sito del Corriere, della direzione nazionale del PDL, quella in cui Berlusconi e Fini si dovevano chiarire, resterà un evento degno di nota per vari motivi (nonostante le scaramucce politiche dentro il governo abbiano anche lo scopo, più o meno pianificato, di distrarre gli italiani dal disastro della loro economia). Intanto, non mi era mai capitato di vedere trasmessa in diretta una riunione di partito di questo livello; per carità, può darsi che le trasmetta anche il PD, ma una riunione di direzione del PD dev’essere emozionante come la Corazzata Potemkin, dunque se le trasmettono siamo lieti di non doverle guardare.

Ma veniamo a oggi: prima Gianfranco ha esposto tutte le sue accuse a Silvio, dicendo quel che pensano quasi tutti gli italiani, a partire dalla distruzione sistematica della giustizia per parargli il sedere dai suoi processi; dopodiché Silvio ha preso la parola a sorpresa e attaccato Gianfranco, e per qualche secondo si è verificata in diretta una scena leggendaria, con Berlusconi sul palco che accusa e Fini che si alza, solo in mezzo alla platea, e da sotto il palco gli punta il dito contro, tutti e due palesemente fuori di sé e incazzati a livello personale.

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Ecco, lì si è capito che la lite va oltre; non è politica, non è mediatica, è semplicemente lo scazzo continuo tra due ex consorti che non si sopportano più. Silvio rimprovera Gianfranco in tono paternalistico, “Gianfranco, te l’ho spiegato cento volte che io non parlo col direttore del Giornale”, “facciamo le riunioni, ma tu alle riunioni non partecipi, non sei venuto nemmeno in piazza San Giovanni”, e Gianfranco in modo passivo-aggressivo che platealmente, davanti alle telecamere, fa gesti tipo “che cavolo dici”, “buona questa”, e persino “mavalaaaa”. Ci mancava poco che cominciassero a rinfacciarsi a vicenda di quando Gianfranco non stirava bene le camicie di Silvio e quando Silvio usciva la sera lasciando Gianfranco solo in casa davanti alla TV; e, se ci fossero stati lì i piatti del pranzo, indubbiamente qualcuno di essi sarebbe anche volato. Una lite matrimoniale in diretta!

(Fantastici anche quelli che da dietro riprendevano col cellulare – e sono deputati! – ma soprattutto uno: due poltrone più in là rispetto a Fini che urla, Lamberto Dini che, refrattario a tutto e tutti, se la dorme della grossa con la testa appoggiata su una mano.)

Fa persino bella figura Scajola (no dico, Scajola) che li invita a non mandare i figli a litigare tra loro in TV, quelli che vogliono più bene al papà contro quelli che vogliono più bene alla mamma, che poi a qualcuno viene il dubbio che anche nel PDL si litighi come dei bambini. Ma vedete, facendo anch’io politica ho capito una cosa: che l’elemento umano è importantissimo. Che tutti fanno appelli a spersonalizzare, a discutere di idee, a non formare gruppetti di amici e a non compilare liste di nemici, a non dividersi per gelosie e a non portarsi rancore, ma poi la verità dei fatti, dal Consiglio dei Ministri al consiglio di quartiere, è che la politica – se è fatta per passione, anziché per professione o per interesse – attrae anche e soprattutto chi ha un ego sviluppato.

E allora, a me la lite senza quartiere tra Gianfranco e Silvio fa sinceramente simpatia: non solo perché mi ricorda scazzi furibondi vissuti direttamente, ma perché evidenzia come puoi passare le giornate a nuotare nel tuo deposito pieno di dobloni e a passare in rassegna tutte le veline della TV italiana, ma essere comunque infelice e furioso perché un Gianfranco qualsiasi non ti ama più.

[tags]pdl, politica, fini, berlusconi, lite, matrimonio[/tags]

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martedì 20 Aprile 2010, 19:55

La sorpresa

Stasera la spesa discount mi è capitata a Milano, all’LD di via Negroli. E stavolta la spesa interessante era davanti a me: una signora sui quarant’anni, piccolina, dall’aria abbastanza milanese, che si è avvicinata e ha messo sul nastro una sola cosa: un pacco di polenta. E converrete con me che una donna che acquista solo un pacco di polenta, presumibilmente per sfamare i propri figli coi mezzi di una volta, è un buon equivalente di un uomo che acquista solo un pintone di vino.

