Il sottotitolo del mio blog, da anni, è “come rovinarsi una brillante carriera in Italia”: infatti vanto una notevole capacità di farmi dei nemici raccontando semplicemente ciò che vedo. Il post della settimana scorsa, che raccontava della prima riunione del Movimento 5 Stelle Piemonte dopo le elezioni, ad alcuni dei miei compagni di attivismo (una minoranza, sia chiaro) non è piaciuto; mi hanno pregato di “attenermi al verbale ufficiale”, invece di raccontare ciò che avevo visto e commentarlo. Mi è sembrata una reazione piuttosto strana, da parte di un gruppo che come sua bandiera ha quella di portare le webcam nei consigli comunali. Comunque un effetto c’è stato: alla seconda riunione, sabato, è stata portata una videocamera che ha ripreso tutto l’incontro, e ringrazio i Grilli Eporediesi che hanno provveduto a farlo.
La riunione si è aperta riprendendo il tema dell’altra volta. Per prima cosa, si è detto che, mediante contatti telefonici in settimana tra varie persone, si era giunti a una proposta di compromesso sulla struttura dell’associazione Movimento 5 Stelle Piemonte – quella che gestirà i fondi pubblici derivanti dagli stipendi dei consiglieri regionali e dai finanziamenti per le spese del gruppo consiliare, e deciderà le assunzioni nello staff dei consiglieri.
La proposta di compromesso si rimangia molto di quanto deciso l’ultima volta: invece di aprire l’associazione a nuovi soci, ci si limita ad espanderla da 18 a 23 membri per includere anche le zone del Piemonte non ancora rappresentate, suddividendo questi membri tra le varie aree in base alla popolazione (5 a Torino città, 7 alla provincia di Torino, 3 a Cuneo e provincia eccetera); i membri saranno nominati dai meetup e gruppi attivi sui singoli territori, anche se per ora saranno cooptati dai 18 attuali.
L’associazione diviene di fatto un gruppo organizzativo chiuso fatto di rappresentanti dei vari territori, simile ad esempio a quello che hanno istituito in Emilia; queste sono le persone che dovrebbero occuparsi di consultare “la base”, riportare e decidere. Spariti gli organi approvati l’ultima volta, le decisioni sia politiche che organizzative vengono rimandate all’assemblea dei 23 membri – e questo non è un male, ma presenta il rischio che, nella difficoltà di consultare 23 persone ogni volta, di fatto i consiglieri regionali facciano quel che gli pare.
Io sono stato l’unico contrario a questo modello, perché non mi piace l’idea del gruppo chiuso né la cooptazione, e avrei preferito una associazione in cui tutti gli attivi del Piemonte potessero entrare. Persa in partenza questa battaglia, ho però fatto due proposte di emendamento. La prima è che i 23 rappresentanti venissero nominati non dai meetup e gruppi attivi delle singole province – che in certi casi sono ampi e partecipati ma in altri si riducono a una manciata di amici – ma da tutti gli iscritti al Movimento 5 Stelle residenti nel territorio interessato, mediante votazioni online chiare e trasparenti. La seconda è un principio contro il conflitto di interessi molto semplice, che riassumerei così (e lo evidenzio perché per me è molto importante):
“Chiunque prenda anche solo una lira dei fondi pubblici gestiti dall’Associazione non può essere uno dei 23 soci della stessa”.
La prima mozione è stata respinta anch’essa con un solo voto favorevole, il mio, e contrari gli altri: la ragione, stringi stringi, è che non ci si fida troppo dei propri elettori, che evidentemente vanno bene quando devono votarti ma non vanno bene quando dovrebbero essere chiamati in causa per scegliere chi gestisce i soldi e le politiche. Io sono un esperto di votazioni online (a partire dalle elezioni At Large di ICANN dell’anno 2000) e so perfettamente che il rischio è un voto disinformato o quasi casuale; sarei anche molto favorevole a clausole di salvaguardia, del tipo che questi rappresentanti debbano essere attivi nel movimento da almeno 12-18 mesi, e dunque conosciuti; tuttavia farei un torto all’intelligenza e alla preparazione di chi ci ha votato (che è decisamente superiore alla media italiana) se pensassi che non è in grado di scegliersi i propri delegati nel Movimento.
