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Archivio per la categoria 'TorinoInBocca'


martedì 24 Febbraio 2009, 10:44

Torino a cinque stelle

In questo martedì di febbraio, ho deciso che è il caso di dedicare il mio blog ad un annuncio importante. Se siete lettori assidui di questo blog, l’annuncio non vi sorprenderà; avrete capito infatti che ormai da parecchio tempo non riesco più a sopportare lo stato di degrado e di corruzione in cui si trova l’Italia.

Premetto subito alcune basi del ragionamento: il degrado della politica non è altro che lo specchio del degrado morale dell’intera società; è un sintomo, non una causa. Questo degrado sta anche alla radice della nostra crisi economica, perché in un sistema economico globalizzato, dove almeno nei paesi sviluppati il valore delle attività economiche è legato all’innovazione, alla serietà e alla voglia di fare, un Paese dove il nepotismo prevale sulla meritocrazia, dove la cialtroneria è uno stile di vita e dove l’esistenza di una casta aggrappata al potere blocca il ricambio e impedisce di restare al passo coi tempi è destinato a soccombere in maniera devastante.

Stiamo entrando in una crisi globale profonda, legata all’esaurimento almeno parziale dei modelli di sviluppo su cui si è costruito il benessere dell’umanità negli ultimi trecento anni, che sono basati sull’ipotesi che le risorse a disposizione e la crescita che esse permettono possano essere infinite. Ci avviciniamo ai limiti del possibile; è una crisi che richiede un ripensamento significativo di tutte le nostre strutture sociali e degli scopi stessi della società. Sulle nostre teste, però, a questa crisi si somma l’effetto del degrado di cui dicevamo prima: per questo, in Italia la crisi sarà lunga e pesante, e quel che abbiamo visto finora è solo un accenno.

Da una crisi del genere si può uscire in due modi: tutti insieme, limitando i danni e aiutandosi l’un l’altro; oppure in ordine sparso, contendendosi con la forza l’ultima briciola di ricchezza, in mezzo a un conflitto sociale violento e distruttivo. Tuttavia, per far avverare il primo scenario non si può stare a guardare; è non solo un diritto, ma anche un dovere di chi ha la fortuna di aver maturato esperienze e conoscenze di valore, quello di impegnarsi in prima persona. D’altra parte, sappiamo tutti, senza bisogno di dircelo ancora, che con l’attuale classe dirigente del Paese – politica, industriale, accademica; di destra o di sinistra che sia, non fa più differenza – non potremo che marciare dritti verso un disastro immane.

La situazione, comunque, richiede cambiamenti non solo nelle persone, ma anche nei metodi della politica. Il vecchio sistema piramidale, il potere gestito per delega da persone che voti una volta e che poi per anni sono libere di farsi i fatti propri, non funziona più. In tutto il mondo, da decenni, si parla di concertazione, di partecipazione, di consultazione; la rete trasforma le strutture di potere e mette nelle mani degli individui possibilità di discutere, di informare, di partecipare, di organizzarsi mai viste prima. La gestione del bene pubblico deve sempre più ritornare alle mani dei cittadini, con forme di democrazia diretta per le questioni più importanti – e non è follia, in Svizzera lo fanno da sempre – e con forme di democrazia partecipativa per tutto il resto, dando a ogni persona la possibilità di partecipare direttamente alle decisioni sulle questioni che stanno loro più a cuore, e ritrasformando i politici in quel che dovrebbero essere: dipendenti della collettività, che ne fanno gli interessi e ne eseguono gli ordini.

Per tutto questo, da un paio di settimane abbiamo costituito formalmente una associazione no-profit che si chiama Torino a 5 Stelle – Amici di Beppe Grillo, e che è il risultato di un processo durato oltre un anno, con l’obiettivo di costruire una struttura che possa supportare la nascita di una lista civica cittadina, e presentarsi alle elezioni amministrative per promuovere in prima persona il rinnovamento delle persone e dei metodi.

Perché la politica? Perché da anni tutti noi, ognuno nel proprio campo, ci impegniamo in attività nella società civile; io contro gli attacchi alla libertà di Internet, altri magari contro un inceneritore inquinante o contro la corruzione da cemento ovunque (uno dei veri poteri forti di questo Paese). Ma abbiamo capito che questo non serve: la casta che ci governa ignora le manifestazioni, cestina le raccolte di firme, continua imperterrita a farsi i propri interessi personali, usando i mezzi di informazione per nascondere i problemi e consolidare il proprio potere. Per questo è necessario rinnovare le istituzioni italiane in profondità; e allo stesso tempo cambiarne i metodi, perché una cancrena come l’attuale non possa più ripetersi, perché il potere corrompe le persone e non vogliamo correre il rischio di essere corrotti noi stessi.

Perché Grillo? In passato l’ho criticato anche pesantemente; poi, andando più a fondo nelle questioni, ho scoperto che sotto la semplificazione e un po’ di demagogia ci sono cose che i giornali non mi avevano mai detto, e ho cominciato a capire meglio. Mi sono avvicinato a questo movimento in occasione del V2-Day di Torino nella scorsa primavera, cercando di capire, per vedere se dentro ci trovavo riciclati maneggioni o esaltati integralisti. Di riciclati non ne ho visto neanche mezzo; di esaltati mezzo al massimo. Ho invece trovato un gruppo di persone che la pensavano esattamente come me, che erano mosse dagli stessi obiettivi, che ragionavano con la propria testa; e abbiamo discusso e lavorato intensamente per molti mesi. Insomma, Grillo è soltanto il pretesto, la scintilla che ha acceso il fuoco, il simbolo che permette a tanti giovani in tutta Italia – decine e decine di gruppi attivi ovunque – di ritrovarsi e di farsi conoscere. Noi siamo d’accordo con lui quasi sempre, ma se spara stupidaggini o se si vende non gli andiamo certo dietro; tra Grillo e i nostri principi scegliamo sempre questi ultimi.