La cassiera stava trattando il cliente davanti a lei, chiedendo “sacchètti?” con lo stesso accento con cui gli Elii vent’anni fa chiedevano “Facchètti?”. In quel momento la signora sguscia accanto a me (e ci vuole una certa abilità) e si fionda alla cassa a fianco, in disuso, dove non trova ciò che cerca. Si rifionda in coda, sgusciando di nuovo, e poi lo sguardo le si illumina: su un piccolo ripiano di ferro proprio accanto alla cassiera, vede i Kinder Sorpresa, incartonati in confezione sconto da tre.

Per qualche strano motivo, aspetta che la cassiera sia girata dall’altra parte: e poi furtivamente, come non volesse farsi vedere, ne prende uno e lo mette sul nastro. E poi un altro. E poi un altro ancora, e poi ancora, ancora. Ne mette sette, sette confezioni di cartone da tre ovetti, due euro e trentacinque centesimi l’una. Sul nastro, tutti colorati squadrati e paralleli, fanno l’effetto di un parcheggio di camion in miniatura, sull’asfalto nero di un autogrill.

La cassa giudica diciassètte euro netti, manco a farlo apposta. La signora paga, infila la scorta nella borsetta e se ne va. Era chiaramente lì per quello, era chiaramente in territorio nemico, ma lo sconto (immagino che altrove costino di più) valeva il viaggio: contando la lira, ma facendo la felicità di un bimbo collezionista di sorpresine.

[tags]spesa, crisi, società, discount, ld, polenta, kinder, ferrero, sorpresine, elio e le storie tese, facchetti[/tags]

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lunedì 19 Aprile 2010, 16:24

Forza maggiore

“Buongiorno, mi dica…”
“Mi dica un corno! E’ un’ora che sto qui in coda, non potreste mettere più persone?”
“Ci scusi, sa, da tre giorni siamo in piena emergenza, tutti i voli sono bloccati…”
“Come bloccati?”
“Ma sì, non ha visto il telegiornale, il giornale, qualcosa? Tutti i voli in Europa sono sospesi fino a nuovo ordine…”
“Ma io devo andare a Londra, ho un appuntamento domani. Guardi qui… volo A Z…”
“Purtroppo i voli sono sospesi per via della nube di cenere che ricopre l’Europa, non possiamo proprio volare in queste condizioni.”
“Ma come non potete volare! Ma se fuori c’è il sole! Dove sta questa cenere?”
“Guardi non si vede ma c’è, è fine fine fine…”
“Ma mi prendete per il culo? Io domani ho una riunione a Londra, devo essere lì! Siete sempre i soliti, maledetta Alitalia… mai che lavoriate…”
“Ma non si permetta! Non è colpa nostra, sono bloccati i voli di tutte le compagnie, è un caso di forza maggiore, l’eruzione di un vulcano in Islanda…”
“L’eruzione di un vulcano in Islanda? E sticazzi! A me chemmefrega dell’Islanda, io il biglietto ce l’ho con voi…”
“No guardi, noi possiamo solo metterla su un altro aereo per domani, ammesso che domani i voli partano e che ci sia posto, entrambe cose improbabili…”
“Sì ho capito ma il mio appuntamento è importante, signorina, sono sicuro che qualche aereo parte, c’è di sicuro qualche VIP che deve andare a Londra… tipo Beckham, se arriva lui lo fate volare sicuramente…”
“No guardi”
“Ma sì, come se non vi conoscessi, l’Italia funziona così… guardi l’appuntamento è importante, io posso darle 50 euro, 100 euro… se mi mette gentilmente in lista per partire oggi…”
“Ma la ringrazio molto, ma veramente non parte niente, non c’è niente da fare…”
“Ma io ci perdo un affare di miliardi! Mi-liar-di!! E io i danni a chi li chiedo?”
(sospirando) “Eh, li chieda all’Islanda…”
“Sarebbe da fare, ma non lo sa che l’Islanda è fallita l’anno scorso? Fallita! Non hanno più nemmeno gli occhi per piangere!”
“Appunto, ci stanno ripagando in cenere…”
“E noi mandiamogli i carri armati! Che li paghiamo a fare se no?”
(ridendo) “Ma su, che scherza?”
“Non scherzo mica!! Qui l’economia è un disastro, proprio ieri dicevano che la crisi durerà ancora sei-sette anni, capisce! Sette anni! E io che sono uno dei pochi che si sbatte per questo Paese, adesso sono qui bloccato! A Londra c’avevo l’appuntamento con un cinese per un affare che poteva risollevare la mia azienda…”
“Davvero?”
“Sì, un import di souvenir! Milioni di modellini del Duomo fatti in Cina, li importi in Italia, ci scrivi sopra MADE IN MILANO… li vendi ai russi… anche a qualche italiano… sono multiuso…”
“Ma signore, ma guardi che tanto, anche il cinese, a Londra mica ci arriva… è tutto bloccato…”
“Lo dice lei! Guardi che i cinesi corrono, corrono! Mica come gli italiani… a proposito, ma almeno mi pagate l’albergo?”
“No ci dispiace, è una causa di forza maggiore, lei non ha diritto a compensazioni. Non è colpa nostra se non si viaggia, è semplicemente che non si può!”
“Non si può, non si può… come è possibile che non si possa? Il solito scandalo all’italiana! Se non mi fate arrivare a Londra entro stasera vi denuncio! Guardi che chiamo l’avvocato…”
“E lo chiami l’avvocato, così vede cosa le dice…”
“Eh, adesso che ci penso, era andato a puttane nel Baltico… dice che è ancora là?”