Qualcuno mi ha detto che gli elettori “si fanno influenzare da un video carino” (penso parlasse di me) e non premiano chi veramente avrebbe il diritto di essere in pole position per queste cariche di sottopolitica (penso parlasse di se stesso). E’ la stessa persona che, a quanto mi dicono, la sera dei risultati, a Palazzo Lascaris, non capacitandosi di come io avessi potuto prendere 1375 preferenze senza mai venire spedito dal Movimento a parlare su TV e giornali, diceva in giro che evidentemente me le aveva portate la mafia (e scusate se questa me la sono segnata, spero che il racconto non sia vero ma è perlomeno verosimile).
Esiste in alcuni degli attivisti di lunga data un comprensibile (ma sbagliato) desiderio di non perdere il controllo della baracca, che ha raggiunto ogni tanto dei punti esilaranti; come quando, votata una mozione che determinava l’incompatibilità di uno di noi con l’essere membro dell’associazione, si è aggiunta la clausola che tale incompatibilità entrerà in vigore solo da maggio. Io ho commentato ironicamente “giusto il tempo di poter votare su chi assumere nello staff” e la persona in questione mi ha tranquillamente risposto “eh, ci siamo capiti!”, come se fosse normalissimo.
Infatti c’è stata un po’ di maretta quando qualcuno ha proposto di dimettersi tutti su due piedi – in fondo nessuno ci ha eletto, ci siamo autonominati all’inizio del percorso per le regionali in quanto persone che avevano voglia di lavorarci – in modo da farci sostituire entro una settimana da persone scelte dal basso, che avrebbero poi gestito la selezione dello staff. Abbiamo votato a favore solo in quattro su quindici. Poi qualcuno ha proposto di farlo tra tre mesi, e stavolta la proposta è passata con una netta maggioranza, ma anche così alcuni dei pochi contrari non l’hanno presa molto bene.
Quanto alla mia seconda mozione, a me sembrava il minimo: essere uno dei 23 membri che decidono a chi dare consulenze o commesse per il Movimento, e nel contempo essere una delle persone che le ricevono, è un conflitto di interessi grosso come una casa. C’è un chiaro rischio che si inneschi un meccanismo per cui il gruppo comincia a dare 500 euro di consulenza a te, 500 euro a me, 500 a suo cugino e così via. Eppure, giunti al momento di votarla, è partito il fuoco di fila delle obiezioni: non è all’ordine del giorno, dobbiamo discuterne meglio, ne parleremo in seguito. Alla fine si è messo ai voti se discuterne subito o rimandarla a quando si sarebbe parlato dello staff: 7 voti per discuterne subito, 6 per discuterne dopo, 2 astenuti. A quel punto chi non voleva parlarne si è appigliato al fatto che 7 non era la maggioranza assoluta dei 15 presenti, dunque la mozione era da considerarsi respinta. Per non litigare, si è ripetuta la votazione che, al secondo tentativo, ha dato il risultato sperato: 7 favorevoli, 7 contrari compreso il Presidente che vale doppio, si rimanda la discussione.
E poi, si è infine arrivati a parlare di staff: si è scoperto che, tra fondi regionali per i portaborse e quote ricavate riducendo lo stipendio dei consiglieri, ci sono i soldi per assumere quattro o cinque persone full time a stipendi mica da ridere (2000-2500 euro netti al mese), più pagare consulenti a gettone (avvocato, commercialista, magari dei tecnici) quando servono. Ognuno ha preso la parola per dire quale genere di figure potessero servire; alla fine risulta che lo staff tipico per permettere a due consiglieri di lavorare sia formato da una o due segretarie, un addetto stampa e due portaborse. Qualcuno ha proposto figure un po’ innovative, come un gestore della partecipazione o un videomaker a tempo pieno. Qualcun altro ha detto che i fondi dovrebbero servire anche per pagare il lavoro degli attivi del movimento nei gruppi di lavoro – almeno per quelli che i 23 nomineranno come coordinatori del gruppo.
Io sono intervenuto per sollevare due problemi. Il primo è che bisogna fare una distinzione netta tra lavoro segretariale/organizzativo (da retribuire per bene), lavoro tecnico (da pagare a gettone, ad esempio un esperto di trasporti se ti serve preparare una proposta in materia) e lavoro politico, quello che faremo noi attivi del Movimento, pubblicamente e in modo aperto a qualsiasi cittadino, discutendo e proponendo nei gruppi di lavoro; e che quest’ultimo, per non ingenerare brutte dinamiche, deve rimanere assolutamente volontario e non retribuito.