Il movimento di Grillo non è un partito; non lo siamo nemmeno noi. Il nostro statuto prevede vincoli chiari: è vietata l’iscrizione ai pregiudicati, a chi frequenta gli attuali partiti e a chi non vive a Torino e provincia. Per il resto, la porta è aperta a tutti; non ci sono direttivi né presidenti, ma semplicemente una assemblea in cui il diritto di voto si acquista partecipando regolarmente alle riunioni, e si perde quando si smette di venire; chi non è attivo può comunque partecipare alle discussioni online e votare sulle scelte più importanti. Non ci sono nemmeno direttivi nazionali; non prendiamo ordini da nessuno. Abbiamo mandato i nostri certificati penali, e una volta provato che eravamo incensurati siamo stati certificati come lista a cinque stelle per Torino.

Non sappiamo ancora se e quando saremo pronti per presentarci alle elezioni; certamente sentiamo l’urgenza di farlo, anche perché, visto come viene trattata la nostra Costituzione, ad aspettare ancora un po’ c’è il rischio che le elezioni non ci siano più – o che siano elezioni farsa, con liste bloccate, sbarramenti al dieci per cento e divieto di candidarsi a qualsiasi movimento che non piaccia a Berlusconi. Ci sono anche ottimi e pressanti motivi sostanziali per farlo, come la faccenda degli inceneritori. Vedremo; innanzi tutto vogliamo coinvolgere altre persone, proprio perché non bisogna cambiare solo la faccia dei politici, ma anche, piano piano, la testa degli italiani.

Chiunque voglia aiutarci è il benvenuto; ci si può iscrivere, partecipando di persona come socio attivo, o soltanto online come socio ordinario; si può partecipare alle discussioni sul forum che abbiamo appena aperto, anche senza iscriversi all’associazione; ci si può limitare a registrarsi alla nostra lista di annunci (nella home del sito), a passare parola, a segnalare dei problemi concreti, a fare delle proposte, e, in caso di elezioni, a darci una firma o a portarci qualche voto.

Non abbiamo una lira se non quelle che mettiamo di tasca nostra – lo stesso Grillo per ora si è limitato a convocare le liste a Firenze l’8 marzo, ma non fornisce alcun supporto organizzativo – e di certo i giornali non ci aiuteranno; possiamo contare solo sull’azione diretta di tante persone, che però, come Internet ha dimostrato più volte, può essere più forte di qualsiasi potere costituito. Io voglio poter dire di averci almeno provato, e quindi, con lucida follia ma anche con molta fiducia, ci metto la mia faccia. Vedete voi che fare della vostra.

[tags]torino, torino a cinque stelle, democrazia, partecipazione, elezioni, cittadinanza, beppe grillo[/tags]

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sabato 14 Febbraio 2009, 16:01

Impariamo dai vigili torinesi

Un’ora fa, completamente per caso, ho avuto l’occasione di fare un piccolo esperimento.

Infatti, girando da corso Francia in corso Peschiera là dove inizia, mi sono trovato davanti una macchina dei vigili. Il traffico era nullo; eravamo solo noi due. Così, memore delle frequenti lettere a Specchio dei Tempi del comandante dei vigili torinesi, Mauro Famigli (stipendio annuo 175.000 euro), sempre tese a difendere il crescente numero di autovelox e raid con la telecamera per punire le pericolosissime violazioni stradali dei torinesi, mi sono accodato per imparare direttamente da loro come ci si deve comportare guidando in città.

Bene, l’auto dei vigili ha accelerato, è arrivata a 50 orari, poi però non ha smesso; è arrivata a 60, a 70 e ad 80 orari, mentre giungevamo all’incrocio di via Pozzo Strada. Ne deduco quindi che è giusto quello che ho sempre sostenuto, cioè che il limite di 50 orari sui grandi viali è ridicolmente basso, tanto è vero che nessuno lo rispetta; e che viene mantenuto al solo scopo di fare multe.

Proprio in quel momento, il semaforo all’incrocio di via Bardonecchia è scattato sul giallo; l’auto dei vigili, diligentemente, ha ulteriormente accelerato per attraversarlo, sfruttando gli ultimi secondi di giallo a quasi 90 orari. E io dietro: ho imparato che anche questo è un buon comportamento stradale.

Infine, siamo arrivati all’incrocio con corso Monte Cucco, dove il semaforo era rosso. L’auto dei vigili ha cambiato corsia senza mettere la freccia, e si è fermata sulla corsia più a destra. Poi è scattato il verde, e soltanto allora, senza preavviso, il guidatore ha messo la freccia a destra. Peccato che a quell’incrocio sia vietato svoltare a destra; un altro divieto assurdo, messo lì tanto per vietare qualcosa, ma c’è.

E così, veramente senza più parole, invece di partire ho abbrancato il cellulare e gli ho fatto la foto. Eccola qui, in tutto il suo splendore:

vigili_svolta_vietata.jpg

In quindici anni di vita ho preso soltanto un paio di multe; sono convinto che i segnali stradali vadano generalmente rispettati, ma sono altrettanto convinto che Torino sia piena di divieti e di limiti inutili e vessatori, che non contribuiscono alla sicurezza ma solo alle casse comunali, inguaiando chi ha la sfortuna di guidare una macchina di colore diverso dal bianco-verde o dal blu statale. Voglio proprio vedere se, al prossimo caso di povero tapino multato per esere stato beccato a “sfrecciare” a 55 orari in corso Francia, il dottor Famigli avrà ancora il coraggio di fargli la morale.

[tags]torino, vigili urbani, multe, famigli, codice della strada, traffico, vessazioni[/tags]

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mercoledì 11 Febbraio 2009, 11:25

A noi il veleno, a loro i soldi

Da qualche giorno su Specchio dei Tempi è in corso una discussione sui costruendi inceneritori del Gerbido e di Settimo, e già questa è una notizia; questa – come la TAV – è una di quelle questioni su cui, al di là delle effettive ragioni pro e contro, i giornali riportano le opinioni favorevoli con molta più enfasi rispetto a quelle contrarie, quando non oscurano del tutto queste ultime.

Mi sono però reso conto che a conoscere dettagliatamente la faccenda siamo in pochi, e quindi ecco qui un po’ di informazione, per tutti noi che, vivendo a Torino e cintura, rischieremo presto un po’ di cancro da diossina. Vi prego di dedicare il tempo necessario a leggere tutto, e magari passare la voce: è una storia davvero istruttiva.