[tags]aerei, trasporti, economia, alitalia, islanda, eruzione, forza maggiore[/tags]

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mercoledì 14 Aprile 2010, 15:45

La sentenza sui matrimoni gay

La sentenza della Corte Costituzionale sui matrimoni gay – originariamente prevista per prima delle elezioni – è arrivata, e come previsto è negativa.

La questione legale, a quanto mi consta, era la seguente: nella legge italiana non è scritto da nessuna parte che il matrimonio può avvenire soltanto tra persone di diverso sesso. Si tratta di una di quelle consuetudini e prassi interpretative che fanno parte della dottrina, un po’ come il fatto che l’articolo 575 del codice penale, che definisce l’omicida come “chiunque cagiona la morte di un uomo”, non implica che uccidere una donna sia legale. Tuttavia, dato il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione, si può sostenere che la mancanza di un esplicito divieto del matrimonio tra persone dello stesso sesso sia effettivamente coerente con tale principio di uguaglianza; e così, alcune coppie omosessuali hanno chiesto ai propri Comuni di effettuare le pubblicazioni di matrimonio, e poi, ottenuto il previsto diniego, hanno impugnato tale decisione davanti ai giudici per venire poi rimandati in sede costituzionale.

E alla fine a quanto pare la Corte ha detto no: quella di ammettere il matrimonio omosessuale è una scelta che non è implicita nella Costituzione, ma sta nella discrezione del Parlamento che legifera.

Se le motivazioni saranno confermate, vuol dire che la via giudiziaria al matrimonio omosessuale è morta o quasi; resta soltanto quella politica – e visto il clima papalino che vige dalle nostre parti, come dicono a Londra, live horse.

Personalmente credo che alla legge, di un matrimonio, non possa che interessare soprattutto il lato contrattuale, e dunque che sia più che giusto che anche coppie omosessuali possano stabilire tra loro lo stesso contratto concesso agli eterosessuali; e poi, a livello etico, ognuno decida per sé. E’ comunque una posizione personale, e riguarda una di quelle questioni dove la cosa “giusta” da fare non è oggettiva ma è frutto della cultura del proprio tempo. Certo che, partendo dal principio per cui la propria libertà si spinge fino a dove non lede quella degli altri, non capisco proprio su che basi si possa impedire a persone che si amano di sancire davanti alla legge la propria unione, condividendo diritti e doveri.

[tags]matrimonio, giustizia, diritti, omosessuali, glbt[/tags]

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martedì 13 Aprile 2010, 23:53

Ci mettono la guerra dei poveri

Stamattina a Milano, autobus 54. Sono in ritardo e perso nella coda lunga del traffico della fu ora di punta, che ora si trasforma lentamente nella metà mattinata. Il mio seggiolino guarda indietro, vedo soltanto il passato; ma improvvisamente, dietro di me, si alza una voce. Ha un forte accento napoletano, è roca, capisco che il signore è abbastanza vecchio, avrà una sessantina d’anni. Esordisce con un proclama indirizzato a tutto il pullman: “Signori, ci mettono la guerra dei poveri!”