Il secondo è quello dei salti di carriera. Noi siamo contrari ai politici di professione e ci siamo imposti un limite di massimo due mandati nelle istituzioni, prima di tornare al nostro lavoro. Conosco però molti politici di professione che hanno avuto carriere di questo tipo: prima vengono assunti dal partito per lavorare come quadri, e poi, con lo stipendio pagato dal partito, si mettono a candidarsi. Poi, se ancora non sono stati eletti, magari vengono piazzati come portaborse o come dipendente “quota partito” in un ente pubblico, ad esempio il Comune; e anche lì, mentre prendono uno stipendio pubblico, si candidano e si fanno campagna elettorale durante l’orario di lavoro. Alla fine, dai e dai, vengono eletti – anche perché, a forza di fare il portaborse, si sono fatti dei “padrini” tra i politici con più anzianità – e si fanno cinque anni da consigliere; e poi, se trombati, vengono ripiazzati come portaborse o dipendenti pubblici finché non si ricandidano e così via.
Noi non vogliamo questo meccanismo squallido e perverso, vero? Dunque bisogna stabilire delle incompatibilità tra fare parte dello staff dei consiglieri e potersi candidare nelle liste del Movimento; poi ognuno scelga. Se vuole fare il “politico di leva”, rinuncia a qualsiasi incarico professionale retribuito nello staff del Movimento e negli enti pubblici dove avremo degli eletti; se invece vuol fare carriera da “assistente politico”, rinuncia a candidarsi.
Dovevo capire che le cose non buttavano bene quando ho ingenuamente chiesto “scusate, ma noi per riempire queste posizioni metteremo un annuncio su un giornale e lo faremo circolare pubblicamente, vero?”. Varie persone mi hanno guardato con occhi sgranati e mi hanno risposto “No, questo l’abbiamo già deciso mesi fa, per prima cosa vedremo se c’è qualcuno di noi 23 che vuole essere assunto, poi se mancano ancora delle posizioni chiederemo ai nostri gruppi di attivi, e proprio se non troviamo nessuno chiederemo in giro”. Qualcuno, onestamente non ricordo chi, ha anche cominciato a magnificare le grandi capacità della moglie di un nostro associato, immagino tutte vere, ma mancando completamente di vedere il problema del conflitto d’interessi. Ok, ho capito come butta.
Non vorrei semplificare troppo questo punto; ci sono dei vantaggi, sia di fiducia che di conoscenza della situazione, nell’assumere come portaborse gli attivi del movimento, piuttosto che persone magari anche più capaci ma meno conosciute, meno affidabili, meno convinte delle nostre idee. E trovo anche piuttosto umano, parlando di persone che da due o tre anni hanno dedicato volontariamente al Movimento gran parte della propria vita facendo grossi sacrifici sia economici che familiari, che essi siano allettati dalla possibilità di continuare a fare politica lasciando il vecchio lavoro e prendendo 2000 euro al mese da portaborse.
E però, è sbagliato; non è quello che abbiamo promesso agli elettori e non è quello che vogliamo fare. Crea appunto il rischio di cui sopra, quello di creare subito una mini “casta a cinque stelle” che si autopropaga, con persone che grazie alle proprie relazioni in un piccolo gruppetto vengono assunte a posizioni ben retribuite e poi grazie a tale retribuzione possono avere la visibilità e il tempo per diventare i naturali candidati del Movimento al giro successivo, a discapito dei veri “volontari della politica”.
Alla fine, comunque, ci si è messi a parlare di incompatibilità; e le cinque proposte erano:
1) Chi fa parte dello staff deve dimettersi dall’associazione, ovvero non far parte dei 23 che gestiscono i soldi e le assunzioni.
2) Chi fa parte dello staff non può essere consigliere eletto da nessuna parte.
3) Chi fa parte dello staff non può candidarsi ad alcuna elezione se non si dimette dallo staff.
4) Chi fa parte dello staff non può candidarsi ad alcuna elezione se non si è dimesso dallo staff da almeno un anno.
5) Un mandato da membro dello staff conta come un mandato da eletto ai fini dei limiti alla ricandidabilità.
Per prima cosa uno ha sollevato una serie di obiezioni su cosa volesse dire “fare parte dello staff”, cercando di definirlo in modo così ristretto da lasciare fuori buona parte dei contratti possibili; dopo un po’ di estenuanti lotte verbali si è riusciti a definire che “fare parte dello staff” vuol dire avere un contratto di lavoro di almeno tre mesi di durata (lasciando dunque fuori tutte le consulenze).