Cominciamo dalla lettera dell’assessore provinciale all’Ambiente, Angela Massaglia, che risponde ai dubbi sollevati da un lettore:

«Il termovalorizzatore del Gerbido (come quello che sorgerà a Settimo) sarà costruito con le più moderne tecnologie, scelte da una commissione specializzata. I pericoli paventati da Torino e Novara sono riferiti agli inceneritori di vecchia generazione, diffusi in Europa negli Anni 60-70. Negli ultimi anni le emissioni di diossine da impianti di termovalorizzazione si sono ridotte del 96%, molto più che per altre fonti di diossine come le industrie e il traffico. Le emissioni rilevate oggi sui moderni impianti per tutti gli inquinanti (polveri, metalli, gas acidi, diossine ecc.) sono da 10 a 100 volte inferiori ai limiti di legge. Rispetto alle nanopolveri, meno del 2% può essere correlato ai termovalorizzatori, contro percentuali ben più alte per gli autoveicoli (il 60% in Inghilterra, il 43% in California).
«La raccolta differenziata non può essere un’alternativa al termovalorizzatore, tuttavia per noi è prioritaria. Grazie all’impegno dei cittadini e a ingenti risorse della Provincia oggi siamo quasi al 50% di riciclo (eravamo al 25% nel 2003!) e cresceremo ancora. Se non ci fosse la raccolta differenziata, il termovalorizzatore – che non distrugge risorse, ma produce energia elettrica e termica per il teleriscaldamento – non potrebbe funzionare: infatti è stato progettato per bruciare circa il 50% dei rifiuti prodotti. Le scorie della combustione sono il 20% del rifiuto incenerito.
«E’ vero, i costi di un termovalorizzatore sono elevati. Certo, rispettare l’ambiente costa, buttare tutto in una buca sarebbe (a prima vista) più facile, ma l’Europa e le nostre convinzioni ce lo impediscono».
ANGELA MASSAGLIA

Il piano della Provincia è chiaro: siccome la discarica di Basse di Stura è ormai strapiena – la montagna di rifiuti accanto alla tangenziale ormai è alta decine di metri – la soluzione è costruire ben due inceneritori, uno al Gerbido e uno a Settimo, e bruciare i rifiuti, perché “buttare tutto in una buca” è immorale, e tu, lettore, mica vorrai una cosa immorale vero? Così, bruciando i rifiuti, genereremo un po’ di inquinamento, diossina e nanopolveri, ma entro i limiti di legge; e risolveremo il problema, a parte un “20% di scorie” su cui l’assessore glissa elegantemente.

In mancanza di meglio, potrebbe persino essere un discorso che ha senso; peccato che ci siano alternative migliori, che la Massaglia conosce perfettamente (anche a seguito di incontri avuti con i vari comitati anti inceneritore) ma che non sono politicamente fattibili.

Infatti, non è vero che la raccolta differenziata “non può essere una alternativa al termovalorizzatore”; basterebbe farla bene e farla fare a tutti, arrivando a quel 70% ormai già raggiunto in varie parti d’Italia. Il rimanente 30% di indifferenziato può essere avviato al trattamento meccanico-biologico, un sistema innovativo che riesce a separare e recuperare molti materiali (vetro, metalli…) anche dall’indifferenziato, nonché ad estrarre la parte “umida”, da compostare come l’organico, e a lasciare un residuo secco ed inerte che può essere usato come materiale per l’edilizia. Alla fine, come provato dagli impianti che già esistono come quello modello di Vedelago (TV), il residuo da mandare in discarica è l’1%, a differenza del 20% (altri dicono 30-35%) di residuo degli inceneritori.

In più, il residuo degli inceneritori non è più costituito da rifiuti, ma da ceneri tossiche che derivano dal bruciare tutti insieme ad altissima temperatura metalli, plastica, e ogni genere di schifezza. E per finire, il 99% recuperato da Vedelago viene rivenduto, quindi la collettività si paga i costi della raccolta rifiuti e talvolta ci guadagna anche; mentre bruciare una buona metà del tutto è intrinsecamente, per i conti pubblici, un servizio in passivo che non incassa quasi nulla e genera un costo enorme.

Bene, a questo punto ci chiediamo tutti: perché non si fa così? Lo dice tranquillamente la Massaglia, partendo dal dichiarare apertamente che l’inceneritore “è stato progettato per bruciare circa il 50% dei rifiuti prodotti”. In altre parole, se si differenzia troppo poi non c’è più niente da bruciare e non si giustifica più la costruzione dell’inceneritore…

Gli inceneritori, infatti, hanno bisogno di essere sempre “in temperatura”, come gli altoforni; se la temperatura cala, si produce una botta di diossina e poi si spende energia per scaldarli di nuovo. Per questo motivo, c’è bisogno di avere sempre roba da bruciare: dove non c’è, succede che si compri e si bruci carburante pur di mantenere attivo l’impianto, oppure, più semplicemente, si prende tutta la carta e la plastica che voi avete diligentemente differenziato e la si rimescola col resto per aumentare la massa da bruciare.

La vera ragione per cui si devono costruire a tutti i costi due inceneritori è però spiegata candidamente dalla stessa Stampa in questo articolo di Alessandro Mondo: il traffico locale di rifiuti che Torino ospita nella discarica vale 30 milioni di euro l’anno. Finora, questi soldi erano incamerati dall’Amiat, che gestisce anche la raccolta rifiuti, e di conseguenza andavano ad abbattere la Tarsu.

Chiamparino & C., invece, hanno avuto una bella pensata: facciamo costruire gli inceneritori ad un’altra azienda municipalizzata, la Trm, ovviamente controllata dai politici; gestita prima da Stefano Esposito, giovane rampante del PD, e ora – dopo che Esposito è diventato onorevole – da Giuseppe Vallone, ex senatore della Margherita ed ex sindaco di Borgaro. In questo modo, l’Amiat avrà 30 milioni di euro in meno, che saranno ripianati aumentando la Tarsu ai torinesi; la Trm invece avrà 30 milioni di euro in più, che potrà spendere liberamente, ad esempio (ma naturalmente sono solo ipotesi) sponsorizzando feste e giornali, assumendo ottimi dirigenti o dando commesse a fornitori di varia natura.