Il proclama prosegue, sciolto ma sentito, studiato per bene ma anche accalorato e sincero. Racconta storie di figli in cassa integrazione, di giovani drogati, di suicidi per disperazione. Ci mette in mezzo che “i politici ci hanno abbandonato, prendono 40 mila euro al mese e noi moriamo di fame”, e che “i meridionali negli anni ’50-’60 li trattavano come animali, ora ci lasciano a casa senza pensione e senza assistenza”. La colpa di tutto è dei potenti che “gli italiani li vogliono tutti drogati e puttanieri” perché adesso tutti i diritti vanno a “i zingari e gli stranieri”. Poi alla fine, dopo avere ripetuto tre o quattro volte alcune parti del proclama, chiede gentilmente dei soldi, “per non andare a rubare”.

E’ purtroppo ormai scontato che la quantità di persone ridotte a chiedere l’elemosina sia in costante aumento. Non è così scontata, però, la scelta del capro espiatorio; perché sospetto che questa persona, se vota, vota Lega o Berlusconi. Come in Thailandia, dove il governo espressione della middle class istruita è sotto attacco nelle piazze da manipoli di contadini vestiti di rosso, assolutamente convinti che i loro diritti sarebbero meglio difesi da un miliardario spodestato qualche mese fa.

E però, alla fine di capri espiatori non si vive; e tutta questa rabbia repressa dovrà prima o poi da qualche parte scoppiare.

[tags]milano, bus, elemosina, xenofobia, povertà[/tags]

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lunedì 12 Aprile 2010, 09:51

La lunga via per la democrazia (2)

Il sottotitolo del mio blog, da anni, è “come rovinarsi una brillante carriera in Italia”: infatti vanto una notevole capacità di farmi dei nemici raccontando semplicemente ciò che vedo. Il post della settimana scorsa, che raccontava della prima riunione del Movimento 5 Stelle Piemonte dopo le elezioni, ad alcuni dei miei compagni di attivismo (una minoranza, sia chiaro) non è piaciuto; mi hanno pregato di “attenermi al verbale ufficiale”, invece di raccontare ciò che avevo visto e commentarlo. Mi è sembrata una reazione piuttosto strana, da parte di un gruppo che come sua bandiera ha quella di portare le webcam nei consigli comunali. Comunque un effetto c’è stato: alla seconda riunione, sabato, è stata portata una videocamera che ha ripreso tutto l’incontro, e ringrazio i Grilli Eporediesi che hanno provveduto a farlo.

La riunione si è aperta riprendendo il tema dell’altra volta. Per prima cosa, si è detto che, mediante contatti telefonici in settimana tra varie persone, si era giunti a una proposta di compromesso sulla struttura dell’associazione Movimento 5 Stelle Piemonte – quella che gestirà i fondi pubblici derivanti dagli stipendi dei consiglieri regionali e dai finanziamenti per le spese del gruppo consiliare, e deciderà le assunzioni nello staff dei consiglieri.

La proposta di compromesso si rimangia molto di quanto deciso l’ultima volta: invece di aprire l’associazione a nuovi soci, ci si limita ad espanderla da 18 a 23 membri per includere anche le zone del Piemonte non ancora rappresentate, suddividendo questi membri tra le varie aree in base alla popolazione (5 a Torino città, 7 alla provincia di Torino, 3 a Cuneo e provincia eccetera); i membri saranno nominati dai meetup e gruppi attivi sui singoli territori, anche se per ora saranno cooptati dai 18 attuali.

L’associazione diviene di fatto un gruppo organizzativo chiuso fatto di rappresentanti dei vari territori, simile ad esempio a quello che hanno istituito in Emilia; queste sono le persone che dovrebbero occuparsi di consultare “la base”, riportare e decidere. Spariti gli organi approvati l’ultima volta, le decisioni sia politiche che organizzative vengono rimandate all’assemblea dei 23 membri – e questo non è un male, ma presenta il rischio che, nella difficoltà di consultare 23 persone ogni volta, di fatto i consiglieri regionali facciano quel che gli pare.