Poi si è votato; la prima proposta è passata; la seconda anche. La terza in origine non esisteva, perché scritta così è abbastanza inutile: è vero che il portaborse con tale regola dovrebbe dimettersi prima di essere sicuro di essere eletto, ma può comunque farsi tutta la campagna pre-elettorale mentre è portaborse, e magari, grazie a quella e/o al consigliere a cinque stelle che lo impiega, ottenere la nomination a candidato sindaco/presidente o comunque costruirsi le relazioni per ottenere molte preferenze con ragionevole certezza; a quel punto può decidere se dimettersi o meno dallo staff a seconda che abbia ottenuto o meno una buona posizione in lista.
L’unica versione che permette un minimo di deterrenza è la numero 4, che chiaramente aveva subito sollevato levate di scudi. Qualcuno ha detto “ma così chi fa il portaborse è penalizzato più del consigliere, il consigliere a fine mandato può candidarsi subito mentre il portaborse deve aspettare un anno, non è giusto”. Qualcun altro ha detto “Così ci priviamo delle preziose esperienze accumulate dal portaborse durante la sua esperienza nello staff, e noi invece dovremmo mandare sempre in giro i migliori!”. Un altro ancora ha detto “metti che io faccio la consulenza in Regione e poi il Comune mi va alle elezioni anticipate prima che sia passato un anno, io poi rimango fregato”. Tra le altre ragioni fornite c’è “Così si limita la libertà delle persone di candidarsi” e “Ma se mettiamo troppi vincoli poi i nostri attivi ci mollano e vanno a candidarsi nel PD” (se ragionano così, vadano pure).
Almeno, la terza proposta è passata, anche se con meno margine delle precedenti; e poi si è arrivati alla quarta, nonostante alcune persone non proprio favorevoli stessero praticamente andando via, facendo mancare il numero legale. Ho insistito per votare, e il voto è finito come segue: 4 favorevoli, 3 contrari, 6 astenuti. Non andava bene: dunque, a mo’ di Trattato di Lisbona, non so più con quale scusa si è rivotato, e stavolta hanno vinto i contrari; e poi tutti sono scappati prima che si potesse discutere la quinta. Per ora, la carriera da portaborse è salva. Ah, e la mia mozione più generale sul conflitto di interessi? Beh, alla fine non è stata mai discussa… spero che lo sarà la prossima volta.
Spero che questo post non sia percepito dai miei compagni di movimento come polemico; ho aspettato un giorno e l’ho scritto e riscritto tre volte per moderare i toni. Io credo però che “uno vale uno” non sia uno slogan elettorale, così come non lo sia l’immagine della scopa per fare pulizia. E allora, quando si parla di soldi e di assunzioni le scelte devono essere totalmente trasparenti, al di sopra di ogni sospetto e di ogni conflitto di interessi. E’ chiaro che regole di incompatibilità generale rischiano anche di tagliar fuori persone valide e perfettamente oneste, ma il rischio di non averle è troppo grande; e se davvero per te è così importante fare l’esperienza di candidato (aspirazione assolutamente legittima per chi si appassiona alla politica, e che io stesso condivido) puoi benissimo evitare di lavorare nell’ente pubblico e fare il tuo lavoro da qualche altra parte.
Ma è soprattutto la struttura decisionale che mi preoccupa. Come già dissi, sono contrario all’assenza totale di strutture e di regole, ma è chiaro che strutture e regole sono legittime solo se sono discusse, condivise e accettate dalla base dei nostri elettori. A me piacerebbe che i nostri elettori reclamassero questo ruolo: stanno nascendo molti gruppi con l’obiettivo di diventare attivi, di costituire una lista civica qui o là, ma ancora non ne vedo di “elettori semplici” che non si riuniscano per organizzare attività o per esprimere candidature, ma semplicemente per controllare il Movimento e dare direttive a noi che di fatto lo gestiamo. Comunque, insieme a varie persone, stiamo cominciando a lavorare agli strumenti di deliberazione online; anche a queste riunioni, ci siamo detti spesso che dovremo averli il prima possibile e usarli spesso; l’importante è che ciò non sia soltanto un mantra, ma diventi presto realtà.
Nel frattempo, io vedo come un dovere quello di raccontare ciò che succede dietro le quinte, e continuerò a farlo finché ne avrò la possibilità.
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