Anzi, già che ci siamo, di inceneritori facciamo che costruirne due. Certo, se il Gerbido è dimensionato per bruciare il 50% dei rifiuti di Torino e provincia, mentre l’altro 50% viene differenziato e riciclato, non si capisce cosa brucerà quello di Settimo; o si abolisce la differenziata del tutto, o il piano evidentemente è quello di far arrivare a Settimo rifiuti da mezza Italia, raddoppiando i soldi che incassa Trm e l’inquinamento che incassano i torinesi.

E non è finita qui: per avere più soldi in tasca, Esposito e Ghiglia (destra e sinistra d’amore e d’accordo) fanno passare un emendamento in Parlamento che dice che anche l’inceneritore del Gerbido, come già altri inceneritori, nonché raffinerie, centrali a carbone e altra roba, è un “impianto ecologico” che può beneficiare del contributo Cip6, cioè una addizionale del 6% sulla bolletta Enel che tutti noi paghiamo e che, da direttiva UE, dovrebbe finanziare gli impianti di energia rinnovabile: eolico, solare e così via. E invece, all’italiana, da lustri questi soldi vanno a impianti pesantemente inquinanti, arricchendo gli amici degli amici che li costruiscono e li gestiscono; e per questo la UE pure ci multa. Ma a loro che je frega, la fanno pagare ai contribuenti insieme a quella per Rete4.

Purtroppo, però, c’è di più: perché tutto questo giro di soldi è costruito sulla nostra pelle e sulla nostra salute. L’inceneritore produce comunque fumi cancerogeni; è un dato di fatto. Tutti gli studi che dicono che ne produce “non troppi” si basano su procedure di conduzione impeccabili; immaginate quanti ne produce nella realtà un inceneritore gestito da italiani.

La Massaglia liquida il tutto con un discorso che, stringi stringi, è il seguente: “certo aumenterà un po’ l’inquinamento da diossina e nanopolveri altamente cancerogeni e letali, ma tanto ce n’è già così tanto altro in giro che chi se ne frega”. Questo discorso, direi, si commenta da solo; per non parlare di altri piccolissimi dettagli, tipo citare i dati delle nanopolveri prodotte dalle auto in California (il posto più automunito del pianeta) per provare che a Torino ce ne sono già tante.

Tutto questo, poi, senza parlare del problema che sta a monte: il fatto che i rifiuti bisognerebbe innanzi tutto non produrli. Quanti imballaggi inutili, che finiscono direttamente in pattumiera, vi vengono dati ogni giorno? Quanto è incentivato il riutilizzo degli oggetti, invece di buttarli via dopo un uso soltanto? Ci sarebbe molto da fare su questi due punti; basterebbe poco per ridurre sensibilmente la quantità di rifiuti prodotti.

Ma come avrete capito, a Torino come a Napoli, bisogna che di rifiuti ce ne siano sempre tanti; perché più ce ne sono, e più i politici e i loro amici ci guadagnano.

[tags]ambiente, rifiuti, inceneritori, termovalorizzatori, discariche, gerbido, settimo, torino, no inc, trm, amiat, esposito, vallone, chiamparino, pd, ghiglia[/tags]

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giovedì 29 Gennaio 2009, 22:41

Il mercato degli ingegneri

Intendiamoci, sono molto contento che si sia trovato il modo per salvare il posto di lavoro a 180 dei trecento e passa ingegneri del Centro Ricerche Motorola, alcuni dei quali sono pure amici. Sono contento anche perché Reply è una azienda torinese a cui bisogna fare tanto di cappello per i successi che riscuote, in cui lavorano altri amici, e il cui amministratore delegato Tatiana Rizzante è stata pure mia collega di attività sociali durante il Politecnico.

Resto però perplesso per le modalità, se sono quelle pubblicate dai giornali: in pratica, per assumere 180 persone, Reply riceve dalla Regione Piemonte e dal governo un contributo a fondo perduto (= regalo) di 20 milioni di euro, più finanziamenti agevolati per altri 5 milioni e una commessa da 10 milioni dalla Regione.

Anche considerando solo il fondo perduto, vuol dire che Reply riceve oltre 110.000 euro per ciascun dipendente ex Motorola che assume: in pratica, per almeno un paio d’anni Reply avrà a disposizione 180 lavoratori pagati da noi contribuenti, ma il cui lavoro sarà venduto e monetizzato dai soci di Reply. Insomma, messa così, pare un caso da manuale di socializzazione delle perdite e privatizzazione degli utili; Chiamparino e Bresso l’hanno fatto prima con Motorola e lo fanno ora con Reply.

Per certi versi è una buona cosa: se con questa spintarella Reply riuscirà a stabilizzare queste persone, ad espandersi, magari a conquistare mercato lontano da Torino e quindi a drenare denaro dall’estero verso di noi, ne sarà valsa la pena.

Esiste però – si è verificato tante volte in Italia in casi simili – anche lo scenario opposto: l’azienda sovvenzionata sfrutta i lavoratori finché non li deve pagare, poi li scarica alla prima occasione; nel frattempo, grazie al grosso vantaggio competitivo derivante dall’abbattimento dei costi del personale, elimina dal mercato locale i concorrenti, senza creare nuova ricchezza in città, ma semplicemente appropriandosi di quella altrui. Quanti ingegneri delle altre aziende ICT di Torino perderanno il posto in silenzio perché le loro aziende non potranno più competere con Reply? Spero nessuno, ma il rischio c’è.

Per non parlare dei 160 che non saranno assunti da Reply, e di quelli che avevano contratti a progetto che sono evaporati da un giorno all’altro già mesi fa: su di loro è già sceso il silenzio, per non turbare la bella figura dei politici cittadini. Eppure, da una parte le casse pubbliche sosterranno altre spese per ricollocarli, dall’altra perché qualcuno dovrebbe assumerli a condizioni più sfavorevoli rispetto ai loro colleghi?

Alla fine va bene così: tra tante sovvenzioni pubbliche che vanno in giro per l’Italia, meglio comunque se qualcosa arriva anche a Torino; ed è difficile dire “lasciate che il mercato faccia il suo corso”, quando di mezzo ci sono persone che conosci personalmente e che da mesi non dormivano la notte. Però, razionalmente, ho come il sospetto che queste nostre manovre tipicamente italiane, che fanno sì che in Italia di economia di mercato non ce ne sia praticamente mai, nel complesso ci facciano molto più male che bene.