Io sono stato l’unico contrario a questo modello, perché non mi piace l’idea del gruppo chiuso né la cooptazione, e avrei preferito una associazione in cui tutti gli attivi del Piemonte potessero entrare. Persa in partenza questa battaglia, ho però fatto due proposte di emendamento. La prima è che i 23 rappresentanti venissero nominati non dai meetup e gruppi attivi delle singole province – che in certi casi sono ampi e partecipati ma in altri si riducono a una manciata di amici – ma da tutti gli iscritti al Movimento 5 Stelle residenti nel territorio interessato, mediante votazioni online chiare e trasparenti. La seconda è un principio contro il conflitto di interessi molto semplice, che riassumerei così (e lo evidenzio perché per me è molto importante):

“Chiunque prenda anche solo una lira dei fondi pubblici gestiti dall’Associazione non può essere uno dei 23 soci della stessa”.

La prima mozione è stata respinta anch’essa con un solo voto favorevole, il mio, e contrari gli altri: la ragione, stringi stringi, è che non ci si fida troppo dei propri elettori, che evidentemente vanno bene quando devono votarti ma non vanno bene quando dovrebbero essere chiamati in causa per scegliere chi gestisce i soldi e le politiche. Io sono un esperto di votazioni online (a partire dalle elezioni At Large di ICANN dell’anno 2000) e so perfettamente che il rischio è un voto disinformato o quasi casuale; sarei anche molto favorevole a clausole di salvaguardia, del tipo che questi rappresentanti debbano essere attivi nel movimento da almeno 12-18 mesi, e dunque conosciuti; tuttavia farei un torto all’intelligenza e alla preparazione di chi ci ha votato (che è decisamente superiore alla media italiana) se pensassi che non è in grado di scegliersi i propri delegati nel Movimento.

Qualcuno mi ha detto che gli elettori “si fanno influenzare da un video carino” (penso parlasse di me) e non premiano chi veramente avrebbe il diritto di essere in pole position per queste cariche di sottopolitica (penso parlasse di se stesso). E’ la stessa persona che, a quanto mi dicono, la sera dei risultati, a Palazzo Lascaris, non capacitandosi di come io avessi potuto prendere 1375 preferenze senza mai venire spedito dal Movimento a parlare su TV e giornali, diceva in giro che evidentemente me le aveva portate la mafia (e scusate se questa me la sono segnata, spero che il racconto non sia vero ma è perlomeno verosimile).

Esiste in alcuni degli attivisti di lunga data un comprensibile (ma sbagliato) desiderio di non perdere il controllo della baracca, che ha raggiunto ogni tanto dei punti esilaranti; come quando, votata una mozione che determinava l’incompatibilità di uno di noi con l’essere membro dell’associazione, si è aggiunta la clausola che tale incompatibilità entrerà in vigore solo da maggio. Io ho commentato ironicamente “giusto il tempo di poter votare su chi assumere nello staff” e la persona in questione mi ha tranquillamente risposto “eh, ci siamo capiti!”, come se fosse normalissimo.

Infatti c’è stata un po’ di maretta quando qualcuno ha proposto di dimettersi tutti su due piedi – in fondo nessuno ci ha eletto, ci siamo autonominati all’inizio del percorso per le regionali in quanto persone che avevano voglia di lavorarci – in modo da farci sostituire entro una settimana da persone scelte dal basso, che avrebbero poi gestito la selezione dello staff. Abbiamo votato a favore solo in quattro su quindici. Poi qualcuno ha proposto di farlo tra tre mesi, e stavolta la proposta è passata con una netta maggioranza, ma anche così alcuni dei pochi contrari non l’hanno presa molto bene.

Quanto alla mia seconda mozione, a me sembrava il minimo: essere uno dei 23 membri che decidono a chi dare consulenze o commesse per il Movimento, e nel contempo essere una delle persone che le ricevono, è un conflitto di interessi grosso come una casa. C’è un chiaro rischio che si inneschi un meccanismo per cui il gruppo comincia a dare 500 euro di consulenza a te, 500 euro a me, 500 a suo cugino e così via. Eppure, giunti al momento di votarla, è partito il fuoco di fila delle obiezioni: non è all’ordine del giorno, dobbiamo discuterne meglio, ne parleremo in seguito. Alla fine si è messo ai voti se discuterne subito o rimandarla a quando si sarebbe parlato dello staff: 7 voti per discuterne subito, 6 per discuterne dopo, 2 astenuti. A quel punto chi non voleva parlarne si è appigliato al fatto che 7 non era la maggioranza assoluta dei 15 presenti, dunque la mozione era da considerarsi respinta. Per non litigare, si è ripetuta la votazione che, al secondo tentativo, ha dato il risultato sperato: 7 favorevoli, 7 contrari compreso il Presidente che vale doppio, si rimanda la discussione.

E poi, si è infine arrivati a parlare di staff: si è scoperto che, tra fondi regionali per i portaborse e quote ricavate riducendo lo stipendio dei consiglieri, ci sono i soldi per assumere quattro o cinque persone full time a stipendi mica da ridere (2000-2500 euro netti al mese), più pagare consulenti a gettone (avvocato, commercialista, magari dei tecnici) quando servono. Ognuno ha preso la parola per dire quale genere di figure potessero servire; alla fine risulta che lo staff tipico per permettere a due consiglieri di lavorare sia formato da una o due segretarie, un addetto stampa e due portaborse. Qualcuno ha proposto figure un po’ innovative, come un gestore della partecipazione o un videomaker a tempo pieno. Qualcun altro ha detto che i fondi dovrebbero servire anche per pagare il lavoro degli attivi del movimento nei gruppi di lavoro – almeno per quelli che i 23 nomineranno come coordinatori del gruppo.

Io sono intervenuto per sollevare due problemi. Il primo è che bisogna fare una distinzione netta tra lavoro segretariale/organizzativo (da retribuire per bene), lavoro tecnico (da pagare a gettone, ad esempio un esperto di trasporti se ti serve preparare una proposta in materia) e lavoro politico, quello che faremo noi attivi del Movimento, pubblicamente e in modo aperto a qualsiasi cittadino, discutendo e proponendo nei gruppi di lavoro; e che quest’ultimo, per non ingenerare brutte dinamiche, deve rimanere assolutamente volontario e non retribuito.

Il secondo è quello dei salti di carriera. Noi siamo contrari ai politici di professione e ci siamo imposti un limite di massimo due mandati nelle istituzioni, prima di tornare al nostro lavoro. Conosco però molti politici di professione che hanno avuto carriere di questo tipo: prima vengono assunti dal partito per lavorare come quadri, e poi, con lo stipendio pagato dal partito, si mettono a candidarsi. Poi, se ancora non sono stati eletti, magari vengono piazzati come portaborse o come dipendente “quota partito” in un ente pubblico, ad esempio il Comune; e anche lì, mentre prendono uno stipendio pubblico, si candidano e si fanno campagna elettorale durante l’orario di lavoro. Alla fine, dai e dai, vengono eletti – anche perché, a forza di fare il portaborse, si sono fatti dei “padrini” tra i politici con più anzianità – e si fanno cinque anni da consigliere; e poi, se trombati, vengono ripiazzati come portaborse o dipendenti pubblici finché non si ricandidano e così via.

Noi non vogliamo questo meccanismo squallido e perverso, vero? Dunque bisogna stabilire delle incompatibilità tra fare parte dello staff dei consiglieri e potersi candidare nelle liste del Movimento; poi ognuno scelga. Se vuole fare il “politico di leva”, rinuncia a qualsiasi incarico professionale retribuito nello staff del Movimento e negli enti pubblici dove avremo degli eletti; se invece vuol fare carriera da “assistente politico”, rinuncia a candidarsi.

Dovevo capire che le cose non buttavano bene quando ho ingenuamente chiesto “scusate, ma noi per riempire queste posizioni metteremo un annuncio su un giornale e lo faremo circolare pubblicamente, vero?”. Varie persone mi hanno guardato con occhi sgranati e mi hanno risposto “No, questo l’abbiamo già deciso mesi fa, per prima cosa vedremo se c’è qualcuno di noi 23 che vuole essere assunto, poi se mancano ancora delle posizioni chiederemo ai nostri gruppi di attivi, e proprio se non troviamo nessuno chiederemo in giro”. Qualcuno, onestamente non ricordo chi, ha anche cominciato a magnificare le grandi capacità della moglie di un nostro associato, immagino tutte vere, ma mancando completamente di vedere il problema del conflitto d’interessi. Ok, ho capito come butta.