[tags]motorola, reply, torino, ict, industria, sovvenzioni, mercato, economia[/tags]

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martedì 20 Gennaio 2009, 16:21

Un martedì no grat

Ieri avevo ricevuto un invito per il presidio contro il grattacielo di Banca Intesa, che si sarebbe tenuto oggi in pausa pranzo nei giardinetti lì accanto; e oggi a pranzo, essendo in giro in bici, sono andato a vedere.

Sono arrivato lì circa all’una e un quarto; c’erano una dozzina di persone, nessuno che conoscessi di persona. C’era però Paolo Hutter – ex Lotta Continua, ex o forse ancora Verdi, ex assessore all’Ambiente – incatenato a un albero; nonché un altro paio di persone che conoscevo di vista dai tempi del Poli, ricercatori o docenti.

C’è fermento perché stamattina, senza preavviso, il cantiere è stato espanso: è stata posta una serie di grate in mezzo ai giardinetti, e le ruspe hanno cominciato a spostare più in là i jersey di cemento su cui è posata la recinzione metallica. Tra i jersey e le grate sono rimasti chiusi una presa d’aria del parcheggio sotterraneo e soprattutto un albero. Non si capisce se l’operazione sia autorizzata o no, né quale sarebbe il destino dell’albero, per cui Hutter si è incatenato in attesa di spiegazioni da parte del dirigente del cantiere.

La cosa più importante per me, però, è quello che apprendo dal ricercatore di Architettura: infatti, vedendo l’area recintata rasa al suolo per cominciare lo scavo, avrete sicuramente pensato che il grattacielo sia ormai cosa fatta e pronta all’ultimazione. In realtà pare non essere così, perché del grattacielo non esiste ancora nemmeno il progetto definitivo – e quindi nemmeno le relative valutazioni!

Sembra che il Comune abbia concesso in fretta e furia un permesso provvisorio per cominciare a fare qualcosa, tipo un po’ di pulizia e un po’ di scavo, proprio per battere sul tempo le opposizioni al grattacielo prima che si organizzino; tanto è vero che è stata richiesta una fidejussione perché, se il progetto non dovesse venire infine approvato, ci siano i soldi per riempire il buco che stanno facendo.

Il motivo è prettamente politico: l’operazione grattacielo, infatti, è stata concepita per due motivi. Da parte del Comune, c’è l’esigenza di incassare decine di milioni di euro in oneri di urbanizzazione, per salvare le proprie casse sull’orlo della bancarotta; da parte di Banca Intesa, c’era l’interesse di assicurarsi una gigantesca speculazione immobiliare, che avrebbe portato la banca a possedere una enorme cubatura in un punto strategico, proprio sopra la nuova stazione, quindi con valore notevole. Certo, oggi ti dicono che ci metteranno gli uffici della banca e che questo porterà occupazione a Torino (come se nel frattempo non avessero dato un calcio nel sedere a tutti i maggiori dirigenti ex Sanpaolo, e come se le banche non fossero tutte piene di dipendenti che, nell’era della finanza automatizzata e dell’online banking, non servono più a niente…); in realtà, nel medio-lungo termine, è facile prevedere che gli uffici possano venire rivenduti o addirittura trasformati in alloggi di lusso.

Lasciamo perdere l’insensatezza urbanistica di attirare ulteriore traffico in quel punto e quella ambientale di deturpare il paesaggio di una città che punta sul turismo e che si è finora salvata dalle americanate; ma, in tempi di crisi e di mercato immobiliare a rischio crollo, che una banca spenda 400 milioni di euro per costruire un grattacielo pare insostenibile anche economicamente. Paradossalmente, ciò che non ha potuto impedire la contrarietà della cittadinanza potrebbe essere impedito dal mercato.

Nel frattempo, però, si è scatenata la gara per raggiungere il presidio: arrivano primi i dighi, uno dopo l’altro, seconda Torino Cronaca, gli altri quotidiani non sono pervenuti dato che per loro il problema non esiste. Per una dozzina di persone ci sono cinque agenti della Digos, che cercano di mimetizzarsi, ma senza speranza: da una parte ci sono persone di una certa età e un po’ di giovanotti smilzi, dall’altra cinque tizi belli grossi con accento del profondo Meridione…

Partono book fotografici in abbondanza: noi fotografiamo il cantiere, gli operai fotografano noi, i giornalisti fotografano gli operai che fotografano noi, la Digos fotografa i giornalisti che fotografano gli operai che fotografano noi che fotografiamo il cantiere. Nell’era dell’abbondanza mediatica, sappiate che Torino Cronaca ora ha una foto di me abbracciato a Paolo Hutter, ma non ho da temere perché c’era l’albero in mezzo – e poi non mi sono presentato, né gli ho lasciato il numero. Quanto ai dighi, sai chemmefrega: io ormai sono schedato per almeno cinque diversi tipi di sedizione…

Verso le due arriva infine il capocantiere, un tizio alto alto dall’accento fortemente veneto, accompagnato da qualche operaio e da un negrone di due metri della sua security. Parte una civile chiacchierata, loro spiegano che le grate sono provvisorie e servono solo per il lavoro di spostamento della recinzione, il quale è stato regolarmente autorizzato dal Comune con tanto di pagamento della tassa di occupazione del suolo pubblico; e che l’albero non sarà toccato in alcun modo. Tanto basta: Hutter si scatena e ce ne andiamo tutti a casa.

I dighi confabulano per capire se qualcuno deve essere denunciato e per cosa (forse c’è un reato per Hutter nell’aver aggirato la grata, che peraltro era aperta da un lato; comunque nessuno è mai entrato nel cantiere); concludono che in assenza di querele non si può far niente, e un digo basso e grosso si scusa per aver preso a male parole il cane di un manifestante. Gli operai ritornano ad operare. Anche oggi, una dozzina di persone hanno rivendicato il diritto ad avere un’opinione dissenziente. Non sarà abbastanza, ma è meglio che niente.