Non vorrei semplificare troppo questo punto; ci sono dei vantaggi, sia di fiducia che di conoscenza della situazione, nell’assumere come portaborse gli attivi del movimento, piuttosto che persone magari anche più capaci ma meno conosciute, meno affidabili, meno convinte delle nostre idee. E trovo anche piuttosto umano, parlando di persone che da due o tre anni hanno dedicato volontariamente al Movimento gran parte della propria vita facendo grossi sacrifici sia economici che familiari, che essi siano allettati dalla possibilità di continuare a fare politica lasciando il vecchio lavoro e prendendo 2000 euro al mese da portaborse.

E però, è sbagliato; non è quello che abbiamo promesso agli elettori e non è quello che vogliamo fare. Crea appunto il rischio di cui sopra, quello di creare subito una mini “casta a cinque stelle” che si autopropaga, con persone che grazie alle proprie relazioni in un piccolo gruppetto vengono assunte a posizioni ben retribuite e poi grazie a tale retribuzione possono avere la visibilità e il tempo per diventare i naturali candidati del Movimento al giro successivo, a discapito dei veri “volontari della politica”.

Alla fine, comunque, ci si è messi a parlare di incompatibilità; e le cinque proposte erano:
1) Chi fa parte dello staff deve dimettersi dall’associazione, ovvero non far parte dei 23 che gestiscono i soldi e le assunzioni.
2) Chi fa parte dello staff non può essere consigliere eletto da nessuna parte.
3) Chi fa parte dello staff non può candidarsi ad alcuna elezione se non si dimette dallo staff.
4) Chi fa parte dello staff non può candidarsi ad alcuna elezione se non si è dimesso dallo staff da almeno un anno.
5) Un mandato da membro dello staff conta come un mandato da eletto ai fini dei limiti alla ricandidabilità.

Per prima cosa uno ha sollevato una serie di obiezioni su cosa volesse dire “fare parte dello staff”, cercando di definirlo in modo così ristretto da lasciare fuori buona parte dei contratti possibili; dopo un po’ di estenuanti lotte verbali si è riusciti a definire che “fare parte dello staff” vuol dire avere un contratto di lavoro di almeno tre mesi di durata (lasciando dunque fuori tutte le consulenze).

Poi si è votato; la prima proposta è passata; la seconda anche. La terza in origine non esisteva, perché scritta così è abbastanza inutile: è vero che il portaborse con tale regola dovrebbe dimettersi prima di essere sicuro di essere eletto, ma può comunque farsi tutta la campagna pre-elettorale mentre è portaborse, e magari, grazie a quella e/o al consigliere a cinque stelle che lo impiega, ottenere la nomination a candidato sindaco/presidente o comunque costruirsi le relazioni per ottenere molte preferenze con ragionevole certezza; a quel punto può decidere se dimettersi o meno dallo staff a seconda che abbia ottenuto o meno una buona posizione in lista.

L’unica versione che permette un minimo di deterrenza è la numero 4, che chiaramente aveva subito sollevato levate di scudi. Qualcuno ha detto “ma così chi fa il portaborse è penalizzato più del consigliere, il consigliere a fine mandato può candidarsi subito mentre il portaborse deve aspettare un anno, non è giusto”. Qualcun altro ha detto “Così ci priviamo delle preziose esperienze accumulate dal portaborse durante la sua esperienza nello staff, e noi invece dovremmo mandare sempre in giro i migliori!”. Un altro ancora ha detto “metti che io faccio la consulenza in Regione e poi il Comune mi va alle elezioni anticipate prima che sia passato un anno, io poi rimango fregato”. Tra le altre ragioni fornite c’è “Così si limita la libertà delle persone di candidarsi” e “Ma se mettiamo troppi vincoli poi i nostri attivi ci mollano e vanno a candidarsi nel PD” (se ragionano così, vadano pure).

Almeno, la terza proposta è passata, anche se con meno margine delle precedenti; e poi si è arrivati alla quarta, nonostante alcune persone non proprio favorevoli stessero praticamente andando via, facendo mancare il numero legale. Ho insistito per votare, e il voto è finito come segue: 4 favorevoli, 3 contrari, 6 astenuti. Non andava bene: dunque, a mo’ di Trattato di Lisbona, non so più con quale scusa si è rivotato, e stavolta hanno vinto i contrari; e poi tutti sono scappati prima che si potesse discutere la quinta. Per ora, la carriera da portaborse è salva. Ah, e la mia mozione più generale sul conflitto di interessi? Beh, alla fine non è stata mai discussa… spero che lo sarà la prossima volta.

Spero che questo post non sia percepito dai miei compagni di movimento come polemico; ho aspettato un giorno e l’ho scritto e riscritto tre volte per moderare i toni. Io credo però che “uno vale uno” non sia uno slogan elettorale, così come non lo sia l’immagine della scopa per fare pulizia. E allora, quando si parla di soldi e di assunzioni le scelte devono essere totalmente trasparenti, al di sopra di ogni sospetto e di ogni conflitto di interessi. E’ chiaro che regole di incompatibilità generale rischiano anche di tagliar fuori persone valide e perfettamente oneste, ma il rischio di non averle è troppo grande; e se davvero per te è così importante fare l’esperienza di candidato (aspirazione assolutamente legittima per chi si appassiona alla politica, e che io stesso condivido) puoi benissimo evitare di lavorare nell’ente pubblico e fare il tuo lavoro da qualche altra parte.

Ma è soprattutto la struttura decisionale che mi preoccupa. Come già dissi, sono contrario all’assenza totale di strutture e di regole, ma è chiaro che strutture e regole sono legittime solo se sono discusse, condivise e accettate dalla base dei nostri elettori. A me piacerebbe che i nostri elettori reclamassero questo ruolo: stanno nascendo molti gruppi con l’obiettivo di diventare attivi, di costituire una lista civica qui o là, ma ancora non ne vedo di “elettori semplici” che non si riuniscano per organizzare attività o per esprimere candidature, ma semplicemente per controllare il Movimento e dare direttive a noi che di fatto lo gestiamo. Comunque, insieme a varie persone, stiamo cominciando a lavorare agli strumenti di deliberazione online; anche a queste riunioni, ci siamo detti spesso che dovremo averli il prima possibile e usarli spesso; l’importante è che ciò non sia soltanto un mantra, ma diventi presto realtà.

Nel frattempo, io vedo come un dovere quello di raccontare ciò che succede dietro le quinte, e continuerò a farlo finché ne avrò la possibilità.

[tags]politica, movimento 5 stelle, beppe grillo, assunzioni, conflitto d’interessi, partecipazione, democrazia dal basso[/tags]

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domenica 11 Aprile 2010, 11:15

Perché muore un meetup

Copio e incollo il racconto di una persona che, sulle ali dell’entusiasmo per il risultato elettorale, ha provato ad andare per la prima volta alla riunione di un “meetup” grillino (non in Piemonte) e ne è tornata delusa. Mi sembra una buona spiegazione del perché molti meetup sono morti o vivacchiano da anni tra le stesse cinque persone, incapaci di costruire non dico un progetto politico, ma anche solo un gruppo funzionante e capace di aggregare la cittadinanza.

Si dice spesso che il problema della politica sono i personalismi, ma forse si dimentica un’altra verità: che senza persone capaci anche le migliori cause non vanno da nessuna parte.

Ciao Vittorio,
ieri sera sono andato alla riunione del meetup di ******… c’erano, me compreso, 12 persone. Hanno cominciato a litigare dopo 3 minuti sul primo punto dell’ODG, che era come e con chi istituire i banchetti per la raccolta firme per l’acqua. Alle 10,30, visto che ognuno parlava senza ascoltare quello che dicevano gli altri e sentendomi come un genitore al compleanno dei bambini (tagliato fuori) ho detto che avevo un treno da prendere e me ne sono andato… che delusione!
Spero che dalle altri parti il livello (ed il QI) siano un pò meglio! Nemmeno ai vecchi tempi delle assemblee avevo visto un casino così poco costruttivo e inutile.
Forse sono diventato vecchio ma non credo che questo sia il modo giusto di interpretare la democrazia, anche qui si fa a chi urla più forte, a prescindere che abbia, o meno, qualcosa da dire… Ti abbraccio 

[tags]meetup, beppe grillo, assemblearismo, movimento 5 stelle, politica[/tags]

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