[tags]torino, grattacielo, banca intesa, sanpaolo, comune, hutter, digos[/tags]

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lunedì 19 Gennaio 2009, 16:21

Inceneritori e pallottole

Oggi vi ripropongo il video che è stato mostrato durante lo spettacolo di Grillo, per discutere di inceneritore e riciclaggio. Naturalmente tutti voi sapete che l’inceneritore, come la Tav, è una infrastruttura la cui necessità è dubbia, il cui costo per le casse pubbliche è elevatissimo, il cui impatto ambientale è devastante, ma che ha un grande lato positivo: far guadagnare un mucchio di miliardi alla municipalizzata ripiena di politici che la deve costruire, e ai suoi fornitori. Peccato che nessuno ne sappia mai niente, a parte il solito articolo trionfalistico che esce ogni tanto sui giornali di regime; comunque, se vorrete conoscere tutta la storia, sarò ben lieto di raccontarvela.

Nel frattempo, ecco il video:

Naturalmente, due giorni dopo lo spettacolo di Grillo, è arrivata una lettera minatoria con pallottola al sindaco di Settimo, uno dei politici del PD citati nel video, visto che cerca in tutti i modi di far costruire un inceneritore sul proprio territorio; il giornale del PD, Repubblica, ne ha subito approfittato per montare la campagna pro-inceneritore e anti-ambientalisti. E’ perfettamente possibile che la lettera sia partita da qualche grillino o settimese esagitato, ma, ricordando quel che dice regolarmente Cossiga sulle tattiche dello Stato italiano, è anche perfettamente possibile che non sia così.

[tags]ecologia, inceneritore, torino, grillo, riciclaggio, rifiuti, pd, politica, informazione[/tags]

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martedì 13 Gennaio 2009, 18:59

Una città bloccata

Ieri sera, incuriosito da una segnalazione, sono andato alla Fondazione Sandretto ad assistere a un dibattito organizzato dall’Associazione NewTo, insieme alla redazione locale di Repubblica, sul tema “L’Italia da sbloccare: e Torino?”.

Il tema, ovviamente, è importante; l’esito è stato un po’ così. Questa associazione, di cui non avevo mai sentito parlare, è stata fondata da alcuni “giovani” (cioè 30-40enni) torinesi con posizioni di responsabilità: c’è chi lavora o lavorava al Toroc, chi a Torino Internazionale, chi dirigeva il Salone della Musica, chi ha incarichi in Confindustria. Un ex collega ritrovato in sala, che era già stato ad incontri precedenti, l’ha definita una associazione di “raccomandati buoni”: certamente nella Torino di oggi non si arriva in quegli ambienti senza qualche bella sponsorizzazione, però l’impressione che mi hanno dato, chi più chi meno, è stata di persone che sanno il fatto proprio, con particolare nota di merito per l’imprenditore Dal Poz.

La cosa negativa, però, è stata la puzza di vecchio di tutto l’evento, a cominciare dalla presenza sul palco di un mostro sacro come Luciano Gallino, che ha esordito spiegando che “l’industria ICT non è solo software, perché ci sono anche quelli che montano e vendono i PC”: e davanti a siffatta comprensione delle cose, che vogliamo obiettare? Infatti, ha proseguito dicendo più o meno che l’ICT è economicamente irrilevante perché è fatta solo di microaziende da dieci persone o meno, e così il convegno è surrealmente proseguito orientandosi sulla centralità per lo sviluppo torinese, indovinate un po’, dell’industria dell’auto, su cui dobbiamo puntare per il nostro futuro.

Gallino ha pure detto che il rinnovamento anagrafico della classe dirigente non è poi così necessario, perché non è necessariamente detto che un giovane sia anche capace, e anzi l’unica industria che era basata sui giovani era quella finanziaria, e sono stati proprio tutti questi ventottenni rampanti e assetati di denaro a portare il mondo al disastro, quindi è tempo di riportare il potere nelle mani dei sessantenni che l’hanno gestito così bene: infatti, ha concluso Gallino trionfante, a Torino si sono perse decine di migliaia di posti di lavoro nell’indotto auto ma grazie ai nostri sessantenni dirigenti la città è tuttora ricchissima e viviamo tutti senza problemi.

Ovviamente io non ci ho più visto; dopo qualche intervento – tra cui quello del sottosegretario Giachino, che ha rimarcato come lo sviluppo del Piemonte in crisi passi dalla logistica e in particolare dall’incrocio della TAV Lisbona-Kiev con la TAV Genova-Rotterdam; se ho capito bene, il piano del governo è che torme di giovani piemontesi si trasferiscano a Novara per scaricare scatolette di sgombro provenienti da Lisbona e caricarle in direzione Rotterdam – ho afferrato il microfono e ho messo in chiaro alcune cosette.

Per esempio, ho fatto notare che ci sono altre industrie messe in piedi da ventenni e trentenni, tipo, che so, Google, Youtube, boite del genere; e che a Torino ci vivrà riccamente lui, ma la realtà è quella di una città provinciale dove le opportunità di lavoro, qualificato e non, scarseggiano sempre più; e che forse se i trentenni non riescono ad emergere è perché c’è un intero sistema sociale che concentra potere e denaro nelle mani delle persone da 60 anni in su, evitando accuratamente di stimolare i giovani a innovare come dovrebbero, visto che non permette loro nemmeno di andare a vivere da soli.

Mi ha confortato che in sala ci fossero altri giovani che hanno suffragato le mie tesi, facendo notare come l’ICT non sia un settore industriale ma piuttosto un modo di pensare, un servizio trasversale che modifica e ottimizza l’intera produzione e anche gli altri aspetti della vita; ma soprattutto che, senza contarsi balle, Torino è una città bloccata; che è il caso di ammettere che o appartieni ai salotti buoni della Crocetta e della collina o nessuno ti affiderà mai un posto di responsabilità a trenta o a quarant’anni, perché non sapranno nemmeno che esisti, perché i meccanismi di selezione sono rigorosamente nascosti, centrati sulle conoscenze e sulle padrinerie di vario genere. Alla fine l’hanno ammesso a mezza bocca anche i “giovani di successo” che stavano sul palco.

Eppure, la sensazione di essere fuor d’acqua non se ne è andata via; ha fatto un po’ strano sentire queste voci prese a panino tra il già citato intervento del sottosegretario e quello di Federico De Giuli: sì proprio lui, la metà della famigerata De-Ga, e adesso almeno l’ho visto in faccia. E non mi ha nemmeno fatto cattiva impressione, anzi: perché la cosa triste è che le caste non sono mica delle malvagie associazioni di gente che si trova apposta per dire “sì, dai, facciamo la casta, chiudiamo fuori tutti gli altri”. E’ semplicemente che questi personaggi li disegnano così; nascono in un ambiente diverso dal nostro, ed è puramente naturale che ci restino senza nemmeno rendersi conto che ne esistono altri.

E’ quindi lodevole che si tengano in città incontri di questo tipo; ho solo qualche dubbio sul fatto che la classe dirigente cittadina riesca a rinnovare se stessa – a parte la cooptazione di qualche figlio e nipote – partendo dalla sicumera con cui pensa di essere la migliore possibile.

[tags]torino, newto, gallino, rinnovamento, politica, economia[/tags]

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domenica 11 Gennaio 2009, 11:38

Genova per noi (e anche De André)

Ieri, approfittando del fatto che io avevo un appuntamento là nel tardo pomeriggio, siamo andati a visitare Genova.

Paradossalmente, è una delle città italiane che conosco di meno; a parte le stazioni, il mio unico giro risaliva a un tour notturno sulla macchina di .mau. oltre dieci anni fa, oltre a una toccata e fuga per l’Hackmeeting 2004. Ieri ho comunque avuto conferma della mia prima impressione, cioè che Genova è, urbanisticamente parlando, costruita con gli scarti di Torino: noi abbiamo tolto dai nostri progetti tutta l’irrazionalità e tutti gli angoli non retti e li abbiamo scaricati laggiù, dove tra Ottocento e Novecento hanno costruito una città in stile sabaudo – a parte le imposte verdi – però disponendo vie e palazzi nei modi e con le forme più assurde. In un certo senso, Genova è Torino vista attraverso uno specchio deformante che trasforma i rettilinei in curve e la pianura in pareti vertiginose; è come sarebbe Torino se l’avesse progettata Escher invece di Lagrange.

Per noi, l’effetto è preoccupante: in una città così, proprio non ci si raccapezza. Il percorso da Principe a piazza De Ferrari non ha né capo né coda: una strada stretta in discesa, un pezzo di stradone ingrigito, l’imbocco di una galleria da camionale, una via mezza curva, un rettilineo con dei palazzi tutti uguali, un’altra salita verso destra… non è certo come un bel viale dagli alberi maestosi che ti accoglie e ti indica chiaramente la via. Le cose sono leggermente migliorate quando, già avanti nel nostro giro, siamo risaliti da piazza Caricamento verso il centro: ecco, allora lì le cose cominciano ad avere un pelino più di logica, ad esempio ti trovi davanti il Duomo dalla facciata invece che dal retro.

Probabilmente se Genova avesse solo il porto e la parte antica sarebbe più bella, invece così è come se dietro la parte antica avessero costruito uno spazioporto pieno di astronavi ottocentesche, culminato da quel capolavoro dell’orrore che è la torre quadrata del teatro Carlo Felice, una specie di enorme autosilo di cemento che sarebbe deturpante persino a Los Angeles. Peraltro anche la parte antica è davvero inquietante: a Lisbona o a Barcellona le vie sono almeno un po’ più larghe, ma a Genova c’è una costante, orribile sensazione di soffocamento, di bassifondi e di marciume eterno da luoghi in cui non batte mai il sole, oltre al problema che disegnare il percorso ottimale dal punto A al punto B è praticamente impossibile; a un certo punto mi è venuta voglia di farmi largo tra le case con un bazooka.

Siamo anche andati a visitare la tanto pubblicizzata mostra su De André a Palazzo Ducale. In termini tecnici, la mostra è una fregatura, visto che per otto euro (sei esibendo un biglietto del treno) gli unici reperti esibiti sono una decina di foglietti autografi, il suo pianoforte, vecchie fotografie e un po’ dei vinili dei suoi dischi, per un totale di tre sale. Tuttavia, la mostra è molto coinvolgente dal punto di vista emotivo, e permette efficacemente di capire di più sulla storia personale e sul pensiero a tutto campo dell’artista.

Anche De André – che, ricordiamolo, era di genitori piemontesi, ed aveva passato l’infanzia per le colline di Asti – rappresenta uno dei vari elementi della tensione costante tra Torino e Genova; naturalmente De André ne costituisce l’orgoglio genovese, tanto che in uno dei pannelli gli si attribuisce come merito artistico quello di “aver dato finalmente una visione di Genova diversa da quella di fantasia per i contadini del basso Piemonte”, con tanti saluti al “contadino” Paolo Conte. In realtà, l’impegno sociale e politico di De André – che non a caso è sostanzialmente assente nei vari brunilauzi e ginipaoli – è tema tipicamente da intellettuale sabaudo, ma lo specchio deformante di Genova trasforma lo scritto in cantato, e l’ortodossia marxista delle fabbriche torinesi nell’anarchia cangiante dei vicoli e del mare.

Personalmente, di De André ho da tempo eliminato tutti i grandi classici, i vari La guerra di Piero e Bocca di rosa, che pur se ricoperte di talento sono composizioni abbastanza banali e anche un po’ infantili nella loro semplificazione del mondo, cosa peraltro inevitabile visto che furono scritte a vent’anni o poco più. La parte veramente eccezionale della produzione di De André è quella adulta, quella che davvero riesce a cogliere la meraviglia e la povertà della vita e delle vite senza voler esprimere giudizi; inizia probabilmente con Rimini nel 1978 e passa attraverso canzoni meravigliose come Princesa o La domenica delle salme. Credo che la cosa migliore che si possa dire di De André è che c’è una sua canzone per ogni carattere e per ogni caso della vita, ed è sempre una bella canzone.

Per il resto, abbiamo soddisfacentemente mangiato alla Trattoria Vegia Zena, in un vicolo praticamente di fronte all’Acquario: 55 euro in tutto per due primi semplici ma ottimi (viva il sugo di noci ma peccato per il pesto microemulsionato, una scuola di pensiero che aborro), due secondi davvero buoni (seppie in umido e stoccafisso accomodato), un dolce e un caffé. E abbiamo visto il museo Chiossone, in un posto bellissimo ma che vi dovrete sudare per scale e salite varie, che contiene una selezione di oggetti antichi giapponesi non enorme ma davvero molto molto bella: vale sicuramente la pena.

E’ stata, insomma, una bella gita, nonostante il freddo assurdo portato dal vento: alla faccia del posto di mare!

[tags]viaggi, genova, de andré, museo chiossone, torino[/tags]

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venerdì 9 Gennaio 2009, 10:57

Nevica, cittadino ladro

Mentre riprendo la via della Liguria, chiudo questo trittico di post con un’ultima considerazione.

Da giorni, a Torino (ma anche a Milano…) infuriano le polemiche: praticamente tutti i cittadini, di qualsiasi ceto, cultura e credo politico siano, si lamentano per la scarsa preparazione e per l’inefficienza delle istituzioni nell’affrontare la nevicata.

La novità che mi ha fastidiosamente colpito è stata però che stavolta le istituzioni hanno risposto: essendo risultate inutili a calmare gli animi le solite interviste e le scuse più o meno credibili degli amministratori, il giornale cittadino – una istituzione in sé – pubblica con evidenza un editoriale di Gabriele Ferraris in cui, letteralmente, si prendono per il culo i cittadini che si lamentano.

Io sono incerto: da una parte concordo anch’io che molti cittadini si siano fatti prendere impreparati, non abbiano ottemperato ai propri doveri di spalare marciapiedi e garage (o non sapessero nemmeno di averli), non si siano minimamente adattati alla situazione e si siano infuriati a sproposito contro la prima autorità che capitava. Però mi ha dato molto fastidio leggere un editoriale in cui si dà per scontato che non ci fosse nulla di cui lamentarsi, che tutto sia stato fatto alla perfezione e che le proteste siano solo qualunquismo di madame schizzinose e studenti svogliati.

Mi sembra, quella sì, una forma di qualunquismo alla rovescia, da cui traspare tutto il fastidio che le istituzioni (non solo il sindaco e gli altri amministratori, ma evidentemente anche il giornale cittadino) provano per questi loro elettori e clienti che non si rassegnano a prendere in silenzio quel po’ di servizi sempre più singhiozzanti e scadenti che vengono loro graziosamente elargiti, e “fa’ che ‘t n’abie”. Sembra un po’ che, dopo anni di critica generalizzata alla politica, la politica reagisca con una critica generalizzata ai cittadini, dimostrando apertamente che li vuole soltanto zitti e sudditi, e che la loro eventuale faciloneria va benissimo quando si tratta di cavalcarla per farsi votare, ma va meno bene quando si ritorce contro i politici una volta che, giunti al potere, non hanno più bisogno dei voti.

[tags]maltempo, neve, torino, istituzioni, politica, cittadini, la stampa, informazione[/tags]

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giovedì 8 Gennaio 2009, 18:07

Logica torinese

Anche oggi, da parte degli amministratori torinesi, ci sono dei capolavori di logica che non vorrei fossero andati perduti.

Il primo è il presidente della Provincia Antonio Saitta, alle prese col piccolo problema di aver già finito il sale da spargere sulle strade – ma non in questa nevicata: l’aveva già finito durante quella di Natale. Lui si scusa così: dice che la situazione è difficile perché quest’anno le scorte sono finite prima ancora che cominciasse l’inverno. E si sa, le scorte crescono solo in alcuni selezionatissimi presidi Slow Food, se questo è un anno in cui il raccolto di scorte è magro che ci possiamo fare? Ma poi ci spiega l’arcano: “Le scorte si fanno sulla media delle precipitazioni degli ultimi cinque anni”.

Ora, se la matematica non è un’opinione, dato che per definizione metà delle volte le precipitazioni sono superiori alla media, un anno su due si rimarrà senza sale; se poi capita l’anno statisticamente peggiore, ecco che le scorte finiscono già prima di Natale. Ma Saitta l’avrà mai sentita raccontare la favola della formica e della cicala?

L’altro creativo delle argomentazioni logiche è il presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello, che unendosi al coro pro-Tav fa il seguente ragionamento:

1) Nevica, quindi “alcuni valichi” sono bloccati, in particolare (lui non lo dice, ma potete leggere ad esempio il comunicato della società Autostrade) è vietata la circolazione dei TIR in Liguria e nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria, mentre sia il Frejus che il Monte Bianco sono regolarmente agibili;

2) I TIR piemontesi hanno costi più elevati perché per arrivare in Francia devono fare percorsi più lunghi, rendendo i nostri prodotti meno competitivi sul mercato francese;

3) Dunque è urgente costruire una ferrovia ad alta velocità tra Torino e Lione.

Perfettamente logico, no? Cioè, se per due giorni è bloccata l’autostrada per Savona e per Genova, c’è un “gap strutturale” che impedisce ai TIR di attraversare le Alpi verso Lione e Ginevra; e per rendere i TIR più veloci bisogna costruire un treno, su cui presumibilmente i TIR si trasferiranno per magia e sfrecceranno grazie alla nota rapidità e flessibilità dei treni merci, che peraltro sarebbero già disponibili ora (la linea attuale è semivuota) ma non li vuole nessuno.

Tutto questo, ricordiamolo, per poter consegnare “i prodotti piemontesi” in Francia impiegandoci mezz’ora in meno, visto che altrimenti non sarebbero competitivi: sapete com’è, al concessionario Fiat di Lione arriva una bisarca di Punto e lui è purtroppo costretto a rimandarle indietro perché ci hanno messo mezz’ora di troppo e ormai sono marce, altrimenti le avrebbe vendute come il pane. Peccato, perché noi siamo già svantaggiati dai “tragitti così lunghi” verso la Francia: mica come le aziende del Nord-Est o dell’Est Europeo, che la Francia ce l’hanno lì a un’ora di macchina!

Solo il continuo lavaggio del cervello a cui siamo sottoposti fa sì che centinaia di migliaia di persone avranno letto stamattina questi articoli pensando “però, hanno proprio ragione, ci vorrebbe proprio un treno veloce per portare i TIR attraverso la muraglia di neve!”.

[tags]la stampa, maltempo, neve, torino, saitta, tav, no tav, trasporti, disinformazione[/tags]

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